Bombino, la recensione di 'Deran' | Rolling Stone Italia
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Bombino, il Jimi Hendrix tuareg

Il chitarrista non ha sacrificato niente del suo stile sull'altare dell'hype, e il risultato è 'Deran', un disco meraviglioso dal sound inconfondibile

Per fare meglio del precedente Azel, Bombino, secondo qualcuno il miglior chitarrista del mondo (se suonare l’elettrica senza plettro è un valore aggiunto, allora forse è vero, leggende in pensione escluse) aveva una sola possibilità: tirare fuori un album altrettanto buono, Deran, caricandolo di significati politici fin dalla sua produzione. Con questo nuovo lavoro il Jimi Hendrix tuareg ha deciso di restare quanto più vicino possibile all’Africa, incidendo a Casablanca in uno studio di registrazione di proprietà del re Mohamed VI.

Quindi, via dall’ombra efficace ma ingombrante di produttori-celebrità come Dan Auerbach (per Nomad) e David Longstreth (dei Dirty Projectors, per Azel), per un album che sembra la sintesi perfetta del percorso di Omara Moctar fino a oggi: tuareggae (Tenesse), arabeschi elettrici difficilmente imitabili da dita umane (il finale in overdrive di Tehigren), ballate acustiche del deserto (Deran Deran Alkehir). Il tutto sorretto da testi poetici e politici al tempo stesso in lingua tuareg, il Tamasheq – è significativo che sia anche il titolo di una traccia – che ancora una volta declinano i concetti di casa, amore, identità, bellezza del deserto, scambio tra le persone.

Con il suo pedigree, Bombino poteva sacrificare il suo stile per un suono più internazionale e hype, invece ha scelto di restare fedele a se stesso e tornare alle origini. Il risultato è un disco dal sound inconfondibile, al tempo stesso internazionale ed esotico, contemporaneo e world – ma, grazie al cielo, per nulla noioso. Non è un caso che, nel suo Niger, sia apprezzato da tutti i gruppi etnici del Paese: uno status per niente banale. Bombino è il guitar hero ascoltato in Occidente di cui l’Africa ha disperatamente bisogno.

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