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La ‘selfie culture’ in mostra a Londra

Siamo volati alla Saatchi Gallery per scoprire le origini dell'autoscatto, da Frida Kahlo agli Youtuber. Con tanto di parere della psicologa

La ‘selfie culture’ in mostra a Londra

Che siate amanti del genere o profondi detrattori, un selfie ve lo siete sicuramente fatti pure voi. Egocentrismo a parte infatti, l’autoscatto è un fenomeno che potrebbe essere molto più complesso di una semplice duck face. Partiamo da lontano, dai ritratti che i pittori hanno lavorato nel corso dei secoli. Una mostra alla Saatchi Gallery di Londra cerca di fare il punto della situazione: si comincia con Van Gogh e Frida Khalo e si arriva ai social network e agli Youtuber. Un po’ azzardato? Forse, o forse no.

Ci siamo recati di persona a vedere #Me My_Selfie and I: Self-Expression in the Digital Age, mostra curata e ispirata da Huawei – fresca di presentazione del nuovo HUAWEI P10, primo modello al mondo ad avere una camera frontale con risoluzione 8 megapixel – e visitabile gratuitamente fino al 23 luglio. Lì abbiamo incontrato il presidente del gruppo Huawei, Walter Ji: «Grazie all’innovazione e agli sviluppi tecnologici, i selfie sono diventati diffusissimi. Solo nell’ultimo anno abbiamo compreso la significativa importanza di questa forma d’espressione e possiamo vederne i risultati nel campo dell’arte, della moda, della tecnologia e della cultura».

Un argomento studiato anche da Sarah Diefenbach, psicologa dell’Università di Monaco, tra le protagoniste di uno speciale panel sul fenomeno della ‘selfie culture’. Le abbiamo fatto qualche domanda.

Moltissime ricerche cercano di spiegare cosa ci sia dietro l’atto di scattarsi un selfie. Si parla quasi sempre di narcisismo, ma è davvero possibile capire così tanto da una semplice foto?
Non sono sicura del fatto che i selfie possano dire così tanto sulle persone. La cosa più interessante secondo me è il fatto che che l’emozione o la sensazione che le persone vogliono comunicare spesso è diversissima da quello recepita da chi guarda. Lo chiamiamo ‘selfie paradox’. Quando scattiamo un selfie vogliamo essere ironici, spontanei. Il risultato spesso è l’opposto.

Perché le donne sono si scattano più foto dei maschi?
Perché generalmente, le donne hanno più bisogno di comunicare. Con l’arrivo dei social ovviamente ci siamo adeguate.

Ci sono due grandi categorie. Le persone che si fanno i selfie e quelli che li guardano. Sono così diverse?
No, non lo sono. Sono comunque convinta che la maggior parte delle persone preferisca farli piuttosto che guardarli.

La ‘selfie culture’ ha influenzato interi mercati, come quello della telefonia. Quanta attenzione c’è alla fotocamera quando si acquista un telefono?
Moltissima. È diventata molto più importante la fotocamera del resto.

Anche dai vari filtri che si possono applicare alle foto si può capire qualche aspetto caratteriale?
Certamente. La regola base è che più si modifica e più ti piace avere il controllo. Tutto è nelle tue mani.

Come psicologa, sei preoccupata dell’esplosione del fenomeno?

Non sono preoccupata per i social, in generale. Mi preoccupa di più il fatto che le persone possono essere sopraffatte. C’è il rischio che non tutti si rendano conto di quante persone vedano i loro contenuti. E poi, per quante persone tutto questo ha preso il posto della vita vera? Per vivere bisogna ‘coltivare’. E se stiamo sempre sui social, il tempo non c’è.

In sintesi: diamo troppa importanza a come appariamo?
Decisamente sì.

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