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‘A Quiet Place II’: zitti, zitti, ma stavolta il silenzio non è d’oro

O meglio: dopo un incipit clamoroso, il sequel dell’horror-cult di John Krasinski perde il ritmo. E, da opera seminale, diventa il semplice secondo capitolo di un franchise come tanti
3 / 5

Iniziamo… dall’inizio. È una bella giornata di tarda primavera a Smalltown, Stati Uniti. Un uomo alto e allampanato – lo chiameremo Lee Abbott – scende dal suo pick-up ed entra in un piccolo negozio sulla via principale. Cammina tra i corridoi, ne supera uno pieno di shuttle giocattolo e prende qualche bottiglia d’acqua e un po’ di snack. Il proprietario sta litigando con un cliente. Lee gli fa un cenno ed esce. In sottofondo, i telegiornali riportano la notizia di strani fenomeni che stanno avvenendo in molte città.

Durante una partita della Little League, il figlio di Lee, Marcus, si sta riscaldando a bordo campo. Il resto degli Abbott – la moglie di Lee, Evelyn, la figlia sordomuta Regan e il piccolo Beau – sono sugli spalti. Lee scambia qualche parola con un uomo seduto dietro di lui, il tipo che arrotola le maniche della camicia attorno ai bicipiti scolpiti. Anche suo figlio è tra i giocatori. E proprio mentre Marcus si prepara a battere, tutti notano qualcosa in lontananza. Qualcosa che striscia tra le nuvole, e che si sta avvicinando alla Terra con una velocità preoccupante…

Dovete immergervi nel prologo di A Quiet Place II, il sequel del fortunatissimo film di John Krasinski del 2018: è un piccolo film a sé stante, in miniatura, pieno di silenzio e ritmo, e di tutti gli ingredienti che hanno reso il primo capitolo un’opera originale ed entusiasmante. Il nastro si riavvolge fino al Giorno 1, l’ultimo momento prima che lo stare in silenzio equivalesse al restare vivi. La folla si è appena riversata sulla via principale della cittadina quando gli alieni si mostrano per la prima volta. Il caos impazza.

Ancora una volta, Krasinski qua e là silenzia completamente la colonna sonora, lasciando che sia quel caos silenzioso – e le reazioni di Regan – a guidare la nostra visione. Se avete visto il trailer, avete presente la ripresa in soggettiva dell’autobus che arriva dritto contro l’automobile degli Abbott, mentre un braccio esce da un finestrino rotto. La famiglia evita lo schianto, scappa, e si ritrova nelle strade dove regna la distruzione. Lee e sua figlia riescono per attimo a nascondersi in un bar, mettendosi al sicuro. Gli altri, come tutti quelli che hanno dimenticato di spegnere i loro telefoni, non sono così fortunati. Ci piace pensare che l’intenzione dell’autore sia quella di rivolgere un bel “vaffanculo” agli spettatori che, tornati nelle sale dopo più di un anno, pensano che i cinema siano equivalenti al loro salotto. A questo proposito: è proprio questo incipit, che mischia l’iconografia americana di Norman Rockwell e i massacri sci-fi di Heinlein, a ricordarci perché siamo stati così impazienti di tornare a vedere i film in queste sale buie, invece che sul televisore di casa.

Come moltissimi altri film più o meno rilevanti, A Quiet Place II era previsto nelle sale un anno fa, prima che l’incubo reale che abbiamo vissuto superasse quelli immaginati dalla finzione. Un inizio in cui la vita di tutti i giorni viene interrotta da una minaccia piombata da chissà dove, che presto si traduce in emergenza e panico, fa un effetto molto diverso, se vista a metà 2021. Il bello è che questo ritratto di sopravvivenza firmato Krasinski combacia con la riapertura dei cinema, e dunque con il ritorno alla normalità (o quasi). Guardate l’incipit di A Quiet Place II in una sala con decine di persone che urlano, e la sequenza vi sembrerà un concentrato di gioioso delirio.

Il pericolo di cominciare il tuo film con un pezzo così da virtuoso è rischiare di raggiungere la vetta troppo presto. Dopo questo forsennato flashback, torniamo nel presente, vale a dire pochi minuti dopo il climax dell’episodio precedente. Evelyn (Emily Blunt), Regan (Millicent Simmonds, anche qui la vera rivelazione), Marcus (Noah Jupe) e il loro fratellino appena nato si stanno preparando a lasciare la loro fattoria e a raggiungere un gruppo di sopravvissuti e uno strano tempio; c’è una mappa con indicati tutti i luoghi potenzialmente sicuri lungo il cammino. Incontrano Emmett (il Cillian Murphy di Peaky Blinders), l’uomo con cui parlava Lee durante la partita di baseball, con tutta la sua attrezzatura nascosta in un’ex fabbrica. Un po’ controvoglia, li fa entrare, anche se pensa che accogliere altri esseri umani sia pericoloso: «Non puoi sapere quello che sono diventati». Una vita passata a guardare zombie movie e film postapocalittici non ci ha insegnato niente: sappiamo benissimo che il male che possono generare gli esseri umani in situazioni come questa fa sembrare i mostri delle creature da coccolare.

Regan, tuttavia, insiste. La sua famiglia ha ascoltato per caso una canzone trasmessa alla radio in un loop infinito: Beyond the Sea di Bobby Darin. E lei vede un indizio nel titolo: cercate un’isola, lì troverete il vostro paradiso. Evelyn vorrebbe solo restare lì, radunare le loro cose e dare tempo a Marcus di curare la sua ferita. La figlia fugge in piena notte, contro il volere della madre. Emmett la segue, inizialmente per riportarla indietro. Ma l’idea della ragazzina potrebbe portare a un futuro più roseo per tutti…

Da questo momento, Krasinski e il suo formidabile team – applausi al compositore Marco Beltrami, al direttore della fotografia Polly Morgan e (soprattutto) al montatore Michael P. Shawver, senza però dimenticare gli autori degli effetti visivi – si muove su diversi piani d’azione. Regan e Emmett nel loro cammino. Evelyn in una missione di rifornimento provviste. Marcus e il neonato a casa, attenti a evitare gli spaventosi predatori alieni. Alcuni dei momenti più paurosi coinvolgono bombole di ossigeno, un molo, della benzina, una stazione radio e la fornace di un mulino convertita temporaneamente in panic room. Nulla raggiunge il livello della sequenza iniziale, naturalmente, ma non era quella la cosa che Krasinski e soci avevano in mente. Il regista ha sempre detto che gli orrori sono sempre stati il mezzo per raggiungere un fine, anche se ovviamente sa benissimo come mantenere la tensione e usare le inquadrature per inquietare lo spettatore. L’ex star di The Office ha però più interesse al fatto che il pubblico continui a tifare per la famiglia protagonista. Gli importa che lo spettatore continui a seguire gli Abbott ovunque vadano e qualsiasi cosa facciano.

E stavolta, dopo quella premessa così ambiziosa, è difficile non percepire A Quiet Place II come un prodotto dalla confezione extra-lusso che però, nonostante tutte le piste che prende, non ci porta da nessuna parte. Se il primo film era una sorta di parabola sull’essere genitori, questo secondo capitolo si sofferma sulla sofferenza di chi lascia il nido, ma poi non la esplora fino in fondo. Lo stesso vale per l’idea che, quando la società si trova legata da obblighi e costrizioni, può venire fuori il meglio di essa, ma anche il peggio – una teoria che a Krasinski, che ha girato la Parte I in piena epoca Trump, sarà risuonata oggi ancora più forte. (Che differenza può fare un anno, e una pandemia seguita da un’insurrezione politica.)

Cillian Murphy è Emmett. Foto: Eagle Pictures

Potreste forse riconoscere due attori che compiano verso la fine, uno camuffato da una fitta barba, e chiedervi perché sono messi in scena così frettolosamente, senza che ci venga spiegato nulla. A meno che, ovviamente, non siano semplicemente qui in attesa del prossimo capitolo. Il che ci porta alla colpa maggiore di questo film. Senza spoilerare nulla, possiamo solo dire che A Quiet Place II finisce con un cliffhanger. Un terzo film, scritto e diretto da Jeff Nichols (Midnight Special), è in lavorazione. E mentre molti sequel di grandi blockbuster servono come “ponte” tra un capitolo e l’altro – e pochi, vedi Gli ultimi Jedi, si rivelano superiori sia a ciò che li ha preceduti sia a quello che viene dopo – c’è qualcosa di particolarmente irritante nel modo in cui questo film sembra essere in stallo. Lo sforzo di formalismo visivo (amplificato dalla visione in sala) non riesce a compensare la fiacchezza narrativa, e nemmeno l’empatia verso la famiglia protagonista può farti passare l’idea che questo film serva solo a farti passare due ore, e poco altro.

A Quiet Place era una variazione sul tema “invasione aliena” con ottime trovate e un grande cuore, un adorabile pezzo di cinema che sembrava creare un genere a sé. La Parte II sembra un sequel già visto, un prodotto pensato per incastonarsi in un franchise come tanti. Lasciamolo passare, e aspettiamo che arrivi il prossimo anno, la prossima estate, la prossima riunione sul budget a raccontarci la vera storia. Quello che la prima volta era sembrata una cosa geniale ora pare un mero esercizio di stile, un pezzo di intrattenimento aziendale pensato solo per costituire un nuovo brand.

Da Rolling Stone USA

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