Viaggio nella sex positivity delle serate techno di Berlino | Rolling Stone Italia
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Viaggio nella sex positivity delle serate techno di Berlino

Il divertimento diventa fine a sé stesso, a ballare si va per ballare, la competizione diventa condivisione e alla fine tutti scopano con tutti

Viaggio nella sex positivity delle serate techno di Berlino

Foto via Unsplash

L’estate scorsa, a Berlino, un amico con cui scopavo mi propone di andare in un locale a Ostkreuz, l’://about blank, in cui il terzo fine settimana di ogni mese si svolge Buttons, una popolare festa techno-queer che dura un intero weekend, dal venerdì alla domenica sera. Sapevo che Berlino è famosa per la nightlife (i meme a riguardo sono molto carini) e la libertà sessuale. Florian Hetz, un fotografo di nudo maschile di Berlino, in un’intervista la definisce una “meta sessuale, Disneyland del sesso per adulti, in cui le persone si recano per passare weekend di feste, sesso, droghe, lasciando le proprie responsabilità a Stoccolma, New York, o ovunque vivano”. 

Ho accettato senza troppe aspettative, visto che miei pregiudizi basic mi hanno sempre fatto associare (a torto) “techno” a “cafoni drogati che ballano male”, contando anche che per una buona parte della vita ho odiato andare a ballare. Le discoteche del paese da cui vengo sono per lo più caratterizzate da musica pop-trash remixata male in salsa maschi/femmine bianchi/e etero basic (o MBEB/FBEB, come direbbero Le bimbe di Lilli Gruber); tra logiche di branco e competizione sessuale, per le ragazze le serate erano un’occasione per vestirsi particolarmente bene, cosa che ho sempre invidiato loro, e poter “sedurre” i ragazzi in un contesto più o meno socialmente accettato, e con slut-shaming stranamente limitato o quantomeno rimandato al post-serata; i ragazzi, in qualità di cacciatori, ne approfittavano per buttarsi e toccarle; a fine serata si faceva la conta di chi aveva totalizzato più “uscite”, o persone limonate. 

Verso mezzanotte mi metto in fila; leggo su internet della selezione all’ingresso e che c’è il rischio di non entrare, ma il mio amico dice che per me non ci dovrebbero essere problemi. In fila, un ragazzo – che da ora in avanti chiameremo K – mi bacia e palpa dal nulla, e da lì abbiamo passato il resto della serata insieme. Dentro i buttafuori mettono due adesivi su entrambe le fotocamere dei telefoni per coprirle: in molti nightclub di Berlino è vietato fare foto e video, pena l’espulsione;  a volte capita di vedere nel feed di Instagram storie completamente nere in cui si sente il beat della techno. Immagino che la logica che vi sta dietro è che in un ambiente in cui le persone si spogliano o fanno sesso in pubblico, è importante che si sentano protette e al sicuro nel farlo.

Il locale ha due piani e lo spazio in cui si balla non è molto grande, o almeno il fatto che sia intasato di persone semi-nude e sudate tende a ridurlo molto. Fuori c’è un giardino grande e molto bello, che viene lasciato aperto anche in inverno, con ragazzi in giro a chiacchierare, e anche qualcuno che fa sesso tra i cespugli. Il pubblico è piuttosto variegato nell’età e tipologie di corpo; vedo per lo più uomini, ma nelle pagine Facebook degli eventi il party si definisce aperto a un’infinità di categorie, tra cui “gay, lesbo, queers, transsexual, freaks, gender variant, social bottoms”. Mi colpisce soprattutto il fatto che il sesso pubblico non sia oggetto di scandalo o di curiosità morbose, fatta eccezione per alcuni ragazzi che vivono nel palazzo dietro al giardino, che ogni tanto spiano divertiti dalla finestra. 

Il bagno è esattamente come uno immaginerebbe il cesso di un locale di Berlino: lercio e con una luce gialla/rossa soffusa. Mi colpisce un ragazzo che ha una linea tatuata che collega la nuca alla spaccatura del culo, mentre sul glande ha un anello di metallo molto spesso. Fuori dal bagno un ragazzo che mi somiglia leggermente mi fissa per un po’, si presenta e poi si unisce a noi. Passiamo un buon quarto d’ora a baciarci, con la techno che ci fa da colonna sonora e i cazzi in tiro che si strusciano, mentre ci palpiamo il culo a vicenda. “Dark room?” mi propone, e rifiuto gentilmente. 

Un ragazzo americano molto carino e K. iniziano a parlare, poi il primo inizia a far un pompino al secondo. K. mi chiede se voglio unirmi e così mi abbasso a succhiarglielo insieme all’americano,  mentre una sua amica ci guarda sorridendo e dicendo che “una cosa del genere non potrebbe mai accadere in un locale etero”. Probabilmente è vero, forse potrebbe succedere in una roba estetica per ricchi scambisti alla Eyes Wide Shut. In Italia cose simili si vedono per lo più in locali di cruising – posti in cui gli uomini vanno appositamente per cercare sesso – che appartengono a una subcultura stigmatizzata e sono ben lontani dalle serate queer mainstream. Al contrario, l’://about blank, il Berghain, o anche il KitKat, non si inscrivono in un contesto ghetto-underground, e non sono neanche propriamente locali che ospitano “sex parties”, ma fanno parte della scena mainstream berlinese.

Dico spesso, più o meno ironicamente, che “noi gay ci divertiamo di più”. Non so se sia effettivamente così, forse bisognerebbe fare un paio di esperimenti per dimostrarlo, ma so che sicuramente io mi diverto di più in contesti più aperti e tolleranti, in cui il giudizio altrui nei miei confronti è limitato e posso pensare a ballare senza guardarmi costantemente intorno. Occasionalmente mi blocca quel senso di ansia, invidia e competizione interiorizzata che purtroppo negli ambienti queer esiste eccome, come se fossimo tutti in gara per uno stesso cazzo – quando poi non è così, si può condividere. 

A fine serata mi siedo in un angolo e mi fermo a guardare una ragazza che balla da sola; è senza maglia e reggiseno, poco più che ventenne, ha le tette piccole e graziose e lo sguardo perso nel vuoto, si muove benissimo, perfettamente a tempo con la musica. Mi ricorda un’amica con le stesse tette con cui una volta ho discusso perché sosteneva che le ragazze in discoteca e gli uomini che fanno cruising sono la stessa cosa, in quanto hanno lo stesso intento, scopare. 

In realtà, penso che la modalità di approccio renda le due cose completamente differenti: da un lato, la seduzione è implicita, si svolge e si ‘libera’ in un preciso contesto, senza mai slegarsi dallo stigma che colpisce un certo tipo di sessualità. Dall’altro parliamo di una richiesta esplicita, di sesso normale e inflazionato, quindi potenzialmente democratico e per tutti, e la diversità viene valorizzata e celebrata. E allora il divertimento diventa fine a sé stesso, a ballare si va per ballare, la competizione diventa condivisione e alla fine tutti scopano con tutti.