Carl Brave, la recensione di 'Notti Brave' | Rolling Stone Italia
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Date un premio letterario a Carl Brave

È uscito "Notti Brave", il disco solista del neo romantico della smartphone reality, condito dalla solita coolness e da inedite collaborazioni

Carl Brave al suo esordio solista "Notti Brave"

Carl Brave al suo esordio solista "Notti Brave". Foto Alessandro Treves

Potevamo passare un’estate senza la colonna sonora per le nostre session di birrette e tramonti, languori e whatsapp, “prese bene” e “prese male”? Tornano i cantastorie pop più fichi d’Italia, anzi a sto giro c’è Carlo in vacanza da Franco, ma con un botto di amici.

La formula, quella maggica che li ha portati a un tour sold out, è la stessa: dolci basi killer con fiati, chitarre e tastiere gommose a sonorizzare il racconto del contemporaneo, il neo romanticismo della smartphone reality nostrana. Il tutto con la solita coolness dell’autotune strascicato, il fiuto della hit, la slang poetry – ovvero i “marchi di fabbrica” dai tempi di Polaroid – con l’aggiunta (novità!) di featuring importanti: il ritornello di Giorgio Poi in Camel Blu è già culto, la Michielin e Fibra in Fotografia mettono giù quello che sarà uno dei pezzi dell’estate e fanno la differenza pure il contraltare lombardo di Frah Quintale in Chapeau e il flow felpato di Pretty Solero in E10. Senza dimenticare le curatissime basi (citazione di merito per gli arpeggi acustici in loop di Pub Crawl e Malibu), Carl Brave cresce in scrittura pezzo dopo pezzo.

A provarcelo le tracce che aprono e chiudono il disco: Professoré è un ispiratissimo affresco della vita tra i banchi di scuola con trovate letterarie tra il meme e l’haiku (“sotto quintali di Goleador/mi perdo in un festino hardcore a Roma Nord” e per finire in poesia “Ti facevo uno squilletto per dirti ti penso/ma è durato un mesetto il nostro amore immenso/m’hai lasciato con un biglietto ho fatto canestro nel secchio/mi manca il ferro dei tuoi baci all’apparecchio”): la chiusura dell’album invece è affidata a un’elegia pop per il cane, Accuccia, per chitarra da stornello e voce rotta (“te ne sei andato via per una zanzara/una zozzona, la pagherà cara/ho pianto lacrime amare/era solo un cane/il mio cane”).

Dopo il Pulitzer a Kendrick, un premio Campiello a Carletto ci starebbe.

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