L’ultimo giorno di Lilibet: cronache da un funerale che sembrava un festival rock | Rolling Stone Italia
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L’ultimo giorno di Lilibet: cronache da un funerale che sembrava un festival rock

Folla, bratwurst, bar chiusi ma fino a un certo punto: business is business. Siamo stati tra i londinesi che salutavano commossi (ma non troppo) la loro regina. E ci siamo chiesti: che ne sarà adesso di questo Regno sempre meno Unito?

L’ultimo giorno di Lilibet: cronache da un funerale che sembrava un festival rock

Foto: Alessandro De Simone

La giornata del funerale di Elisabetta II per me è iniziata così. Victoria Line, tratta da Finsbury Park a Oxford Circus. Entra nel vagone un homeless che chiede qualche spicciolo per mangiare, pratica sempre più complessa in un paese quasi totalmente cashless. Una signora di fronte a me apre lo zainetto e gli porge un muffin e un succo di frutta, scusandosi perché lo ha già in parte bevuto. Nel darglieli gli dice anche di passare alla Food Bank di zona, lei fa volontariato lì, può trovare da mangiare tutti i giorni, oltre ad altre cose di cui può avere bisogno, vestiti, un bagno pulito dove darsi una rinfrescata. Questa è Londra, ogni giorno.

Esco dalla metro, Oxford Street è semi deserta, sono le dieci del mattino di un giorno festivo, i negozi sono chiusi per rispettare il lutto nazionale. Tutte le persone in strada sono dirette verso la stessa direzione, Marble Arch e Hyde Park, dove sono stati approntati i maxi schermi per seguire in diretta il servizio funebre. Sono diretto lì anche io, per capire cosa ne sarà di questo Paese dopo il 19 settembre 2022. Arrivo e trovo decine di migliaia di persone che seguono in maniera devota la cerimonia, anche grazie all’inserto uscito oggi con alcuni quotidiani, l’utile libretto con letture e canti previsti nel corso dei sessanta minuti a Westminster Abbey. I sudditi sul prato sono ordinati, educati, alcuni visibilmente commossi, altri composti come qualcuno che sa di dover essere parte di un rito collettivo, in questo caso rendere omaggio al simbolo della nazione.

Sembra più un music festival che un funerale, gli stand alimentari me lo confermano, addirittura uno vende squisiti bratwurst con crauti, e dire che Giorgio VI ha persino imparato a non balbettare per dare alla nazione la forza per sconfiggere la minaccia teutonica durante la Seconda guerra mondiale. Ma si sa, il tempo aggiusta tutto. Finita la cerimonia, la folla si sposta ai lati della strada lungo il percorso che porterà, in due diversi momenti, la bara verso Windsor, dove Elisabetta è stata sepolta al fianco di Filippo d’Edimburgo, mancato il 9 aprile 2021, nei giorni in cui Boris Johnson faceva festa a Downing Street con i suoi collaboratori in barba alle normative anti-Covid da lui stesso imposte alla nazione.

Foto: Alessandro De Simone

Mi accodo, seguo quelli che dopo otto anni di vita londinese potrei anche chiamare concittadini, attendo con loro il passaggio del feretro. Nell’attesa, un’ora e mezza circa, cerco di ricordare i funerali eccellenti vissuti nel corso della mia esperienza terrena da italiano. Penso a quelli di Enrico Berlinguer nel 1984, Falcone e Borsellino naturalmente, Papa Giovanni Paolo II, ci potremmo mettere anche Alberto Sordi, che per chi vive a Roma equivale a un monarca. Nel fare queste riflessioni cerco di scorrere tutto quello che ha visto e che ha fatto Elisabetta II nel corso della sua vita con scettro e corona. Ha attraversato la Storia del XX secolo, e anche di un quinto di XXI, ma la carica non prevede che il o la monarca intervenga in maniera diretta sulla politica del Paese. Quindi, di fatto, Elisabetta non ha fatto niente, se non essere spettatrice di quanto stesse accadendo nel suo regno.

E per molti versi è meglio credere che niente avrebbe potuto fare, altrimenti dovrebbe condividere con Margaret Thatcher la responsabilità di avere affamato i minatori inglesi per due anni. D’altronde la Iron Lady li aveva in un discorso paragonati ai nemici argentini delle Falkland, una guerra di cui c’era poco di cui essere orgogliosi. E più di recente, The Queen nulla ha detto a proposito della Brexit al popolo britannico, lasciando loro la libertà di fare quella che si sta rivelando, come del resto da sempre si sapeva, una straordinaria cazzata. Solo una volta, almeno ultimamente, ha voluto dire la sua in merito a una scottante questione: il referendum per l’indipendenza della Scozia. Una dichiarazione non ufficiale, una frase buttata lì, era il 14 settembre del 2014, pochi giorni prima del voto. «Well, I hope people will think very carefully about the future». Spero che la gente pensi attentamente al futuro. Dalle nostre parti verrebbe interpretata in una certa maniera, ma siamo italiani, pensiamo sempre male. Qui fu preso come un materno consiglio.

Mentre pensavo a tutte queste cose, e a molte altre, guardavo il popolo della Corona che pazientemente e ordinatamente attendeva il passaggio della regina. E senz’altro erano partecipi, ma non particolarmente affranti. Una volta passato il feretro, preceduto da un silenzio di tomba (perdonatemi, non ho resistito) e seguito da un timido applauso, poi via, verso un fantastico pomeriggio di ferie gentilmente offerto dalla Corona. Si è presentato anche un po’ di sole tra una nuvola e l’altra, i bar attorno alla Serpentine, il laghetto artificiale di Hyde Park, si sono riempiti, sono partite le prime pinte e i primi gin tonic di giornata. Su Oxford Street il cordoglio era già finito, e anche nell’assai regale Marylebone ristoranti e molti negozi aperti, perché va bene tutto, ma business is business, soprattutto con l’attuale congiuntura economica britannica. Il lutto di questi dieci giorni vale anche per la sterlina, che ha perso circa il 2% nei confronti dell’Euro.

Foto: Alessandro De Simone

Adesso parte il regno di Carlo III, e il pensiero va già a William, perché se il padre è longevo quanto i nonni, il fresco principe di Galles rischia di sedersi sul trono a sessant’anni belli abbondanti, e di conseguenza pure il povero George da Baby diventerà Very Old. Ma la domanda da porsi è in realtà un’altra: quanto durerà ancora la monarchia inglese? È difficile pensare che Carlo III venga amato dai sudditi quanto sua madre, difficile farlo con un bambinone di 73 anni che si arrabbia con le penne stilografiche perché non le sa usare. Il che dovrebbe prima di tutto far pensare in che mani siano finiti gli inglesi, e sottolineiamo inglesi. Perché Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese, ha già fissato una data per il secondo, e definitivo, referendum per l’indipendenza. 19 ottobre 2023, circoletto rosso sul calendario. E se dovesse andare bene, sarebbe già un colpo durissimo per il Regno non più tanto Unito, che dovrebbe poi probabilmente parare i colpi anche dell’Irlanda del Nord e di un Galles non più così insospettabile. L’Impero si è sgretolato da tempo, il Commonwealth è quanto mai indispensabile dopo la Brexit per riuscire ad avere un mercato con delle regolamentazioni vantaggiose, ma quanto durerà?

Il 19 settembre 2022 si è chiusa la seconda era Elisabettiana, che tutto è stato tranne che una Golden Age, soprattutto a livello familiare, con il nuovo re che ha l’indelebile macchia della morte della Principessa Triste, Lady Diana Spencer (e temo che mettere a confronto i due funerali potrebbe essere impietoso nei confronti della fu regina), e con un fratello praticamente reietto, Andrew, che la Corona ha salvato in calcio d’angolo da una possibile condanna per stupro di una minorenne grazie a un sontuoso bonifico. E poi i fratelli coltelli, William e Harry, e le rispettive consorti, una faida ancora tutta da vivere e che potrebbe esplodere senza la fermezza della suocera.

La regina è morta, lunga vita al re. Vediamo quanto durerà il regno, e anche la pazienza dei sudditi, che in un futuro quanto mai incerto potrebbero essere anche stufi di un’istituzione che al momento sembra folkloristica quanto l’immancabile punk di Trafalgar Square, in un Paese alle prese con un costo della vita più che raddoppiato nel giro di due anni, la crisi energetica, un governo conservatore con un nuovo primo ministro anche peggiore del precedente (in Italia abbiamo le nostre situazioni, ma non è che gli inglesi stiano messi molto meglio). Torno a casa, scrivo, e torno a pensare a Berlinguer, Falcone e Borsellino. E mi rendo conto che quei ricordi me li terrò stretti finché vivo. Il giorno di Elisabetta II lo lascio con piacere ai suoi sudditi.