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Anche a ’sto giro ‘Euphoria’ va al massimo

Dopo una pausa di oltre due anni a causa della pandemia, per la sua seconda stagione il teen drama starring Zendaya continua ad appoggiarsi ai suoi impulsi esagerati. Tra sesso, droghe, violenza e grandi sentimenti
3.5 / 5

In uno degli episodi della seconda stagione di Euphoria (dal 10 gennaio su Sky e NOW), uno dei personaggi viene aggredito da un intruso armato nella sua camera da letto ed è costretto a partecipare a una partita di roulette russa. Dopo che quel gioco contorto si è concluso, la cinepresa fa una panoramica del suo comò, dove il telefono mostra un messaggio di un’amica che è furibonda per il modo in cui il suo ragazzo le ha appena parlato.

Tra le cose che questa serie cattura meglio c’è la sensazione che nell’adolescenza tutto ciò che ti accade, non importa quanto grande o piccolo, può avere lo stesso peso iperbolico: qualsiasi cosa positiva in qualche modo sembra un viaggio in paradiso, e qualsiasi cosa negativa è un armageddon. Quelle reazioni estreme sono fedeli alla stessa Euphoria, che è tornata con una nuova stagione completa dopo due anni e mezzo a causa della pandemia. I nuovi episodi offrono scene così perspicaci o presentate ad arte che in quei momenti la serie sembra una delle migliori che la televisione abbia prodotto da tempo. Poi altri sono così esasperati e autoindulgenti da lasciarti col dubbio che ti siano piaciute le parti migliori. A volte la stessa scena può evocare entrambe le reazioni contemporaneamente.

Durante la lunga pausa tra le stagioni, il creatore di Euphoria Sam Levinson ha scritto e diretto due speciali “minimalisti” incentrati su due personaggi centrali: la tossicodipendente in perenne ricaduta Rue (Zendaya), che condivide il suo senso di disperazione suicida con il suo sponsor Ali (Colman Domingo), e l’ex fidanzata di Rue, Jules (Hunter Schafer, che ha anche scritto il copione insieme a Levinson), alle prese con le sua emozioni sia per quanto riguarda la sua transizione di genere che per la stessa Rue. Il primo speciale era sensazionale – un “tranquillo” tour de force per Zendaya, Domingo e Levinson – e quello di Jules era eccellente e drammaticamente necessario, visto che la prima stagione ha offerto scorci molto più brevi della sua vita interiore. Spogliati dei consueti eccessi di stile e tono della serie, gli speciali erano così avvincenti e intimi da offrire la possibilità allettante di un cambiamento nell’approccio di Levinson all’intera serie una volta che il cast e la troupe fossero tornati a pieno regime.

Qualsiasi illusione però si smaterializza nei primi minuti della seconda stagione, che ci mostra Kitty (Katherine Narducci), nonna dell’affabile giovane spacciatore della serie Fezco (Angus Cloud), mentre fa irruzione in uno strip club, interrompendo un “lavoretto” a metà e sparando a una gamba a un uomo mentre vediamo schizzi di sangue sul suo pene in erezione. Eccola, Euphoria è sempre stata questo. Quello stile estremamente carico si estende alla nostra reintroduzione al resto dell’ensemble: l’atleta supervillain Nate (Jacob Elordi), l’ape regina Maddy (Alexa Demie), le sorelle diverse Cassie (Sydney Sweeney) e Lexi (Maude Apatow), l’occasionale cam girl Kat (Barbie Ferreira), più la new entry Elliot (Dominic Fike). Veniamo catapultati a una festa di Capodanno (*) in cui un personaggio viene picchiato selvaggiamente, un altro si becca un asciugamano imbevuto di urina in faccia e un terzo va per un attimo in arresto cardiaco. E la situazione non si tranquillizza col procedere degli episodi.

(*) Il finale della prima stagione si svolgeva al ballo invernale della scuola e gli speciali su Rue e Jules erano entrambi ambientati poco dopo la vigilia di Natale. Quindi è passato poco tempo per i ragazzi, anche se per noi invece ne è trascorso parecchio. Nessuno è sostanzialmente invecchiato sullo schermo, a parte forse Storm Reid nei panni della sorella minore di Rue, Gia, ma non è sempre facile ricordare cosa sia successo a questi personaggi due anni e mezzo fa e quali sviluppi potrebbero influenzare il loro comportamento ora. (Né, del resto, aiuta il fatto che la serie a volte possa confonderci a proposito di quando gli eventi in una storyline stanno accadendo rispetto agli eventi in un’altra, e a volte nel farci distinguere la realtà dalla fantasia e dai flashback.)

Levinson scrive e dirige tutti gli episodi, e ci sono momenti in cui il suo approccio al sovraccarico sensoriale fa miracoli, a volte in sequenze singole, a volte anche per ore intere. L’implacabile quinto episodio segue Rue attraverso una dura prova per tutta la notte per ottenere la soluzione di cui ha bisogno senza entrare in conflitto né con la polizia né con la spacciatrice amichevole ma minacciosa Laurie (la comica Martha Kelly), ed è un altro promemoria della magistrale padronanza che Zendaya ha dello schermo (ha vinto un Emmy per il ruolo nell’autunno del 2020). La terza puntata è un episodio da manuale della serie, ma presentato con un tocco abbastanza leggero – Zendaya sa anche giocare su battute e registri più leggeri, come dimostrato daA tutto ritmo e attraverso i suoi film di Spider-Man – per mostrare le solite indulgenze della serie come se persino Levinson riconoscesse che sono un po’ ridicole.

Jacob Elordi è Nate. Foto: HBO/Sky

Lo showrunner e regista è in grado di realizzare quella versione leggermente comica e rilassata della serie ogni volta che lo desidera. Semplicemente non sembra interessato a questo – certamente non tanto quanto agli inganni senza fine di Nate, un sociopatico capace di convincere chiunque a fare qualsiasi cosa lui voglia, non importa quanto mostruosa o dannosa anche per il soggetto. Nonostante tutto, alcuni dei personaggi intrappolati nella sua orbita si realizzano completamente: un episodio offre un lungo flashback ai giorni del liceo del padre di Nate, Cal (Eric Dane), che sembra quello che sarebbe stata la versione di Euphoria della metà degli anni Novanta (*) – ma lo stesso Nate è un insieme di cliché così caricaturali che diventa difficile prendere sul serio qualsiasi scena con lui. E suona involontariamente sciocco ogni volta che la serie tenta di umanizzarlo nonostante tutte le cose malvagie che continua a fare.

(*) Anche se pure questo ha lo svantaggio di arrivare dopo che Yellowjackets, ambientata negli anni Novanta, ha usurpato la corona di Euphoria come it show sulle ragazze adolescenti che si comportano in modo sconsiderato.

Levinson è molto più bravo a creare materiale per mostrare il resto del suo impressionante giovane cast. Zendaya è la primadonna indiscussa, credibile e affascinante quando Rue è più ostile o cinica come lo è quando il personaggio è vulnerabile. Ma Sweeney (bravissima in The White Lotus) quest’anno si impegna ferocemente in ogni tappa del viaggio di Cassie, ed è ricompensata dall’essere molto più centrale nella narrazione di quanto non fosse nella prima stagione (*), anche se significa che la maggior parte delle scene di Cassie coinvolgono anche Nate. Fike scivola perfettamente nella parte della serie che riguarda Rue e Jules, e Schafer fa bene a interpretare una Jules più smorzata ed emotivamente più in conflitto a questo giro.

(*) La trama nel complesso è più snella, sostanzialmente con metà della storia incentrata su Rue, Jules ed Elliot, e l’altra metà sul gruppo Maddy/Nate/Cassie, con qualche crossover. L’unico personaggio a soffrire nel nuovo arrangiamento è Kat, che sostituisce Cassie come outsider. Spesso è da sola in una sottotrama sulla sua insoddisfazione in una relazione con un bel ragazzo che la tratta bene, lamentandosi in una scena: «Non c’è oscurità. È semplicemente dolce». La dolcezza, ovviamente, è la morte in una serie come questa.

A un certo punto Laurie offre a Rue una lezione sulla chimica del cervello: più a lungo usi le droghe per sentirti felice e bene, meno il tuo cervello elaborerà quegli effetti, finché il meglio che puoi sperare è che le droghe ti rendano insensibile. Ci sono momenti in cui Euphoria, come Rue, non considera mai gli effetti a lungo termine dell’andare sempre a mille. Quando quasi ogni momento è al livello emotivo più estremo possibile, scena dopo scena, ora dopo ora, diventa sempre più difficile per qualsiasi sequenza, non importa quanto esagerata, avere un impatto. È divertente (in accezione karaoke pop) quando l’apertura della stagione sulla nonna spacciatrice di Fezco usa Jump Into the Fire di Harry Nilsson – che faceva parte di un montaggio iconico di attività simili in Quei bravi ragazzi – ma quando una scena successiva dello stesso episodio evoca Mr. Blonde che balla il soft rock anni Settanta nelle Iene (anche usando un’altra canzone di Gerry Rafferty!) è un po’ sfiancante.

Naturalmente una volta i critici accusavano il giovane Quentin Tarantino di remixare le idee che rubava ai suoi stessi idoli e, se il pubblico di Euphoria conosce Quei bravi ragazzi, è sicuramente perché gliene hanno parlato i genitori. Ma il doppio omaggio alla musica rétro suggerisce come Euphoria non possa mai funzionare abbastanza bene da sola. Anche quando è ottima, sembra di ricevere una montagna del tuo gusto di gelato preferito: delizioso all’inizio, ma più lo consumi più ne pagherai le conseguenze.

Verso la fine della stagione, la timida Lexi decide di smettere di essere una comparsa nella sua stessa vita e diventa la star, mettendo in scena uno spettacolo su se stessa e le sue amiche, dove vediamo Maude Apatow e un gruppo di guest star recitare la trama di Euphoria nell’auditorium della scuola. Da un lato, questo porta a un altro episodio formidabile, formalmente fantasioso, in cui le scene sul palco si confondono in sequenze con i personaggi “reali”. (È anche, come il terzo episodio, perfettamente bilanciato tra angoscia e umorismo consapevole.) Dall’altro, le scene sono così simili e la voce fuori campo di Lexi così evocativa della narrazione che Zendaya offre in modo magneticamente sottovalutato ogni due settimane da far percepire Euphoria nel suo insieme come qualcosa che Lexi avrebbe potuto scrivere – e non in modo lusinghiero.

Euphoria è abbastanza grande da giustificare spesso almeno alcuni dei suoi comportamenti peggiori, anche se a volte vale anche per la serie quello che ammette Cassie: «Continuo a non imparare dai miei errori e a commetterli di nuovo».

Da Rolling Stone USA

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