Tutto quello che non avete mai osato chiedere sui sex club | Rolling Stone Italia
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Tutto quello che non avete mai osato chiedere sui sex club

Nell'immaginario comune i sex club sono visti come posti oscuri e trasgressivi, ma possono essere anche luoghi dove imparare a vivere liberamente la propria sessualità o persino trovare l'amore

Tutto quello che non avete mai osato chiedere sui sex club

L'insegna di un locale di strip a Los Angeles. Foto via Wikimedia Commons

Pubblicizzati come templi della trasgressione, i club privé e nello specifico i sex club sono considerati nell’immaginario comune come dei semplici locali per coppie scambiste. Ma la verità è che possono essere luoghi in cui fantasie, desideri e giochi erotici prendono forma liberamente e dove il sesso può essere vissuto in modo giocoso e disinibito – anche in virtù del fatto che non ci si conosce.

Nei sex club – e specifico che in questo pezzo parlerò di quelli orientati a una clientela etero: il mondo gay ha dei locali tutti suoi, quello lesbo-bisex-pansex non è pervenuto – vanno persone incuriosite dalla possibilità di sperimentare il sesso di gruppo, l’esibizionismo o il voyeurismo, e la differenza sostanziale la fanno l’ambiente e l’atmosfera. L’età media va dai 25 a 60 anni a seconda delle serate e dei locali, alcuni dei quali richiedono un dress code elegante (gonna e tacco alto per le donne, giacca e camicia per l’uomo) o fetish (lattice, pelle).

“Mi sono fatta un’idea di due situazioni ricorrenti, che ho ribattezzato effetto bistecca vasetto di miele,” mi confida H., una donna con cui ho parlato che frequenta questo tipo di locali. “Il primo è quando ti rendi conto che agli occhi altri non sei altro che un pezzo di carne che si muove nello spazio del locale, col quale accoppiarsi selvaggiamente o da guardare mentre ci si accoppia selvaggiamente con altri; il secondo è quello che succede appena comincia il contatto fisico con qualcuno e attorno si forma un nugolo di persone che guardano e provano a toccare”.

“Generalmente si tratta di uomini, che accarezzano o palpano la donna coinvolta nel rapporto sessuale”, aggiunge C., un’altra frequentatrice di sex club. “Questa se vuole li lascia fare, altrimenti dice o fa capire che non le va”. Sono le donne a condurre le danze e decidere il da farsi, e il “no” detto a parole o a gesti è accorto senza insistenze – le regole che vigono in questo tipo di locali sono poche ma chiare e ben introiettate da chi li frequenta con una certa continuità. Le molestie verbali e fisiche sono ovviamente bandite e la quiete del locale è sempre garantita da personale apposito. 

Per quanto riguarda invece le precauzioni, queste sono spesso delegate alla clientela: non si trovano facilmente preservativi o altri dispositivi – condom vaginali, guanti sanitari, dighe dentali – quando invece sarebbe auspicabile. 

“Una delle sensazioni più piacevoli dei sex club è il senso di libertà che ti fanno provare, che mi ha permesso di esprimere apertamente i miei desideri, le mie preferenze e le mie voglie”, mi racconta M., anche lei frequentatrice abituale di questo tipo di locali insieme al suo partner. “Questo aspetto ha migliorato sensibilmente la mia relazione ma anche la visione che ho di me stessa, infondendomi sicurezza e determinazione”. Direi che si tratta di un chiaro segnale di come vivere serenamente la propria sessualità abbia un effetto positivo che investe anche altri aspetti della vita, a partire dall’autostima. 

Diversa è invece l’esperienza di F.: “Mi sono sentita a disagio”, mi racconta, “perché pur essendo naturista non ero affatto abituata a percepire il mio corpo nudo sessualizzato dalle altre persone. Ho patito un certo tipo di sguardi, mi sono sentita oggettificata”.

Questo aspetto negativo potrebbe derivare dal fatto che la libera espressione della propria sessualità sia ancora confinata in luoghi appositi, nella maggior parte dei casi al chiuso e bui, dove il sesso è visto come una forma di trasgressione. Non un problema dei sex club in se stessi, dunque, ma un problema della narrazione che se ne fa e dello stigma che li circonda: pratiche come il cuckold, il sesso di gruppo, l’esibizionismo e il voyeurismo sono ancora considerate degradanti, i cosiddetti locali per scambisti sono tutt’altro che sdoganati e chi li frequenta non può parlarne apertamente senza sentirsi giudicato. È normale che in queste condizioni ci si voglia nascondere e tutelare – e che anche l’esperienza del frequentatore occasionale non sia il massimo. 

T., che non è mai stato in un sex club, mi ha confermato involontariamente lo stigma che li circonda: “Mi sanno di posti tristi, in cui vanno solo persone prive di fantasia e incapaci di eccitarsi”. Della stessa opinione anche L., che come T. non ha mai messo piede in un club privé. “Secondo me per fare sesso ci vuole spontaneità e gioco di seduzione, mentre lì è tutto esibito sfacciatamente”.

In realtà non è sempre così: il fatto di andare in un sex club non significa che si farà necessariamente sesso – né tantomeno che si farà sesso con chiunque. Certo, ci sono situazioni dionisiache – come le orge – durante le quali mani, bocche e corpi si uniscono un po’ a caso nell’oscurità, ma si può anche restare in disparte a guardare, oppure cominciare per poi sottrarsi se ci si accorge che non è cosa.

E poi ci sono occasioni per guardarsi al di fuori degli spazi esplicitamente dedicati al sesso, per ammiccare, flirtare, conversare – e persino per innamorarsi, come nel caso di S., che mi racconta commossa: “All’inizio eravamo solo amici e andavamo nei sex club per curiosità, guardavamo e basta. Poi una sera lui mi ha detto che si era innamorato di me”. Proprio il tipo di cosa che sfata l’idea che la maggior parte della gente ha di questi locali e di queste serate.