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‘Cry’ dei Cigarettes After Sex è un film già visto

La band di Greg Gonzalez sfugge alle difficoltà del secondo album con una serie di canzoni scritte con gli stessi ingredienti che hanno trasformato il debutto in un successo: malinconia, romanticismo e tantissimo riverbero
3 / 5

Un uomo in abito da sera toglie le scarpe a una diva stesa su un flipper; una macchina brucia avvolta dalle fiamme; due innamorati si baciano davanti a un camino; una donna seduta da sola al tavolo di un ristorante di lusso; il viale di una villetta americana; un altro bacio, nascosto da un bicchiere di champagne. Cry, il secondo disco dei Cigarettes After Sex arriva accompagnato da una serie di video frammenti, uno per ogni canzone, e da una dichiarazione piuttosto perentoria del frontman, chitarrista e autore Greg Gonzalez: “Penso a questo album come se fosse un film. Un film girato in una location esotica, pieno di personaggi diversi e storie d’amore, bellezza e sensualità”.

Un disco cinematografico, quindi, esattamente come l’esordio che ha trasformato i Cigarettes After Sex da band di culto a piccolo caso discografico. Trascinati dall’indecifrabile algoritmo di YouTube, che suggeriva a più o meno chiunque il primo singolo Nothing’s Gonna Hurt You Baby, e dalla miglior accoppiata nome-genere di riferimento degli ultimi anni, Gonzalez e compagni avevano conquistato critica e pubblico con un disco di ballate malinconiche in equilibrio tra romanticismo e sensualità noir, arricchite da testi minimali cantati dalla voce androgina e riverberata del frontman. Canzoni semplici, tutte costruite con gli stessi ingredienti, tenute insieme da un immaginario affascinante che mescolava il cinema romantico della nouvelle vague con storie di personaggi ossessionati da sesso, video osservati compulsivamente sul telefono, e desideri nascosti dietro una Instagram Story.

Due anni dopo, i Cigarettes After Sex non sono più la band segreta che tutti pensavano di aver scoperto per caso. Con 197.153.564 visualizzazioni su YouTube, metà di quanto raccolto dall’intero catalogo SubPop, e oltre tre milioni di ascoltatori mensili su Spotify, sono un gruppo con una fanbase solida e un potenziale enorme, sia commerciale che artistico. Con queste premesse, il secondo disco era l’occasione giusta per aprire i confini – sia musicali che testuali – della scrittura del gruppo e testare l’elasticità della formula artistica messa in campo con il primo album. Il dream pop sensuale e minimale di Gonzalez può raccontare qualcosa di diverso dalle bedroom stories dell’esordio? I Cigarettes After Sex possono accelerare il ritmo o rallentarlo ancora di più? Cosa succede se agli ingredienti del suono del gruppo si aggiunge un elemento inaspettato?

Cry non risponde a nessuna di queste domande. È un disco che suona come un lungo more of the same di quanto già fatto con il debutto omonimo. Scritto e registrato in una villa nell’isola di Maiorca, ovviamente di notte, Cry è una raccolta di ballate dream pop su sesso, amore e relazioni. Alcune sono molto belle (Pure, Hentai, Falling in Love, la title track), altre dimenticabili e indistinguibili l’una dall’altra. Se c’è una differenza con il passato, sta tutta nei testi. Le ballate dell’esordio erano salvate dalle loro contraddizioni, dalle irruzioni di immagini carnali e inaspettate. Quelle di Cry, invece, viaggiano su territori molto più prevedibili. Se prima Gonzalez si liberava della melassa degli arrangiamenti con frasi come “apri l’accappatoio e mostrami il seno”, o “sto guardando il video che mi hai mandato, sai che sono ossessionato dal tuo corpo”, adesso preferisce cantare “dimmi che è amore, dimmi che è reale. Toccami con un bacio, sentimi sulle labbra” (Heavenly), oppure “Mi fai pensare a un temporale sulla spiaggia” (You’re the Only Good Thing In My Life), come se si fosse arreso all’amore da cui sfuggiva in passato. Il risultato, purtroppo, è molto meno interessante: quando scrive solo d’amore e bei sentimenti, Gonzalez è banale. E non è un caso che i due pezzi migliori del disco (Hentai e Pure), siano scritti a partire da una scena specifica, da un frammento.

Le canzoni di Cry sembrano condannate a essere generiche, troppo giuste per lasciare il segno. Partono tutte da un arpeggio, o da un giro di basso ostinato, arrivano alla melodia e restano lì, girano in tondo e non vanno da nessuna parte. Tanto che ad ascoltarle viene da pensare che la band scriva così non per restare fedele a una visione artistica, ma piuttosto perché non sa fare diversamente. I Cigarettes After Sex non hanno eccessi, non sono mai dreamy come i Cocteau Twins, o disperati come i primi Low. Non hanno i guizzi dei Beach House o la sfacciataggine di una Lana Del Rey, ma una scrittura di maniera che, almeno questa volta, più che alle scene di un film d’autore fa pensare alla pubblicità di un’automobile. Peccato.

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