'Brutti e cattivi' fa a pezzi il concetto di politically correct | Rolling Stone Italia
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‘Brutti e cattivi’ fa a pezzi il concetto di politically correct

Cinema di genere senza filtro, che gioca con il kitsch e porta tutto all’eccesso, all’insegna del cinismo più sfrenato

Brutti e cattivi

Brutti e cattivi non è un altro film sulla periferia della Capitale, la cui vitalità piace sempre di più al grande schermo. È ambientato a Roma, e i personaggi sono burini della peggior specie. Ma l’opera prima di Cosimo Gomez è una commedia nerissima che fa a pezzi il concetto di politically correct, partendo da un presupposto: chi l’ha detto che i disabili non possono essere spietati e avidi come qualunque altro essere umano?

Claudia Santamaria (con pelata inedita) è “il Papero”, un mendicante paraplegico capace di fare lo sgambetto ai bambini che non gli danno le monetine. Sara Serraiocco interpreta (letteralmente “con i piedi”) la moglie “Ballerina”, una donna nata senza braccia, che usa la sensualità come un’arma. E Marco D’Amore invece è un fattone rasta, soprannominato “il Merda” per la fiatella infernale.

A completare questa corte dei miracoli c’è Plissè (Simoncino Martucci), un nano rapper che può aprire ogni serratura. I quattro improbabili emarginati sono alle prese con una rapina che complicherà loro ancor più la vita. Sullo sfondo ci sono i Freaks di Tod Browning rispolverati da American Horror Story, e, ovviamente, l’omaggio a Brutti, sporchi e cattivi di Ettore Scola. Gomez si lancia in un progetto coraggioso, grazie anche a un cast credibilissimo nel confrontarsi con una fisicità sottratta o deformata. Cinema di genere senza filtro, che gioca con il kitsch e porta tutto all’eccesso per far ridere, all’insegna del cinismo più sfrenato. Peccato solo che la cattiveria non arrivi fino in fondo.