‘City of Crime’, nemmeno Black Panther riesce a salvare questo pasticcio thriller | Rolling Stone Italia
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‘City of Crime’, nemmeno Black Panther riesce a salvare questo pasticcio thriller

In inglese il titolo del film è '21 Bridges' (21 ponti) e noi potremmo darvi 21 buone ragioni per non andarlo a vedere

Chadwick Boseman in 'City of Crime'

Foto: STXfilms

Questo poliziesco ambientato nelle strade di New York – ma girato a Philadelphia, il che dice già tutto – avrebbe tutti gli ingredienti del caso: azione adrenalinica, atmosfere crude e un cast pronto a spaccare, guidato da Mr. Black Panther in persona, Chadwick Boseman. Come si può mandare tutto in fumo? L’accusa presenta la prima prova. L’abile regista televisivo Brian Kirk (Game of Thrones, Luther, Penny Dreadful), nel suo debutto sul grande schermo, fa di tutto per tenere vivo il ritmo. Ma non può resuscitare una sceneggiatura, firmata da Adam Mervis e Matthew Michael Carnahan, che sembra morta in partenza. Lo spunto di City of Crime promette moltissimo: per permettere la cattura di due criminali che hanno ucciso dei poliziotti, interpretati da Stephan James e Taylor Kitsch (che sa fare il pazzoide meglio di chiunque altro), il sindaco fa chiudere tutti i 21 ponti che portano a Manhattan. E una volta che i topi sono in trappola? Taaac.

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O forse sarebbe stato “taaac” se il copione non si fosse sgonfiato fin dall’inizio. In un thriller cospirazionista ben congegnato, non devi accorgerti che la cospirazione sta arrivando. Qui buoni e cattivi sono etichettati da subito. Boseman è il poliziotto buono Andre Davis, un detective celebre per il suo talento nel catturare assassini di agenti. Naturalmente il Dipartimento degli Interni non vede l’ora di coglierlo in flagrante per eccesso di violenza, ma Davis sa come tenere a bada il suo temperamento, almeno di tanto in tanto. Il nostro uomo capisce la situazione quando il suo capo, il capitano McKenna (J.K. Simmons), gli dice di dimenticarsi delle regole e ammazzare i criminali che hanno fatto a pezzi otto dei suoi agenti. Per Davis questa messinscena puzza troppo di messinscena, appunto. Per dire: come ha fatto la polizia ad arrivare così presto sulla scena del crimine e a requisire i 300 chili di cocaina che i criminali si erano lasciati dietro? Davis cerca di risolvere questo enigma con l’aiuto della tostissima detective della squadra narcotici Frankie Burns (Sienna Miller, sempre troppo perfetta rispetto a ciò che richiederebbe il suo lavoro quotidianamente).

Il pubblico riesce a prevedere gli eventi così facilmente rispetto a Davis che potrebbe scriversi da solo la sceneggiatura. I dettagli di contorno includono la madre del poliziotto affetta da demenza e il padre, agente pure lui, morto in servizio: nella storia, entrambe le cose non servono a niente. Praticamente Boseman interpreta il ruolo di Gary Cooper in Mezzogiorno di fuoco, un uomo solo contro un sistema corrotto. E il film ritrae la Grande Mela come un moderno O.K. Corral, dove i poliziotti corrotti e i corrieri della droga si sparano a vicenda mentre i cittadini corrono a cercare riparo o diventano vittime collaterali. Davis e il suo capo hanno un confronto che pare ricalcato su quello tra Kevin Spacey e John Cromwell in L.A. Confidential, un classico del genere che dimostra ulteriormente quanto City of Crime sia solo la sua brutta copia.

Ah, ricordate quella cosa dei ponti chiusi? Il film abbandona l’idea quasi subito, dopo qualche immagine dei blocchi stradali ripresa dai notiziari alla Tv. Potremmo darvi 21 ragioni per non vedere City of Crime – e nemmeno una che valga il costo di un biglietto.