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Il poliamore non è fare quel cazzo che ti pare

Quando si parla di poliamore in genere si pensa a un tradimento legalizzato, ma è davvero così? Ecco una piccola guida alle cosiddette "non-monogamie etiche"

Il poliamore non è fare quel cazzo che ti pare

Qualche giorno fa, un articolo della Stampa sul tema della coppia aperta (firmato dalla psicologa e sessuologa Valeria Randone) la definiva: “la concretizzazione di un letto a più piazze, una sorta di cuore senza recinzione, più comunemente detto coppia aperta, consente di tradire senza tradire il presunto patto di lealtà”.

La contraddizione è palese: se una coppia decide di aprirsi a terzi non si può parlare di tradimento, inteso come il “venire meno a un dovere o a un impegno morale o giuridico di fedeltà e di lealtà” (Treccani), infatti se la coppia sceglie di comune accordo di frequentare altre persone, nella massima trasparenza e onestà, il concetto stesso di tradimento viene meno a priori.

Vi risparmio il resto dell’articolo, una specie di apologia della monogamia in cui compaiono espressioni come “famiglia tradizionale”, “tradimento consentito” e si dice addirittura che “la monogamia sembra essere passata di moda”. Alle lettere e ai commenti di disappunto che sono arrivati in redazione dopo la pubblicazione, l’autrice ha risposto con la frase che si usa più spesso in questi casi: “sono stata fraintesa”.

C’è evidentemente molta confusione sull’argomento, per questo ho deciso di intervistare anche io una psicologa, ma una che perlomeno si intende delle cosiddette “non-monogamie etiche”: la dottoressa Dania Piras, che si definisce queer, attivista poliamorosa e femminista intersezionale, e che su Instagram gestisce @hello_policose, una pagina aperta proprio per fare divulgazione sul tema del poliamore.

 

 
 
 
 
 
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“Poliamore e coppia aperta fanno parte dello stesso insieme, ovvero quello delle non-monogamie etiche, ma hanno premesse diverse: la coppia aperta è una relazione a due che chiede a entrambi i partner un’esclusività sentimentale, con tutta una serie di sfumature da coppia a coppia, mentre nel poliamore non è richiesto alcun tipo di esclusività” mi spiega Piras.

Non c’è quindi un solo modo di stare insieme, ma molteplici. E questo vale per qualunque relazione decidiamo di costruire, che sia essa monogamica, aperta, poliamorosa. “Non si tratta di un ‘tradimento legalizzato'” continua Piras, “infatti quando si parla di tradimento si intende quello sessuale, ma ciò che viene tradito in realtà è un patto implicito riguardo all’esclusività sessuale di entrambi i partner, un accordo di fedeltà che sta alla base dell’idea di monogamia e che si interseca con l’idea di amore.

Il poliamore, da parte sua, non vuole smentire l’esistenza di questa possibilità” continua “ma solo  affiancarsi a essa come opzione ulteriore. Per molte persone è possibile amarne più di una per volta, così come è possibile provare desiderio per più persone pur amandone una”.

Per quanto riguarda in particolare le relazioni poliamorose, la dottoressa Piras mi dice che l’impegno relazionale è moltiplicato. Gestire le dinamiche emotive variegate e complesse di un insieme di persone poliamorose che si frequentano richiede un lavoro personale e collaborativo non indifferente. Se nella monogamia l’errore più frequente è darsi per scontati e dare per assodate certe dinamiche, nelle relazioni poliamorose stare attenti a questo aspetto non basta – bisogna pensare anche a mantenere l’equilibrio tra i componenti.

In generale le relazioni poliamorose sono molto più complesse di come vengono raccontate e andrebbero affrontate in modo più approfondito per andare oltre i pregiudizi che le circondano. Uno degli aspetti più interessanti, per esempio, è come vengono costruiti e come funzionano questi rapporti. “Alcuni dividono il poliamore in ‘gerarchico’ e ‘non gerarchico’” mi dice Piras a proposito. “Nel primo caso troviamo uno o più partner primari che hanno una sorta di ‘priorità’ su eventuali altri partner secondari.

Il motivo di ciò è diverso per ogni relazione, ma per esempio può riguardare il fatto che con i partner primari si ha una progettualità condivisa e un impegno a livello di aspettative che non si ha con quelli secondari. Il poliamore ‘non gerarchico’ non fa questa distinzione e organizza tempo e risorse con criteri differenti. Esiste anche ‘l’anarchia relazionale’, in cui l’etichetta di partner è eliminata del tutto e i rapporti sono così fluidi da non presentare differenze nette da un’amicizia”.

La psicologa mi spiega che queste strutture verticali si combinano in vari modi: c’è la “triade” (in cui si è in tre), la “V” (in cui si è in tre ma con un partner centrale e altri due senza una relazione ufficiale tra loro), le “polecole” (formazioni complesse con più di 4 persone). Tutte queste strutture possono essere a loro volta esclusive oppure aperte a nuove persone. “Il poliamore prevede la parità  e la libertà di tutte le persone coinvolte.  Tutti devono avere le stesse possibilità di esplorazione relazionale, emotiva, sessuale, senza giudizi da parte degli altri o eventuali sensi di colpa”.

Ovviamente ho chiesto a Piras un commento sull’articolo de La Stampa di cui sopra, e lei ci ha tenuto a specificare che la psicologia è una disciplina con molte contraddizioni e problemi. “Il lavoro della ricerca spesso si vanifica quando incontra la psicologia clinica, che non di rado infantilizza e considera come immature le relazioni lontane dal modello di stabilità e sicurezza mononormato”, mi spiega. “Scegliere di amare più persone viene a volte interpretato come un’incapacità  di investimento emotivo, paura verso i legami profondi, nel peggiore dei casi, un capriccio egoista o inabilità  di trattenere i propri impulsi”.

Sottolinea che non tutti gli psicologi clinici la pensano così: fortunatamente c’è chi si informa, studia, ascolta e comprende la complessità umana, e di conseguenza riesce a lavorare psicologicamente con le persone poliamorose leggendo la loro storia in una cornice inclusiva e rispettosa. Perché, spiega, “come la monogamia, anche il poliamore non è esente da tossicità: ogni persona ha delle fragilità e le porta all’interno delle relazioni in modi diversi, non sempre costruttivi. Ma, appunto, non è un problema del tipo di relazione”.

 

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