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‘Bruciare Tutto’, la nostra recensione del libro-scandalo sulla pedofilia

Ecco cosa pensiamo dell'ultimo lavoro di Walter Siti, il libro che ha scatenato una delle polemiche più accese degli ultimi anni
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«La mia fascinazione per il male è oscura anche a me stesso». Lo scrive Walter Siti nella nota di Resistere non serve a niente, premio Strega 2013. Difficilmente sentirete uno scrittore proclamare il contrario: la fascinazione per il Bene non ha mai sedotto nessuno. A forza di lasciarsi sedurre dal Male, e cercarne la sua forma più estrema e sublime, si finisce però per indicizzare l’osceno come le categorie del porno, e renderlo meno appetibile del suo sbiadito antagonista.

In Bruciare tutto – dopo una prima parte che definire interlocutoria è quasi un eufemismo – Siti scopre le sue carte: qual è il Male assoluto? Ovvero qual è l’ultimo tabù rimasto nella società occidentale? Sì, ci avete preso: la pedofilia. Nonostante, a ricordarci la sua pole position sul podio dell’aberrazione, ci abbia pensato di recente anche il terzo episodio della serie tv Black Mirror – il distributore automatico di angosce e distopie contemporanee – Siti si sente in dovere di rispiegarcelo stilando un’apposita nota:

«Più ancora dell’incesto, l’assoluto tabù della nostra epoca; sacrilegio per definizione, basta accennarvi per sentirsi sporchi, basta che qualcuno ne sia portatore perché lo si consideri un rifiuto dell’umanità». La storia è questa: Don Leo – come ogni prete che si rispetti – è un uomo profondamente tormentato, in continuo dialogo con Dio. Ed è la parte più bella del libro, il suo rapporto con la fede, la tentazione di ogni amante mortale di mettere in dubbio il proprio oggetto del desiderio fino a rinsaldarne la potenza (“Se ci fosse un posto dove Dio non esiste, ci andrei di corsa a morire”).

La sua idea di Chiesa si scontra con ciò che sembra essere diventata oggi la religione cristiana per esercitare un appeal sulle masse: un distillato di benevolenza caritatevole (“un cristianesimo senza lische, a pronta digeribilità”, “una Bibbia con l’ammorbidente”) condita da linguaggio televisivo (“Leo morirebbe piuttosto che dire: ‘I Farisei avevano una concezione difensivistica, Cristo va all’attacco come la Juve’”). Eppure la stessa visione fustigatrice di Leo – un po’ meno psicotica di quella di The Young Pope di Paolo Sorrentino – finisce per tradursi nelle categorie di un dualismo televisivo da talk: “Un Cristo antipatico… intollerante… un po’ Travaglio e un po’ Gabanelli”.

Il mondo in cui si muove Leo è una Milano gentrificata, perbenista, “resuscitata dal centrosinistra”, devota alla “stylosophy solidale”, dove l’apparenza è tutto. I personaggi affiorano come comparse educate a essere semplicemente se stesse, rischiando il calco di tipologie da giornalismo culturale: sciure intellettuali con i libri di Salgado in salone e l’arredamento “molto shabby chic” (sì, pare si usi ancora questa espressione…), adolescenti che si azzuffano per l’ultimo modello di iPhone, artiste rimaste a secco di scopate rilevanti, “pupattole in tubino nero ai vernissage”, gigolò palestrati che non si sentono in colpa di fronte ai mariti perché restituiscono “mogli calde e felici”.

Soltanto postulando un mondo depotenziato dal proprio carattere eversivo, ormai appannaggio di un’altra civiltà (“i vostri stessi figli corrono dove si muore e si sgozza; hanno bisogno di sentirsi alla gola quella lama che voi avete sepolto e lasciato arrugginire”), squallidamente incapace di ogni forma d’amore che non sia la riduzione a desideri iper-esposti e disincantati, una zombitudine depressa e conformista, ipocrita, dall’indignazione facile, insomma una parodia di umanità, Siti riesce a dare corpo al suo tabù e gonfiarlo di lacerante passione (“non si può possedere l’assoluto, se ne può solo essere invasi”).

Il rimosso mai davvero rimosso che tormenta Leo è l’aver abusato (“il verbo preciso è ‘incularlo’”) di un 11enne quando lui aveva 21 anni. E come tutti i rimossi, a un certo punto verrà a bussarti alla porta. Siti – sedotto da Male – gioca sul filo del disturbante e non ci risparmia niente: confessori che di fronte all’atrocità di quella rivelazione rispondono: “Se gli va di traverso lo sperma è come lo yogurt, hi hi, tossiscono un po’ e basta”. Il senso ultimo della scrittura dovrebbe esser questo: la dannazione a seguire le proprie ossessioni.

Se resistere non serviva a niente, qui va bruciato tutto. Il punto è che quel “rogo” sembra apparecchiato con lo zelo certosino di una cena di Natale, e anche le ustioni più strazianti lasciano intravedere i ferri del mestiere. “Non permetterai che sia tentato al di sopra delle mie forze”, chiede Leo al Signore. E forse anche Walter Siti dovrebbe chiederlo per se stesso.

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