BoJack Horseman | Rolling Stone Italia
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BoJack Horseman

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Back in the ’90s / I was in a very famous TV show”. Si potrebbe riassumere così, con questo verso tratto dalla canzone dei titoli di coda, il presupposto alla base di BoJack Horseman, la serie Netflix ormai giunta alla terza stagione. Il BoJack del titolo è un attore frustrato e semi-alcolizzato, che conduce una vita solitaria, limitandosi a campare di rendita nel suo villone a quattro passi da Sunset Boulevard. BoJack, infatti, negli anni ’90 è stata la star di una delle sit-com più seguite dell’epoca, Horsin’ Around, incentrata su tre orfanelli finiti sotto la custodia di un simpatico cavallo scapolo. Ah già, BoJack è un cavallo, e questa è una serie animata.BoJack Horseman è una delle opere più riuscite sfornate finora da Netflix, un’animation comedy cruda ed esilarante, che ironizza sulla Hollywood di oggi. Ma è anche una profonda dissertazione sui temi più alti dell’esistenza umana, o equina in questo caso: ci è permesso ricominciare da capo? Siamo condannati a ripetere sempre gli stessi errori, a interpretare sempre lo stesso personaggio? Come si ripara ai torti commessi? E infine, che diavolo è la felicità? Nel contrasto tra la finzione del set televisivo e una realtà ben più amara, nonostante sia popolata di animali parlanti e città subacquee, la storia di BoJack (a cui presta la voce un convincente Will Arnett) è un percorso pieno di inciampi, ma carico di speranza. Figlia della nuova generazione di comedy televisive capaci di toccare vette di lirismo attraverso lo strumento della battuta, che per sua stessa natura punta il dito sull’assurdità del reale, BoJack Horseman è così una riflessione sincera e malinconica sulla differenza fra successo e soddisfazione, tra fama e rispetto, tra desiderio e necessità. E ci riesce, avendo per protagonista un cavallo parlante.

Questa recensione è stata pubblicata sul Rolling Stone di settembre. Clicca sulle icone qui sotto per leggere l'edizione digitale.
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Back in the ’90s / I was in a very famous TV show”. Si potrebbe riassumere così, con questo verso tratto dalla canzone dei titoli di coda, il presupposto alla base di BoJack Horseman, la serie Netflix ormai giunta alla terza stagione. Il BoJack del titolo è un attore frustrato e semi-alcolizzato, che conduce una vita solitaria, limitandosi a campare di rendita nel suo villone a quattro passi da Sunset Boulevard. BoJack, infatti, negli anni ’90 è stata la star di una delle sit-com più seguite dell’epoca, Horsin’ Around, incentrata su tre orfanelli finiti sotto la custodia di un simpatico cavallo scapolo. Ah già, BoJack è un cavallo, e questa è una serie animata.

BoJack Horseman è una delle opere più riuscite sfornate finora da Netflix, un’animation comedy cruda ed esilarante, che ironizza sulla Hollywood di oggi. Ma è anche una profonda dissertazione sui temi più alti dell’esistenza umana, o equina in questo caso: ci è permesso ricominciare da capo? Siamo condannati a ripetere sempre gli stessi errori, a interpretare sempre lo stesso personaggio? Come si ripara ai torti commessi? E infine, che diavolo è la felicità? Nel contrasto tra la finzione del set televisivo e una realtà ben più amara, nonostante sia popolata di animali parlanti e città subacquee, la storia di BoJack (a cui presta la voce un convincente Will Arnett) è un percorso pieno di inciampi, ma carico di speranza. Figlia della nuova generazione di comedy televisive capaci di toccare vette di lirismo attraverso lo strumento della battuta, che per sua stessa natura punta il dito sull’assurdità del reale, BoJack Horseman è così una riflessione sincera e malinconica sulla differenza fra successo e soddisfazione, tra fama e rispetto, tra desiderio e necessità. E ci riesce, avendo per protagonista un cavallo parlante.

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