Black Keys, la recensione di 'Delta Kream' | Rolling Stone Italia
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Cari Black Keys, a volte la storia va lasciata dov’è

In 'Delta Kream' Dan Auerbach e Patrick Carney rifanno in chiave rock vecchi blues di R.L. Burnside, Junior Kimbrough, Mississippi Fred McDowell. Ma le loro versioni sembrano tutt'al più bonus track

Foto: Joshua Black Wilkins

Non hanno mai avuto paura di guardarsi indietro, i Black Keys. Men che meno quando si tratta di musica blues. Prendete i due pezzi che aprivano il debutto del 2002 The Big Come Up: erano cover vivide e a bassa fedeltà di pezzi dei bluesman del Mississippi R.L. Burnside e Junior Kimbrough. O pensate all’EP del 2006 Chulahoma, che era un tributo a Kimbrough e si chiudeva con un messaggio audio in cui la vedova del bluesman diceva quanto le piacevano quelle nuove versioni.

Lo stile grezzo di Kimbrough e Burnside, tutto chitarre urlanti e foot-stomping, sta alla base del garage rock dei Keys. Che saranno pure diventati rockstar da dischi di platino, ma non hanno mai abbandonato le radici blues, nemmeno nei dischi più puliti come Turn Blue del 2015 o “Let’s Rock” del 2019.

Ora con Delta Kream tornano ad abbeverarsi alla fonte del blues rifacendo pezzi di Kimbrough, Burnside, Mississippi Fred McDowell e altri. Il disco bello è stato registrato nelle pause del tour di “Let’s Rock”, eppure non potrebbe essere più diverso dall’album del 2019. Gli 11 pezzi sembrano infatti versioni improvvisate delle canzoni preferite di Dan Auerbach e Patrick Carney, incise con l’aiuto di Kenny Brown, chitarrista slide di alcuni fra i dischi migliori di Kimbrough, e del bassista Eric Deaton, uno che ha suonato con Burnside.

Anche se Brown e il suo stile chitarristico cantabile brillano in tutto l’album, qualcosa manca: raramente le nuove versioni sono all’altezza degli originali. I Keys sanno come si suona un boogie alla Kimbrough tipo Walk With Me, col suo ritmo che invita al ballo, e rifanno la cover di Do the Romp, che loro stessi avevano suonato in modo più rigido in The Big Come Up, ma in fin dei conti non aggiungono granché. La loro cover di Poor Boy a Long Way From Home evoca sì Burnside, ma essendo uno dei blues più vecchi al mondo esistono già versioni pazzesche di Gus Cannon, Bukka White, Howlin’ Wolf. E si fa fatica a pensare che, potendo scegliere, uno ascolti la versione di Auerbach di Coal Black Mattie, l’ode di Ranie Burnette a una donna talmente ubriaca da gettare i vestiti fuori di casa.

In buona sostanza, i Keys ripuliscono un pugno di grandi pezzi blues per trasformarli in jam tendenti al rock e a volte lo fanno beninteso con ottimi risultati. È il caso di Stay All Night, meno feroce che nell’originale di Kimbrough, e Going Down South di Burnside che diventa un R&B pacato grazie al falsetto di Auerbach e a un assolo pazzesco di Brown. Ma anche nei momenti migliori, i pezzi di Delta Kream sembrano le bonus track di qualche altro disco, quello sì eccitante. A volte è meglio lasciare la storia lì dove sta.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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