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L’Eurovision è stato (anche) il trionfo di Torino

La città grigia e 'understate' per antonomasia ha risposto molto bene alla chiamata dell'Eurovision, aprendosi alle novità e dimostrandosi meno legata al griugiume e alla tristezza da stereotipo e birignao da età industriale mai superata

L’Eurovision è stato (anche) il trionfo di Torino

Foto di Stefano Guidi/Getty Images

«È bello che le cose ripartano anche dalla musica e da un evento, l’Eurovision, che arriva in Italia trainato dal successo dei Måneskin, che hanno rimesso al centro del discorso la musica e la musica italiana nel mondo». A parlare sono Pau, Drigo e Mac, ovvero i Negrita, intervistati da Rolling Stone in uno dei talk ospitati al media village del Comune di Torino prima di uno dei concerti più affollati all’Eurovision Village, che per una settimana ha intrattenuto i torinesi e le migliaia di turisti da tutta Europa giunti per “festeggiare” questa ripartenza – si spera definitiva – in presenza.

È indubbio che questo Eurovision abbia una valenza simbolica importante, ed è altrettanto vero che in una città come Torino, negli ultimi anni un po’ sonnacchiosa, si sta respirando un’aria diversa. Le strade del Centro sono tornate a popolarsi di lingue straniere, gente di tutte le età e, soprattutto, musica. Dai flash mob improvvisati degli idoli locali Eugenio in via di Gioia (con la complicità di Lodo Guenzi de Lo Stato Sociale) ai momenti in cui agli angoli delle strade oltre ai buskers, ormai presenza abituali nella città, si improvvisano concerti anche di gruppi più estesi come addirittura una orchestra di ragazze e ragazzi che in piena Via Roma, la via principale dello shopping del lusso, ha iniziato un set con la cover orchestrale di “Grace Kelly”, il più grande successo del presentatore dell’Eurovision Mika.

«Torino ha sempre avuto una vocazione universitaria e internazionale che siamo contenti abbia ritrovato dopo anni complicati» dicono sempre i Negrita, ricordando anche i loro trascorsi tra i Murazzi e i locali storici come Hiroshima Mon Amour. La presenza di due atenei importantissimi (Università e Politecnico) ha portato sempre tantissimi ragazze e ragazzi a scegliere il capoluogo torinese per studiare. Una città che con la musica ha sempre avuto un rapporto speciale: sia nel suo vivissimo underground, sia nella scena alternativa e d’avanguardia che ha nel ToDays e nel Club To Club due appuntamenti di eccellenza europea (per non dimenticare il compianto Traffic); sia nel mainstream come nel caso del programma musicale a corredo del Grande Evento per eccellenza, quelle Olimpiadi del 2006 che hanno rappresentato la ripartenza della città anche grazie alla colonna sonora di artisti come tra gli altri Duran Duran, Ennio Morricone, Lou Reed, Avril Lavigne e Jamiroquai.

Eurovision è quindi un appuntamento simbolicamente strategico per una città che, come tutto il mondo, si trova a ripartire dopo due anni di pandemia offrendo alle persone che hanno affollato le sue strade intrattenimento, servizi e ospitalità. Non è una cosa scontata ma a quanto pare la città grigia e understate per antonomasia ha risposto molto bene, aprendosi alle novità e dimostrandosi meno legata al griugiume e alla tristezza da stereotipo e birignao da età industriale mai superata. Il continuo sold out dell’Eurovision Village, i locali pieni fino a tarda sera, le strade che tornano rumorose ma di un rumore “creativo” sono di sicuro dei segnali da non sottovalutare. Non sappiamo se l’Italia ha davvero “cambiato mentalità” come ha suggerito il New York Times parlando dell’exploit dei nostri alfieri musicali all’Eurovision Blanco e Mahmood, ma di sicuro Torino si è fatta trovare pronta alla chiamata di un appuntamento fortemente voluto con lo Spirito del Tempo.

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