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Donald Glover – Atlanta

Leggi la recensione della nuova serie comedy di FX su Rollingstone.it
4 / 5

La città di Atlanta è da sempre considerata il cuore pulsante dell’hip hop statunitense. Il New York Times l’ha definita il suo “centro di gravità”, dove vengono prodotte le grandi hit e nascono le leggende. È qui che punta i riflettori Atlanta, nuova comedy targata FX, anche se lo fa nella parte meno illuminata, quella dei sobborghi pieni di fermento e di contraddizioni, che come l’intera città conta una delle maggiori comunità di afroamericani. Atlanta, infatti, si inserisce a pieno titolo nella scia post-Empire, il Dallas con Jay-Z al posto di J.R. che ha cambiato le regole del gioco. Diciamo meglio: Empire ha imposto all’attenzione collettiva, specialmente negli Stati Uniti, un cambiamento già avvenuto, ma non ancora assimilato. Si tratta di una rivoluzione culturale che, esplosa proprio al tramonto dell’era Obama, ha proiettato le cosiddette minoranze (che minoranze non sono, se non nel peso avuto finora all’interno della discussione pubblica) al centro della proposta culturale, emancipandole dalla nicchia in cui erano stipate finora e rendendole una volta per tutte davvero mainstream. Empire tiene incollate davanti allo schermo decine di milioni di spettatori. Con Atlanta FX, canale al momento fra i più coraggiosi e di maggior qualità nel mercato, propone una novità che, ricalcandone le orme, prova a spingersi un po’ più in là. Atlanta è creata da Donald Glover, stand-up comedian, attore (molti lo ricorderanno come Troy nella sit-com cult Community) e anche rapper sotto lo pseudonimo Childish Gambino, impegnato nella sua opera prima. La sua creatura ci trasporta nella scena hip hop di Atlanta, dove Earn, uno spiantato giovane semi-disoccupato con una figlia e una ex compagna a carico, cerca la sua grande occasione proponendosi al cugino, ora conosciuto nell’ambiente grazie alla sua hit Paperboy, nel ruolo di manager musicale.
La particolarità di Atlanta è il suo padroneggiare un tono di comedy meno immediato, il suo giocare con una realtà che è la nostra, sia attraverso scelte registiche (fotografia non patinata, scenari suburbani) che tematiche: nei primi due episodi vengono descritti – con toni leggeri, certo, ma mai innocui – la contaminazione fra scena hip hop e malavita, il rapporto conflittuale fra neri e polizia. Un prodotto personale, ambizioso eppure controllato, a fuoco.

Questa recensione è stata pubblicata su Rolling Stone di ottobre.
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