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Delle “puttane” non sappiamo nulla

Le "puttane" devono essere salvate e non può piacere loro quello che fanno. Perché non applichiamo lo stesso ragionamento a chi raccoglie pomodori, lavora un in un call center o fa l'operaio?

Delle “puttane” non sappiamo nulla

In Pictures Ltd./Corbis via Getty Images

Quelle che fra noi sono particolarmente a proprio agio col sesso e la sessualità, probabilmente ambirebbero a esserlo, considerandolo un business sempre verde, mentre quelle che ancora vivono nella mortificazione del proprio corpo e dei propri desideri, provano ribrezzo e paura, ci tengono a ribadire forte e chiaro che loro “non fanno certe cose”, che loro non sono “così”. Il fatto è che essere una “puttana” non è chiamarsi “cagna” con le amiche, come faccio io credendomi punk, e rivendicare la definizione per dire che la propria sessualità è libera. Essere una puttana o – più correttamente – fare la puttana, nei fatti è sentirsi usata come offesa per sminuire le persone ed essere ridotta a metro di paragone deplorevole.

È vedersi negare diritti civili, cure, assistenza, tutele. Se batti in strada probabilmente sei considerata feccia anche da chi fa il tuo stesso mestiere ma in contesti agiati, per discriminazione intraclassista. Ma qua forse non c’entra essere puttane, è che essere poveri fa schifo a chiunque. Nessuno vuole essere la puttana che sta in strada pure d’inverno, senza sapere se riuscirà a tirare su qualche soldo, con l’angoscia di avere preso freddo per niente. Noi donne sessualmente emancipate vogliamo essere le puttane da punta piramidale, le sugar baby che manco sembrano puttane perché a loro i daddy fanno i regali. Ma cosa sappiamo delle puttane? Poco o niente.

Molti uomini si rivolgono a loro perché le partner non devono o non vogliono eseguire certe pratiche (solitamente fellatio e sesso anale): nell’immaginario collettivo la puttana è porca perché è libera, perciò idealmente fa tutto. Ecco spiegato uno dei motivi per cui sui siti porno e nell’intimità molte persone non vedono l’ora di fare sesso in modo “trasgressivo” (qualunque cosa voglia dire) e – se sei una donna – dirti che sei una troia: solo loro lo vogliono sempre (principalmente il cazzo e per esteso il sesso), lo vogliono tanto, lo vogliono tutto. Sono delle vacche arrapate insaziabili, il sogno di ogni presunto uomo etero che fruisca abitualmente di un certo tipo porno.

Eppure la puttana è così libera perché si trova al margine della società, rinnegata da chiunque e desiderata da tutti, svincolata dai doveri, in particolare quelli monogamico e coniugale, ma privata dei diritti. La violenza peggiore che si possa fare a una puttana è assegnarle un pappone. Chi controlla la donna libera per antonomasia è un meschino, perché la disprezza ma si fa ricco sfruttandola. In tanti la vogliono controllare: Chiesa, femminismo radicale, una certa sinistra, la destra, tutti pronti a voler salvare persone che non devono essere salvate.

Puoi fare questo mestiere perché ti piace o perché non hai trovato di meglio. Magari non ti ha costretto nessuno ma ti sei trovata nelle condizioni di farlo ed eserciti senza troppe aspettative, oppure ti affascina il senso di potere che ti conferisce decidere con chi fare sesso, come, quanto a lungo. La gente pensa che se fai la puttana allora hai un passato travagliato costellato di violenze, abusi, privazioni. Non può semplicemente piacerti e, se ti piace, allora sei malata di sesso, ninfomane.

Perché non applichiamo lo stesso ragionamento a  chi raccoglie i pomodori, a chi lavora nei call center, a chi fa l’operaio, a chi fa il camionista, ai riders, ai corrieri? Perché nessuno fa battaglie etiche per salvarli? Lo hanno scelto liberamente? A loro piace fare quello che fanno? Ma quando il pappone è la multinazionale di turno ce ne freghiamo, perché almeno sono lavori dignitosi, quelle non sono persone che mercificano il proprio corpo. Certo, diciamolo a chi pedala da una parte all’altra della città per consegnare pizze e sushi, rischiando di schiantarsi per non arrivare in ritardo, per esempio. Al massimo saranno i sindacati a occuparsene, ammesso e non concesso che ai sindacati freghi ancora qualcosa di chi lavora.

Ma diciamolo pure a coloro che fanno lavori di concetto: forse non usano il corpo? Certo che sì, la differenza sta nel fatto che nessuno di noi, eccetto le puttane, fa sesso per guadagnare da vivere. Non è quindi il corpo che viene deplorato, ma quello che il corpo fa. Le persone che vendono prestazioni sessuali hanno il coraggio di slegare il sesso dal concetto romantico della conquista, si svincolano dalla dinamica del possesso e si pongono in una condizione di parità: nel sesso a pagamento la negoziazione è manifesta e fondamentale, a differenza di altre relazioni nelle quali la contrattazione è implicita e spesso subodola.

Il ricatto economico, a cui si fa spesso riferimento in relazione al lavoro sessuale, non è intrinseco del sesso a pagamento, è piuttosto tipico delle relazioni economiche inique in generale: certi datori di lavoro si permettono di sfruttare i dipendenti con contratti (quando ci sono) e paghe miseri perché sanno che la penuria economica è loro favorevole, mentre certi clienti tirano sul prezzo o sulle prestazioni (di fatto la stessa cosa), perché sanno che l’altra persona è disposta a cedere nella contrattazione pur di guadagnare qualcosa.

Lo scorso 7 aprile varie realtà sensibili e attive nel contesto del lavoro sessuale, tra cui il Comitato per i Diritti Civili delle prostitute onlus e il Collettivo transfemminista di sex workers e alleate/i Ombre Rosse, hanno lanciato il crowdfunding “Nessuna da sola!” per aiutare in tutta Italia sex worker più difficoltà a causa del coronavirus. Mentre scrivo sono già stati raccolti  circa 14 mila euro e l’obiettivo è di arrivare almeno a 30 mila entro la metà del prossimo mese.

In molti si sono giustamente lamentati per la negligenza nei confronti delle partite IVA. Ma chi fa lavoro sessuale non può neppure ambire a chiedere il supporto dei famosi 600 euro dell’Inps o altri tipi di sussidi. Molte sex worker non hanno neppure i documenti e lavorano da irregolari, e la situazione per loro è molto critica in questo momento. Nelle situazioni di crisi chi fa lavoro sessuale si trova confinato ancora di più ai margini della società e le disparità sociali, che separano il mondo dei lavori socialmente riconosciuti e quelli sommersi, si palesano in tutta la loro crudezza.

Non sappiamo quanta fatica facciano le puttane per tirare a campare, adesso che non possono esercitare e che in tante provano a reinventarsi online, alcune con più difficoltà di altre. Ora che, più che mai, il sesso è considerato un gesto di cui si può fare a meno, secondo i vari decreti. Dichiarare che il sesso non è fondamentale nella vita delle persone, di molte almeno, significa anche dire alle puttane che sono inutili e noi sappiamo che entrambe le affermazioni sono false.

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