Coez, la recensione del nuovo album ‘È sempre bello’ | Rolling Stone Italia
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Coez ha trovato l’oro della generazione itpop

Con ‘È sempre bello’ il cantautore – ormai ex rapper – firma il secondo capitolo della sua nuova vita, dimostrando una maturità convincente, capace di leggere il mondo. Con un po' di furbizia

Coez

Foto di Tommaso Biagetti

Credevo fosse guerrilla marketing per la nuova apertura di una catena di hamburgerie vegane, e invece era Coez. Niente gentrificazione questa volta, o forse sì, in ambito itpop almeno, se si pensa che un tempo qui era tutto indie da poche visualizzazioni e ora gli streaming sono schizzati alle stelle da quando il mainstream ha iniziato a investire e restaurare. Proseguendo con il parallelismo, Coez è l’equivalente di un loft fresco di ristrutturazione, arredato con mobili auto-progettati rifiniti di pregio, mattonato e soppalcato, ben illuminato e pieno di piante, nel cuore del Pigneto.

È sempre bello è formalmente il quinto disco di Silvano Albanese, ma mai come in questo caso potrebbe essere considerato il secondo, o il primo o il secondo secondo disco e così via, visto che buona parte della sua discografia appartiene letteralmente a vite precedenti. Sicuramente è il seguito ideale – anzi il perfezionamento e la messa a fuoco definitiva – del precedente Faccio un casino, che a questo punto può essere considerato la fase embrionale della metamorfosi di Coez.

Non scopriamo oggi che il cantautore ex rapper ci sappia fare con la scrittura dei testi, una dote che non si limita a saper creare dei bei versi, ma che riguarda sempre di più la capacità di riuscire a intercettare sensazioni e stati d’animo condivisi da una generazione che vorrebbe fosse sempre domenica, o che vive relazioni instabili e farraginose tenute a stento insieme da un elastico che spesso diventa una catena. O, molto più semplicemente, si sveglia con il mal di gola e in hangover.

Il risultato è totalmente privo di punti morti o di passi falsi, non ci sono riempitivi e forse neanche apici altissimi – dipende dai gusti, forse quello emotivo arriva proprio sul finale in Aeroplani – ma soltanto perché la media generale di tutti i brani è alta, un blocco unico di tutto quello che funziona oggi in un certo panorama musicale italiano, fatto bene. Una grossa fetta del merito va dato anche a Niccolò Contessa che ormai da un pezzo ha scoperto la ricetta segreta per fare la Nutella.

Coez ha 35 anni, ed è evidente la maturità di un autore scaltro che sa stare al mondo e sa osservarlo, ha imparato con la gavetta il modo giusto per raccontarlo ma soprattutto per sintonizzarsi sulle frequenze giuste per farsi apprezzare dal nuovo pubblico dell’itpop. Lo dimostrano i sopracitati manifesti pubblicitari, pieni di versi che equivalgono a dei veri e propri slogan generazionali. È questo l’aspetto fondamentale delle dieci canzoni che a tutta prima potrebbero sembrare solo (comunque non sarebbe poco) un altro disco itpop che racconta i giovani e parla ai giovani con i ritornelli carini e i suoni riverberati anni ottanta – un po’ di Vasco, un po’ di Luca Carboni, un po’ di malinconia e di relazioni andate male e via di sold out nei palazzetti. Sarebbe troppo facile se fosse solo questo, e in effetti potrebbe sembrarlo, tant’è che tutti provano a cercare l’oro. Ma non tutti ci riescono. Coez sì.

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