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‘Being the Ricardos’ è la storia (bellissima) di Lucy e Desi o un comizio di Aaron Sorkin?

Nicole Kidman e Javier Bardem sono fenomenali nei panni dei leggendari Lucille Ball e Desi Arnaz, e l’incursione nella tv americana anni ’50 è impeccabile. Ma le urgenze ideologiche dell’autore di ‘West Wing’ e ‘The Social Network’ si fanno sentire un po’ troppo
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Come molti di noi, Aaron Sorkin ama Lucy. (Per la cronaca, allo sceneggiatore-regista sembra piacere molto anche Desi.) Per questo indaga su come l’ex modella Lucille Ball sia riuscita a farsi prima mettere sotto contratto dalla RKO, e poi a passare alla radio, dove la sua capacità di veicolare le battute attraverso una comicità molto fisica – gli ascoltatori non potevano vederla, ma Jack Benny (un popolare attore comico dell’epoca, ndt) invece sì – attirò l’attenzione dei produttori televisivi. Sorkin ammira il modo in cui Ball corteggiò il musicista cubano Desi Arnaz, suo collega nella dimenticabilissima commedia del 1940 Too Many Girls; e quello in cui, quando si trovò a recitare nella sitcom prodotta dalla CBS, insistette perché il suo vero marito interpretasse quello sullo schermo. Lunga vita ai Desilu!

Ed è ovvio quanto Sorkin sia andato in estasi a proposito del fatto che – quando c’erano in ballo l’integrità della serie, il suo talento da comedian e la convinzione che Lucy ne sapeva sempre più degli altri, in quanto a provocare risate nel pubblico – Ball abbia sempre parlato francamente davanti a registi, capi dei network e assistenti vari. Se c’è qualcosa che Sorkin ama più del suono dei suoi dialoghi o di sé stesso, è quando gli artisti alzano giustamente la testa di fronte ai brutti e cattivi Golia dello showbiz.

Being the Ricardos (disponibile su Amazon Prime Video) è moltissime cose insieme: un melodramma alla Scene da un matrimonio (come dice uno dei personaggi: “Cercavano di strapparsi la testa a vicenda, non solo i vestiti”); il ritratto di una donna che si comportava come un boss ma che non faceva mai prigionieri; un’incursione sul “making of” della gloriosa televisione americana degli anni ’50; e un’ottima scusa per far interpretare ad attori famosi di oggi gli attori famosi (e amatissimi) del passato.

Ma è soprattutto una “produzione Aaron Sorkin” (ormai servirebbe il copyright), con tutte le insidie e le delizie che comporta. Ambientato durante la lavorazione di un episodio della prima stagione di I Love Lucy, correva l’anno 1952, ma capace di sintetizzare diversi anni di scandali pubblici e privati, questo tributo alla royal couple della tv americana minaccia continuamente di trasformarsi nell’ennesimo comizio del suo autore: permettetemi di elogiare queste persone che si sono schierate dal lato giusto della Storia, che hanno combattuto contro i tabloid e l’opportunismo politico, e che, poiché erano puri di cuori e onesti nelle parole e nei fatti, sapevano, anche se all’epoca nessuno li appoggiava, di essere nel giusto. Ma basta parlare di me, sembra dirci la voce di Sorkin da dietro la macchina da presa. Ora parliamo di questa rossa fenomenale e del suonatore di bonghi diventato il suo compagno.

Che sono riportati in vita da due interpreti estremamente talentuosi in un modo che fa dimenticare l’effetto “karaoke di mezzanotte” tipico della recitazione di molti biopic come questo: nelle loro performance ci sono tantissime, e bellissime, sfumature. Quando il trailer del film ha iniziato a circolare online, molti hanno criticato la scelta di Nicole Kidman nei panni di Lucy, sostenendo che la pur amatissima star australiana fosse l’attrice sbagliata per dare il volto a quella leggenda della comicità. La fiducia di Sorkin ripaga invece in termini di rispetto dell’originale: se forse non ritroverete la stessa verve nei siparietti slapstick in bianco e nero che ricreano le scene di I Love Lucy, avrete però in cambio la sua personalità, la sua schiena dritta, il suo atteggiamento “alfa” mostrato dietro le quinte. La Lucille Ball attrice, la maestra di tempi comici con la faccia di gomma, è mostrata solo in pochi frammenti. Quel che importa è la businesswoman e la donna che voleva essere ascoltata, e Kidman le offre il miglior servizio possibile. Quanto a Bardem, quando non schiva i colpi della moglie a proposito dei suoi tradimenti è un concentrato di energia positiva, come se stesse recitando a passo di mambo. Non lo si vedeva così adorabilmente gigione dai tempi del villain di Bond in Skyfall (2012).

Ma mentre questi due attori da Oscar fanno i salti mortali per rendere quelle due leggende due semplici esseri umani, devono comunque fare i conti con un copione e tantissime storyline che tendono a ridurre tutto agli archetipi sorkiniani. Ball non è soltanto una donna da sola contro il patriarcato, è anche una martire del Primo Emendamento – una specie di Lucy d’Arco, con spada e corazza (pardon: acconciatura) luccicanti – e un capo che cerca disperatamente di bilanciare vita e lavoro a colpi di gag. Desi non è solo un ambasciatore della world music i cui occhi saltano fuori come quelli di un personaggio di Tex Avery quando vede Lucy con addosso solo una giacca e poco altro; è pure un immigrato che lotta contro una cultura ostile e un uomo che continua a professare le sue idee anticomuniste anche se la moglie viene pubblicamente considerata una “rossa”. Certo, queste vere celebrità contengono in sé tanti mondi, ma Being the Ricardos li costringe ad aggiungere “portavoce di Sorkin” nel loro curriculum. In alcuni momenti non vi sembrerà di vedere in scena delle persone, ma dei tempi di un dibattito che hanno preso vita.

Questo rischio è esteso, seppur in misura minore, a tutti i personaggi secondari. Anche se Nina Arianda e J.K. Simmons regalano duetti notevoli nei panni di Vivian Vance e William Frawley, più noti sullo schermo come Ethel e Fred, sono comunque confinati nel cliché: Donna Che Cerca Di Combattere Le Costrizioni Sociali Ma Anche Il Suo Invidioso Per Quanto Adorabile Mentore. Nei panni della Giovane Autrice Che Cerca Di Risolvere I Problemi c’è invece Alia Shawkat, mentre Tony Hale interpreta Il Boss Che Si Mette Dalla Parte Della Star Quando Serve. Tutti hanno modo di mostrare il loro fegato producendosi nei dialoghi velocissimi di Sorkin, e alcuni hanno anche il loro debito monologo o due. Forse avrete sentito parlare di un nome molto noto che, all’ultimo minuto, ritrattò le accuse di comunismo che aveva mosso contro Lucy: se non vi è successo, non vi roviniamo la “sorpresa”. Vi diciamo solo che è una scelta piuttosto forte, da parte di Sorkin, far passare quella persona come un difensore della libertà di espressione.

Insomma, si capisce presto che Being the Ricardos non è tanto un film sui due personaggi di fantasia di quella celebre sitcom, né sui fantastici attori che li hanno interpretati, e nemmeno sugli autori che li hanno scritti (paura del comunismo, adulterio, viaggi nell’Io, il diritto di dire “gravidanza”: il tutto in prima serata!); o, ancora, sul cammino che porta Lucy e Desi a un “e vissero felici e contenti” decisamente agrodolce. È un film sull’usare l’arte come arma di guerra. Come accadeva nel suo lavoro precedente, Il processo ai Chicago 7, Sorkin sembra vedere la Storia come pretesto per lavorare con la Serie A di Hollywood e lanciare le sue bombe ideologiche. Missione compiuta anche in questo caso, ma, a un certo punto, vorresti che il film non fosse la solita lezione sul punto di vista del suo autore, ma davvero una storia sui soggetti che ha scelto di raccontare.

Da Rolling Stone USA

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