DaBaby, la recensione di 'Blame It On Baby' | Rolling Stone Italia
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Che errore, DaBaby ha cambiato formula, come la Coca-Cola nel 1985

Il rapper numero uno in America (e settimo nella classifica italiana) era una splendida anomalia. Ora però si allinea al modello dominante, canta melodie, si lamenta di quanto sia difficile gestire il successo

DaBaby

Foto: press

Il 23 aprile 1985, un’azienda produttrice di bevande da un miliardo di dollari dovette affrontare una minaccia potenzialmente mortale. La rivale della Coca-Cola, la Pepsi, era tutto ciò che la bevanda nata a fine Ottocento non era: morbida, nuova e talmente dolce da soddisfare le papille gustative nell’era reaganiana. Invece di cercare di affrontare e superare la tempesta, la Coca-Cola decise di cambiare la sua mitica formula segreta. Nacque così una nuova Coca-Cola chiamata New Coke. I consumatori si ribellarono. Le proteste divennero una specie di Boston Tea Party della cola dimostrando che lo spirito americano risiedeva anche nel diritto di scegliere la bevanda che ci avrebbe ucciso lentamente. Le proteste ebbero la meglio, la vecchia Coca-Cola tornò sul mercato e l’errore servì da lezione. Lo sbaglio della Coca-Cola non era stato il cambio di formula, ma l’avere ammesso pubblicamente che nulla – nemmeno le bevande zuccherate industriali – passa indenne la prova del tempo.

A pochi giorni dal 35° anniversario della nascita della New Coke, un rapper del North Carolina ha commesso lo stesso errore. Il terzo album di DaBaby, Blame It On Baby, è più dolce e morbido dei precedenti, progettato per piacere al pubblico di massa. È una correzione di rotta di cui non si sentiva il bisogno, un aggiustamento pensato per accontentare una fascia di pubblico che non rappresenta più il cuore della fandom del rapper. In crisi, DaBaby ha invertito la rotta.

«Se hai un suono nuovo che non somiglia a nessun altro, devi darlo al pubblico», ha detto DaBaby a Rolling Stone nel 2019. «Devi farglielo sentire a tutti i costi». Nel caso di DaBaby, quel suono era una firma inconfondibile fatta di staccati, cacofoniche e ripetizioni. Mentre gli altri rapper usavano melodie accattivanti per parlare di morte e droga, DaBaby era l’unico che raccontava in modo al tempo stesso provocatorio e festoso gli eccessi della vita. Grazie a due album pubblicati nell’arco di un solo anno (Baby on Baby e Kirk) e a una manciata di successi (Suge, Bop, Vibez), DaBaby ha perfezionato il flow fino a farlo diventare parte della narrazione. «Quando cambierai il flow? Non pensavo che non l’avresti chiesto», rappava su Bop. Purtroppo ha ignorato le sue stesse parole.

DaBaby – BLAME IT ON BABY [AUDIO]

Anzi, flow non è nemmeno la parola giusta. DaBaby ha uno stile incredibilmente originale. È teatrale fino all’eccesso – improvvisazioni esplosive, ganci virtuosi, video elaborati – e avaro di pathos. Sperimentazione, rischi e un approccio flessibile sono qualità lodevoli in un artista nuovo e riconoscibile come DaBaby, ma ogni volta che il rapper cerca di cambiare le carte in Blame It On Baby non mostra nuovi punti di forza, ma scopre i suoi lati deboli.

È dal trittico di canzoni Sad Sh*t, Find My Way e Rockstar che si capisce dove DaBaby vuole andare a parare. Dopo averli sbaragliati un anno fa, si unisce alla competizione fra rapper-cantanti. Basta sfacciataggine, niente sfrontatezza. DaBaby ci informa che sta per “fare qualcosa di triste per i veri negri” con una voce intonata che avrebbe evocare un nuovo tipo di sincerità. È talmente impressionato dalle sue doti melodiche che informa una ex che il solo fatto che ora canti all’interno di un pezzo rap prova la sua innocenza in relazione alle vecchie trasgressioni. Si fa una pausa quando arriva Roddy Ricch, un rapper di Compton con uno stile canoro più complesso e istintivo, ma poi DaBaby torna a questo schema in Rockstar.

Non tutto l’album è così e anzi molti brani vivono dello staccato poetico che da oltre un anno differenzia DaBaby dagli altri rapper. Molti di questi pezzi avrebbero potuto essere inclusi in Baby On Baby o in Kirk. L’unica differenza è che oramai ci siamo abituati allo stile di DaBaby. Nella title track, ad esempio, passa due minuti a spiegare quel che ha già detto in modo più efficace negli ultimi due album: ha sparato a un uomo a Walmart, ha guadagnato un disco di platino, è un pilastro del sito dedicato alle celebrità The Shade Room, è desiderato da un sacco di donne.

DaBaby – ROCKSTAR FT RODDY RICCH [Audio]

Una novità c’è, anche nelle canzoni in cui DaBaby è fedele al vecchio stile: è il senso di paranoia che aleggia su molte star che ottengono improvvisamente successo. Blame It On Baby descrive il rapper come una vittima indifesa e questo a dispetto dei tanti incidenti che ne hanno costellato l’ascesa. Nel settembre 2019, TMZ ha pubblicato un video della sua guardia del corpo che prende a pugni una donna a uno show a New Orleans. In marzo, si è visto un video in cui DaBaby schiaffeggia una donna a un concerto in Florida. Si è poi scusato su Instagram: «Chiedo sinceramente scusa. Mi rincresce che dietro la persona che reggeva il telefono col flash fosse una donna». In questo disco, DaBaby rappa: «fanculo le accuse, continua a odiarmi» e sostiene che i media vogliono «vedermi fare un passo indietro».

Appena un anno fa DaBaby aveva una capacità senza pari di fiutare l’aria che tira. È il tipo di abilità che manca a questo disco. Il tema dominante sono invece i problemi derivanti dalla fama. Gran parte dell’album, dalla mascherina protettiva che DaBaby indossa sulla copertina alle sue lamentele per i blog di gossip, è vacua. Per ogni canzone in cui cerca di proporre qualcosa di nuovo, ce n’è una che presenta bene o male lo stesso flow, le stesse improvvisazioni, le stesse bizzarrie che l’hanno portato fin qui, con un effetto che va a scemare. DaBaby può dare la paga alla maggior parte degli altri rapper, eppure Blame It On Baby segna una battuta d’arresto. Il grande nemico di DaBaby, qui, è la sua vena prolifica. Lotta contro se stesso per trovare qualcosa di nuovo.

Uno dei testi più significativi del disco è quello di Can’t Stop. DaBaby dice di poter “trasformare il piscio in limonata” e “la merda in zucchero” così da creare un budino al cioccolato. In teoria, è una metafora di come ha trionfato sui detrattori. E invece suona come un monito: puoi modificare una formula classica per soddisfare il gusto del pubblico di massa, fondamentale però è procurarsi nuovi ingredienti.

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