Brit Marling e Zal Batmanglij – The OA | Rolling Stone Italia
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Brit Marling e Zal Batmanglij – The OA

Leggi la recensione dell'ultima serie originale Netflix su RollingStone.it

Il concetto di indie non si applica benissimo all’universo della televisione. D’altronde è proprio la natura “indipendente” a non rientrare nel sistema di produzione della tv. Perché se un film o un album possono essere realizzati senza avere un distributore e finire in circuiti di distribuzione alternativi (festival, concerti, ecc.), per fare una serie tv hai bisogno di un canale, di un palinsesto, e già l’indipendenza l’hai buttata alle ortiche.Tuttavia, nella cosiddetta era della “Peak Tv” in cui ci troviamo, ossia quella in cui si è sommersi da più serialità televisiva di quanto ci è possibile consumare, capita di imbattersi in piccole produzioni, opere più low profile e dal basso budget, che si avvicinano all’idea di indie pur senza abbracciarla mai davvero. The OA rientra in questa categoria.Con un trailer spuntato a sorpresa soltanto una settimana prima del debutto ufficiale su Netflix, The OA segue il ritorno a casa di Prairie Johnson, giovane donna per anni scomparsa nel nulla. L’eccezionalità dell’evento in sé risulta ancor più incredibile per un trascurabile particolare: adesso Prairie, cieca sin da bambina, ci vede benissimo, e ha una missione da portare a termine.Creato da Brit Marling e Zal Batmanglij (già coppia creativa dietro i film Sound of My Voice e The East) e interpretato dalla stessa Marling, che presta il volto alla sensibile protagonista, The OA offre fin da subito un punto di vista e una poetica personali. Nell’aria rarefatta, nei tempi lentissimi e nei paesaggi grigi della provincia americana, si inserisce una vicenda che unisce assieme le solitudini di un gruppo di individui che niente hanno in comune se non l’entrare in risonanza con le parole della “risorta” Prairie. La ragazza ha un obiettivo più grande, lo svelamento di una verità che, attraverso trascori violenti ed esperienze metafisiche, potrebbe rivoluzionare la nostra cognizione dell’esistenza.In un inusuale mix fra thriller, filosofia, fantascienza e dramma umano, le prime quattro puntate della stagione, composta in tutto da otto episodi, si dimostrano coerenti, vibranti e in alcuni punti davvero potenti, anche se, mettendo in campo nozioni talmente ambiziose ed eteree quali l’ultraterreno e la cosmogonia, vivono sempre nel rischio di perdere la presa sul pubblico e spezzare quel patto che passa attraverso l’identificazione. Almeno fino a metà, però, il pericolo è scampato. Netflix, che aveva già offerto qualcosa di simile con l’evocativa ma inconcludente Sense8, si è dimostrato interessato a permettere a questa voce personale di farsi sentire. E seppure nella parte finale la serie dovesse forzare il gioco scadendo in grossolane spiegazioni new age, risulterebbe comunque un esperimento valido anche per il solo fatto di essere esistito. Il prodotto di una visione d’autore intima e precisa che, apprezzabile o meno, possiede una propria dignità, aldilà di ascolti e palinsesto.

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Il concetto di indie non si applica benissimo all’universo della televisione. D’altronde è proprio la natura “indipendente” a non rientrare nel sistema di produzione della tv. Perché se un film o un album possono essere realizzati senza avere un distributore e finire in circuiti di distribuzione alternativi (festival, concerti, ecc.), per fare una serie tv hai bisogno di un canale, di un palinsesto, e già l’indipendenza l’hai buttata alle ortiche.

Tuttavia, nella cosiddetta era della “Peak Tv” in cui ci troviamo, ossia quella in cui si è sommersi da più serialità televisiva di quanto ci è possibile consumare, capita di imbattersi in piccole produzioni, opere più low profile e dal basso budget, che si avvicinano all’idea di indie pur senza abbracciarla mai davvero. The OA rientra in questa categoria.

Con un trailer spuntato a sorpresa soltanto una settimana prima del debutto ufficiale su Netflix, The OA segue il ritorno a casa di Prairie Johnson, giovane donna per anni scomparsa nel nulla. L’eccezionalità dell’evento in sé risulta ancor più incredibile per un trascurabile particolare: adesso Prairie, cieca sin da bambina, ci vede benissimo, e ha una missione da portare a termine.

Creato da Brit Marling e Zal Batmanglij (già coppia creativa dietro i film Sound of My Voice e The East) e interpretato dalla stessa Marling, che presta il volto alla sensibile protagonista, The OA offre fin da subito un punto di vista e una poetica personali. Nell’aria rarefatta, nei tempi lentissimi e nei paesaggi grigi della provincia americana, si inserisce una vicenda che unisce assieme le solitudini di un gruppo di individui che niente hanno in comune se non l’entrare in risonanza con le parole della “risorta” Prairie. La ragazza ha un obiettivo più grande, lo svelamento di una verità che, attraverso trascori violenti ed esperienze metafisiche, potrebbe rivoluzionare la nostra cognizione dell’esistenza.

In un inusuale mix fra thriller, filosofia, fantascienza e dramma umano, le prime quattro puntate della stagione, composta in tutto da otto episodi, si dimostrano coerenti, vibranti e in alcuni punti davvero potenti, anche se, mettendo in campo nozioni talmente ambiziose ed eteree quali l’ultraterreno e la cosmogonia, vivono sempre nel rischio di perdere la presa sul pubblico e spezzare quel patto che passa attraverso l’identificazione. Almeno fino a metà, però, il pericolo è scampato. Netflix, che aveva già offerto qualcosa di simile con l’evocativa ma inconcludente Sense8, si è dimostrato interessato a permettere a questa voce personale di farsi sentire. E seppure nella parte finale la serie dovesse forzare il gioco scadendo in grossolane spiegazioni new age, risulterebbe comunque un esperimento valido anche per il solo fatto di essere esistito. Il prodotto di una visione d’autore intima e precisa che, apprezzabile o meno, possiede una propria dignità, aldilà di ascolti e palinsesto.

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