‘A Head Full of Dreams’, il documentario sui Coldplay è come un abbraccio di gruppo | Rolling Stone Italia
Recensioni

‘A Head Full of Dreams’, il documentario sui Coldplay è come un abbraccio di gruppo

Se cercate il cliché scandali e rock 'n' roll non andrete oltre la prima mezz'ora, ma se volete bene alla band almeno la metà di quanto gliene vuole il regista, vi entusiasmerà. Al cinema solo il 14 novembre.

“Ti prego, non aprire il film con una di quelle solite scene in cui la band nel backstage percorre il corridoio per salire sul palco” raccomanda Chris Martin a Mat Whitecross, il regista di A Head Full of Dreams. E, naturalmente, il documentario inizia esattamente con quelle immagini ad accompagnare l’audio della telefonata. Una concessione autoironica, una strizzata d’occhio a Chris e soci in quella che è una celebrazione reverenziale e affettiva dei 20 anni che hanno portato i Coldplay alla conquista del mondo, fino all’ultimo, spettacolare tour.

Coldplay - A Head Full Of Dreams (Official Film Trailer)

E non potrebbe essere altrimenti, perché Mat Whitecross (quello che in Supersonic ha catturato ascesa e scontri dei fratelli Gallagher) ai Coldplay vuole bene. Anzi, vuole bene a Chris, Guy, Jonny e Will. Solo un amico poteva ammiccare così apertamente, solo un amico poteva accompagnare a ogni pezzo della storia le immagini adeguate, quelle vere. Perché lui c’era: ha incontrato gli Starfish al college nel 1996, ha immortalato la loro prima esibizione al Dublin Castle di Camden Town. Un anno dopo loro sono diventati i Coldplay e lui non ha mai smesso di filmarli da allora. Un approccio che potrebbe segnare un genere emergente di documentari musicali: l’origin movie visto da un insider, in cui i filmati dei successi contemporanei si mescolano a un tesoretto di video analogici (alcuni piuttosto imbarazzanti) girati da amici o familiari tra giorni di scuola, capatine alle feste studentesche, esibizioni in dormitori, primissimi concerti, con la faccia adolescenziale delle star in primissimo piano. C’è un Chris Martin magrolino e capellone, ma con gli occhi pieni vita, di energia e di musica: “È la forza creativa inarrestabile della band, è il nostro migliore amico, un genio” dicono di lui il bassista Guy Berryman, il chitarrista Jonny Buckland e il batterista Will Champion, che il lungometraggio ci dà democraticamente modo di conoscere.

Anche se è inevitabile: è lui, il golden boy, a emergere, instancabile, divertente, insicuro. Nella telefonata iniziale Martin confessa al regista di non voler vedere il film: “Temo che avrei la tentazione di togliermi da ogni inquadratura”. Pochi minuti dopo eccolo, spavaldo e con l’apparecchio ai denti, che si rivolge alla camera: “È il 26 giugno del 1998, tra quattro anni questo video sarà sulla tv nazionale perché i Coldplay saranno una grande band. Chris, Guy, Jonny e Will, non dimenticate questi nomi”.

Stacco di montaggio. Quattro anni e tre giorni dopo il gruppo è tra gli headliner di Glastonbury. Ma quella dichiarazione non ha il sapore della spacconeria made in Noel e Liam, piuttosto sembra una premonizione, una promessa, un intento. Il resto è storia della musica. A Head Full of Dreams va avanti e indietro nel tempo mixando le immagini stupefacenti dei coloratissimi spettacoli dal vivo dei Coldplay con il materiale d’archivio e di backstage, commentato dalle voci fuori campo dei protagonisti: il quartetto in studio o in ufficio, che discute amabilmente di cosa dovrebbe andare nell’album, che suona, ride, si confronta, fa le prime interviste, se la prende con la stampa quando il New York Times definisce i Coldplay “la band più insopportabile”. Anche se la riflessione qualche anno dopo è: “Non puoi piacere a tutti, se ci provi, sicuramente fallirai”.

Di down in 20 anni, dai locali luridi di Camden ai più grandi stadi dei cinque continenti, ce ne sono stati, ovvio, ma a Whitecross non interessa sottolinearli troppo, esattamente come ai fan dei Coldplay non interessa approfondirli. Per dovere di cronaca il documentario mostra tutti i momenti più turbolenti: la cacciata del batterista per caso Will Champion, l’allontanamento volontario del loro primo manager e “quinto membro della band” Phil Harvey, il disastroso sbarco in America dopo il riconoscimento nel Regno Unito. Ma Chris Martin ammette che ha fatto “lo stronzo con Will”, Phil è ritornato a casa e del successo planetario beh, è inutile dire… Insomma, come ogni altra cosa in questa storia, le fratture sono state rapidamente sanate e i legami fraterni ne sono usciti ancora più saldi.

Persino il “disaccoppiamento consapevole” (come l’hanno definito loro) del frontman con Gwyneth Paltrow e la depressione di lui vengono raccontati con estrema delicatezza: Martin spiega che aveva bisogno “di cantare per arrivare a fine giornata”, i colleghi si prendono cura di lui, “volevamo che la musica gli portasse il conforto che gli ha sempre portato, volevamo essere i suoi amici di musica. Siamo una famiglia”. Un viaggio che Chris Martin ha definito “dalla solitudine assoluta all’amicizia assoluta” e da cui, guarda caso, è uscito qualcosa di buono (e super redditizio): il sesto album della band, Ghost Stories.

Le canzoni ci sono, live e in studio, e spesso quelle più amate e celebri vengono rivelate in modi non convenzionali: c’è Beyoncé che registra Hymn for the Weekend nel caos disordinato di una delle camerette dei figli di Martin o il produttore Brian Eno che caccia il frontman da alcune sessioni durante le registrazioni di Viva la Vida, a causa del suo eccessivo perfezionismo.

Sì, i Coldplay sono quanto di più lontano ci sia dal cliché scandali e rock ‘n’ roll dei documentari musicali: sono quattro ragazzi inglesi, educati e borghesi, quattro tipi piuttosto “ordinari” che però quando fanno musica funzionano come un insieme straordinario. Non hanno mai voluto distruggere il sistema o fare le star, hanno sempre e solo desiderato diventare i Coldplay.

E ora la missione è compiuta, tanto che durante l’ultimo show dell’ultimo tour Martin confessa: “Non so cosa ci sarà dopo. Non credo che ci sarà un altro album convenzionale dei Coldplay, è come la fine di un’era, ma ho fede nel futuro”.

Un tentativo di preparare i fan a un possibile distacco? Forse, ma sul palco di Buenos Aires, immerso nei colori dello show e a fianco degli amici di una vita, Chris Martin subito dopo rassicura quello stesso pubblico: “Ci siamo dentro insieme, siamo un’unica grande band, tutto è possibile se non vi arrendete e se credete nell’amore”.

A Head Full of Dreams cerca sempre di illuminare il lato positivo, edulcorando un pochino e sorvolando qua e là. Ma se volete bene ai Coldplay almeno la metà di quanto gliene vuole Mat Whitecross, il documentario vi entusiasmerà.

Coldplay: A Head Full of Dreams arriva al cinema come evento speciale solo il 14 novembre e sarà in esclusiva su Amazon Prime Video dal 16 novembre.

Altre notizie su:  Coldplay