Jameson Distilled Sounds è tornato. Dopo il successo della prima stagione a Cork, il progetto musicale ideato da Jameson Irish Whiskey riparte dall’Irlanda, quest’anno da Dublino. Oltre venti musicisti selezionati da ogni angolo del mondo, invitati a collaborare per una settimana tra sessioni di scrittura, studio di registrazione e jam session. Dall’Indonesia al Kenya, dalla Malesia al Portogallo, suoni apparentemente lontani, uniti da Jameson nel segno della connessione e della contaminazione tra culture diverse.
Il Punjabi drill insieme all’Afrobeat, l’Amapiano che incontra il K-pop, il rap delle banlieue parigine con l’R&B nigeriano. Il risultato è un laboratorio creativo che racconta uno dei cambiamenti più forti della scena musicale contemporanea: il passaggio dal “globale” inteso come omologazione, a un globale fatto di voci locali, diverse ma unite in un linguaggio universale capace di ridefinire i confini del pop. Direttore di quest’orchestra globale, ancora una volta, Anderson .Paak, affiancato dal suo collettivo creativo APESHIT INC.
A rappresentare l’Italia un dream team formato da Willie Peyote, Mara Sattei, Rossella Essence e Eternal Love, il duo di dj milanese che in pochi anni è passato dalla “selecta” di un canale YouTube ai dancefloor di tutto il mondo. Ci siamo fatti raccontare com’è andata.
Com’è stato partecipare alla seconda edizione di Jameson Distilled Sounds?
È stata una figata, eravamo circondati da musicisti veramente talentuosi, artisti di un livello talmente alto che all’inizio ci sentivamo quasi fuori posto. Artisti anche con la metà del nostro seguito, ma quando li sentivamo cantare, parlare di musica o prendere in mano uno strumento ci veniva da chiederci “cosa abbiamo fatto fino adesso?”. La figata è stato proprio il rendersi conto di quanto sia potente la musica, di quanto si può ricevere anche semplicemente stando accanto a un musicista da paura e che viene dalla Namibia. Tu stai lì e ti chiedi “ma che scena musicale pazzesca c’è in Namibia?”. Poi magari iniziava pure a cantare e lì ti dici “ma di cosa stiamo parlando?”.
Anche solamente stare insieme a quei musicisti, in quel contesto, per quattro giorni, ci ha riempito di nuovi stimoli, di nuove ispirazioni. La scelta dei partecipanti era curata al minimo dettaglio, e non ci aspettavamo un livello del genere. Siamo usciti da questa esperienza con ancora più voglia di fare musica. Siamo stati a Jameson Distilled Sounds per quattro giorni e siamo tornati con il triplo della carica. Anche la scelta di affidare il progetto a Anderson .Paak e al suo team è stata azzeccatissima.
Com’è stato lavorare con lui?
È una persona che ha lavorato tantissimo per arrivare dov’è ora. È un musicista super skillato, ma allo stesso tempo umile. Ci ha fatto capire che se vuoi essere davvero forte in quello che fai devi essere prima di tutto una bella persona. Un artista di quella grandezza, e che interagiva in quel modo con altri musicisti che magari in confronto a lui non sono nessuno, veramente merita di stare al livello che è.
Passava il tempo con noi in studio a darci consigli, a darci spunti, si vedeva che ci teneva davvero a lasciarci qualcosa della sua esperienza e della sua sfera umana, che per fare musica oggi è fondamentale. Questo è stato il vero fulcro dell’esperienza che abbiamo vissuto ed è la cosa veramente forte del progetto di Jameson. E poi gli altri artisti che abbiamo conosciuto, con cui ora ci sentiamo quotidianamente… per noi è stato oro, conoscere musicisti assurdi, tutti da paesi diversi, dalla Nigeria al Portogallo, dal Medioriente all’Irlanda fino al Kazakistan.
Sembra un’esperienza anche molto in linea con i vostri esordi, con la vostra identità. Come quando andavate a cercare dischi sconosciuti provenienti da ogni parte del mondo per mixarli tra loro.
Esattamente, è stata quasi la trasposizione di quello che facciamo da sempre. È stata una figata perché è stata vera. Jameson ha selezionato i partecipanti per la loro musica, non per il numero di followers. L’obiettivo era quello di creare una connessione autentica, tra musicisti provenienti da tutto il mondo, per questo hanno puntato sulla realness, sulla musica fatta bene da veri artisti, e questa scelta nel lungo periodo paga. È stata davvero un’esperienza con la musica al centro, che ci ha permesso di esplorare robe matte, ad esempio siamo finiti a produrre un beat trap, cose che mai avremmo pensato di fare…
Foto Jameson irish Whiskey
Cioè, com’è andato il lavoro in studio?
Anderson .Paak ha assegnato a tutti un task, dovevamo remixare una sua traccia, ognuno in un genere diverso, dal country al punk rock, a noi è toccata la trap. Avevamo un’ora di tempo per realizzarlo. Erano tutti musicisti pazzeschi, quindi tutte le produzioni che sono uscite erano assurde. Poi dopo Paak li ha ascoltati uno ad uno, e su tutti aveva un’osservazione, su come migliorare, su cosa aggiungere, sempre feedback precisi, dettagliati. Lui e il suo team si sono messi totalmente a nostra disposizione. Eravamo lì con lui a berci un whiskey e a scambiarci idee, come fossimo tra amici, solo che davanti avevamo un artista che ha vinto 7 Grammys. È stato assurdo.
Qual è il consiglio più importante che vi ha dato?
Ci ha veramente incoraggiato a fare la nostra musica, a credere fermamente in quello in cui facciamo, a spaccare senza scendere a compromessi, e questo lo ha ripetuto decine di volte. Ci ha raccontato che agli inizi anche a lui André 3000 e Dr.Dre avevano detto che la sua musica non era adatta, ma poi piano piano li ha convinti…
Cosa vi porterete dietro da questa esperienza?
Abbiamo conosciuto artisti che magari oggi sono ancora poco conosciuti, ma che meriterebbero di suonare ai festival più importanti al mondo, tanto che la stessa crew di Anderso Paak alla fine di Jameson Ditilled Sounds gli ha detto “sentiamoci”. Siamo sicuri che almeno 2 o 3 degli artisti che abbiamo conosciuto tra qualche anno spaccheranno davvero, a prescindere dal paese da cui provengono. Certamente inizieremo a mettere i loro pezzi durante i nostri radioshow. Con alcuni di loro ci piacerebbe collaborare in futuro. È stata un’esperienza che sarebbe un sogno per qualunque artista, che ci ha dato tanto, e da cui prenderemmo tantissimo e che ha cambiato il nostro modo di vedere quello che stiamo facendo. Ci hanno trasmesso di più quei quattro giorni in Irlanda che due anni di tour in giro per il mondo, non volevamo più tornare a casa.
Insomma, direi che andata bene. Lo rifareste?
Di brutto.
