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Fareste donare lo sperma ai morti?

In molti paesi europei la domanda di seme supera di molto l'offerta, ma due scienziati hanno un'idea: la donazione postuma

Fareste donare lo sperma ai morti?

Foto BSIP/UIG via Getty Images

L’infertilità è un problema comune: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ben 15 coppie su 100, in tutto il mondo, incontrano difficoltà quando decidono di mettere al mondo un figlio. In questi casi la donazione di gameti, vale a dire di ovuli e di spermatozoi, da parte di una persona esterna alla coppia spesso può essere risolutiva.

Eppure, in molti paesi, soprattutto in quelli dove non è previsto nemmeno un minimo rimborso spese per i donatori, la domanda di seme supera l’offerta. Succede in Italia, dove il 75 per cento dello sperma utilizzato nelle procedure di fecondazione eterologa arriva da banche del seme straniere. E accade anche in Gran Bretagna, dove ogni anno vengono importati almeno 7mila campioni, soprattutto dalla Danimarca e dagli Stati Uniti, per riuscire a soddisfare la richiesta delle cliniche nazionali per la fertilità – e l’uscita dall’Unione Europea potrebbe addirittura peggiorare questa situazione.

Ma i bioeticisti del Regno Unito hanno una proposta, che hanno formalizzato e pubblicato sul Journal of Medical Ethics: molte persone dispongono che dopo la morte i loro corpi possano essere usati per aiutare gli altri, come succede per la donazione degli organi. E allora, perché non concedere loro di poter offrire anche lo sperma, per aiutare tante coppie ad avere una famiglia? Di donare il seme come si donano le cornee, il cuore, i polmoni?

“Sappiamo che c’è una carenza di donatori di sperma nel Regno Unito, e questo è un modo per affrontare il problema”, ha spiegato Joshua Parker, medico e bioeticista dell’ospedale Wythenshawe di Manchester, che si sta occupando della questione insieme a Nathan Hodson, medico dell’Università di Leicester. “Riteniamo che sarebbe etico consentire agli uomini di donare volontariamente il loro sperma, perché venga utilizzato dopo la loro morte”.

Le donazioni postume sarebbero quindi non solo “eticamente ammissibili”. Ma anche “tecnicamente fattibili” – attraverso due procedure che sarebbero improponibili quando il donatore è in vita: una richiede l’inserimento di una sonda rettale che, attraverso scosse elettriche alla prostata, stimoli l’eiaculazione. L’altra comporta un’incisione dello scroto per l’estrazione dello sperma.

Diversi casi hanno dimostrato che lo sperma, anche se recuperato 48 ore dopo la morte, può essere utilizzato con successo. È del 2018 la vicenda di una coppia britannica che, tre giorni dopo la morte del figlio in un incidente di moto, aveva raccolto e congelato il suo sperma, per poi spedirlo negli Stati Uniti, dove è stato utilizzato per creare un embrione. La gravidanza è stata portata a termine da una madre surrogata.

Secondo Parker e Hodson, le donazioni postume avrebbero anche un’altra prerogativa: aumenterebbero la diversità degli spermatozoi disponibili, avvantaggiando quelle coppie che cercano spermatozoi di una determinata etnia.

Inoltre, queste donazioni allevierebbero la pressione sui donatori vivi, che in vista della raccolta dello sperma devono farsi visitare molte volte in clinica, per diversi mesi, e devono astenersi dall’eiaculazione alcuni giorni prima della donazione.

Rimane, però, un problema etico difficile da risolvere: la donazione di sperma, in Gran Bretagna, non è mai anonima e i bambini, quando diventano maggiorenni, possono decidere di contattare i loro padri biologici – anche se non tutti lo fanno. “Non sappiamo quale impatto psicologico potrebbe avere sui bambini la consapevolezza di essere stati generati con lo sperma di un donatore morto”, ha spiegato Parker. “Alcune persone, però, potrebbero giudicarlo un aspetto positivo, se non vedono di buon occhio il fatto che il bambino abbia una relazione futura con il donatore”.