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Se sei famoso, rischi che su internet ti prendano per un fake

Sharon Stone è stata bannata dall'app di incontri Bumble, Sofia Viscardi da Tinder. È paradossale, ma essere famoso vuol dire anche rischiare di essere preso per il fake di te stesso

Foto via Unsplash

In tempi di notizie false ormai ovunque su internet – ben 100mila video contenenti informazioni false sul COVID-19 rimossi da YouTube negli ultimi mesi di pandemia – è ormai chiaro che distinguere tra ciò che è vero e ciò che è fake sta mettendo in crisi gli strumenti tradizionali con cui vengono gestiti i social, le piattaforme e le community online. La risposta di chi modera questi spazi è di reagire in modo standardizzato, seguendo linee guida fisse, ma queste hanno un difetto: non riconoscono l’eccezione, ciò che è vero anche se a prima vista sembra inverosimile. Solo che a volte eccezioni del genere ci sono. 

È di queste ore la sospensione dell’account TikTok del cinese Liu Keqing, cantante lirico 63enne che, secondo i moderatori o gli algoritmi del social che ne hanno deciso la censura, assomiglia troppo al presidente cinese Xi Jinping. A nulla sono valse le email, con tanto di documenti di identità, che il cantante ha mandato a TikTok per dimostrare di non essere collegato in alcun modo a Xi, di non essere un impersonatore né un sosia: le segnalazioni degli utenti e gli algoritmi hanno più forza delle iniziative del singolo utente, anche se questo è nel giusto. 

Quello di Liu non è un caso isolato. Sulle app di dating, per esempio, i volti noti fanno paradossalmente più fatica a utilizzare il servizio perché la loro semplice presenza genera immancabili dubbi sulla loro effettiva identità. Nei mesi scorsi Bumble – una piattaforma simile a Tinder, dove però le donne devono fare obbligatoriamente il primo passo – ha bannato l’attrice Sharon Stone: era stata segnalata come account fake perché, per i frequentatori dell’app, era assolutamente inconcepibile che un’attrice famosa come Stone dovesse ricorrere a Bumble per trovare qualcuno con cui uscire. 

Qualcosa di simile è accaduto anche qui da noi: protagonista l’influencer Sofia Viscardi. Viscardi è stata bannata – e lo è tutt’ora – da Tinder dopo essere stata segnalata come account fake. A nulla sono servite le sue email alla compagnia: un account, una volta bloccato, non si può riattivare. 

Ma non ci sono solo le segnalazioni degli utenti ha causare problemi alle persone famose alle prese con social network e app di incontri: talvolta ci si mettono anche gli algoritmi stessi. È quello che è successo a Chris Evans, l’attore americano noto per aver interpretato Capitan America, la cui permanenza su Instagram è durata 24 ore. Il suo sbarco sul social aveva portato un afflusso notevole di follower in un lasso di tempo piuttosto limitato: la crescita esponenziale aveva fatto scattare gli algoritmi che si occupano di monitorare gli account che non si comportano in modo “normale”. Risultato: shadowban prima, ban poi. L’attore – che aveva debuttato sul social per una causa benefica – è stato poi in grado di proseguire la sua raccolta fondi dopo una serie di controlli e oggi è seguito da quasi 5 milioni di persone.

Ma anche questi controlli – che spesso si traducono nella famosa spunta blu – non sono sempre una garanzia. Qualcosa scappa sempre. Un esempio: Twitter aveva concesso la spunta blu a tale Andrew Walz, che sul social si scaldava affrontando il presidente degli Stati Uniti nei commenti. Unico problema: Andrew Walz, si è poi scoperto, non esiste. Non è mai esistito. È un progetto di un 17enne americano che tramite l’account voleva dimostrare che in rete è tutto vero fino a prova contraria, almeno nella percezione comune. 

 

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