«Un’Italia armata è un’Italia meno sicura» | Rolling Stone Italia
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«Un’Italia armata è un’Italia meno sicura»

Lo sa bene Gabriella Neri: suo marito fu ucciso nel 2010 da un uomo con disturbi psichiatrici. Oggi si chiede come potesse avere un'arma, e invita a rifiutare il ddl della Lega e la pericolosa idea che la difesa sia sempre legittima

«Un’Italia armata è un’Italia meno sicura»

Una foto dal raduno annuale della NRA in Texas

Foto Justin Sullivan/Getty Images

“La legittima difesa sarà legge entro fine marzo”. Lo ha detto poche ore fa il ministro degli Interni Matteo Salvini da Scanzano Jonico – cosa si fa pur di non lavorare –, ostentando ottimismo nonostante la crisi strisciante della maggioranza di governo. Il disegno di legge ha avuto il via libera della Camera ed è pronto nelle prossime settimane a tornare per la terza e ultima lettura al Senato. Un provvedimento bandiera per la Lega – “noi non siamo entusiasti, ma è nel contratto di governo” ha detto invece il vicepresidente Di Maio, dimostrando ancora una volta quale sia la loro idea della democrazia –, che negli anni si è schierata in sostegno di tutte le persone finite a processo per aver sparato a ladri o assalitori vari.

I casi sono stati numerosi e molto diversi tra loro, ma Matteo Salvini non ha mai fatto un’attenta selezione. Lo dimostra la recente visita in carcere a Angelo Peveri, l’uomo condannato per aver sparato a un uomo nel suo cantiere dopo averlo immobilizzato e reso innocuo. Anche l’imprenditore piacentino – che con la sua storia ha commosso Salvini, si legge su un articolo di Repubblica – è diventato testimonial di una legge che rischia di cambiare in peggio questo Paese, sulla scia di esempi assolutamente fallimentari come quello americano.

Eppure per il vicepresidente del Consiglio annuncia entusiasta una riforma che aumenta i casi in cui è lecito sparare per difendere se stesso e le sue proprietà. Con il ddl, inoltre, chi si difende avrà maggiori tutele anche da un punto di vista economico in sede processuale, mentre aumentano le pene per reati come rapine e violazione di domicilio. Per approfondire conviene cliccare qua. “Una china molto pericolosa”, commenta Gabriella Neri, la cui vita è cambiata otto anni fa per via di un colpo di pistola. Oggi vuole raccontare la sua esperienza, che l’ha spinta a dare vita all’associazione Ogni Volta per difendere i diritti delle vittime di armi da fuoco e dei loro famigliari e per dire che una società sempre pronta a sparare è la cosa peggiore che ci possa capitare.

Cosa accadde il 23 luglio del 2010?
Mio marito Luca Ceragioli era a lavoro nell’azienda di cui era direttore a Massarosa, vicino a Viareggio. Nel pomeriggio doveva incontrare assieme al suo braccio destro Jan Hillerm un ex dipendente, Paolo Iacconi, con cui il rapporto di lavoro era stato interrotto anni prima per motivi di salute. Durante l’incontro Iacconi tira fuori la pistola e a sangue freddo uccide Luca e Jan, poi appicca il fuoco agli uffici, si barrica in bagno e si spara.

Da quell’esperienza nasce Ogni volta. Per dire cosa?
Ci eravamo resi conto immediatamente che qualcosa non andava nella dinamica di quello che era accaduto. Come era possibile che una persona con più di un problema psichiatrico, che aveva subito Tso e tentato il suicidio, detenesse legalmente una pistola? Perché nessuno aveva messo in discussione il suo porto d’armi a uso sportivo, nonostante i precedenti? Perché le strutture sanitarie in cui era stato ricoverato e le autorità di polizia non erano entrate in contatto? Nulla di tutto ciò: Iacconi aveva in casa un arsenale di psicofarmaci, eppure era armato.

Avete trovato altri casi simili al vostro?
Numerosi, tutti accomunati dal fatto che una persona possieda in maniera legale un’arma nonostante un’evidente condizione di scarsa stabilità psichica. E purtroppo spesso in questi casi finiscono per usarla.
Per questo motivo abbiamo lavorato a un disegno di legge, che fu presentato negli anni passati dall’allora senatrice Marilena Adamo. Ma che non è mai arrivato in discussione in parlamento.

Cosa chiedeva il vostro disegno di legge?
La creazione di un’anagrafe per mettere in collegamento le strutture sanitarie e le questure, in modo da avviare la procedura di revoca del porto d’armi in caso una persona dimostri di avere dei problemi psichici. Questo per noi è sempre stato il punto di partenza.

Invece la maggioranza gialloverde vuole andare in tutt’altra direzione.
Un’idea molto pericolosa, e non supportata dalla realtà. Secondo i dati Istat, infatti, nel 2017 gli omicidi per furti o rapine avvenuti tramite armi da fuoco legalmente detenuti sono stati 16, quelli avvenuti all’interno della famiglia 49. Una legge sulla legittima difesa esiste già, così si rischia solo di renderla sproporzionata rispetto all’offesa. E di aumentare i casi in cui uno ricorre all’uso di armi in caso di liti dentro le mura di casa, a lavoro oppure con i vicini.

Che messaggio manda il ddl?
Si fa sentire il popolo italiano più insicuro di quanto effettivamente sia. Le tragedie ci sono e anche solo una è di troppo, ma i numeri non sono tali da giustificare l’allarme che sentiamo lanciare quotidianamente. Rifiutiamo l’idea che i cittadini non siano protetti e che debbano pensarci da soli. La risposta non può essere armare gli italiani e farli sentire onnipotenti, liberi di fare qualunque cosa in caso uno invada il tuo spazio privato. Un messaggio deleterio, tremendo.

Le costa sostenere certe cose, vista la sua storia personale?
Quella vicenda accompagna me e la mia famiglia in ogni istante della nostra vita, e non potrebbe essere altrimenti. Ma non posso tradire ciò che sono. Tutti siamo soggetti a momenti di difficoltà, depressione o crisi; sapere di avere in casa un oggetto di morte come una pistola può spingerci fino all’estrema conseguenza di decidere di usarlo.

L’unico modo per essere sicuri è avere meno armi in circolazione?
Esatto, anche perché la vita vale più di un bene materiale. Questo è un altro passaggio davvero insidioso della riforma: l’idea che si possano difendere i propri oggetti anche a scapito della vita di una persona. Un’aberrazione, anche da un punto di vista costituzionale.

Che effetto le fanno i discorsi tipo “se capitasse a me, sparerei” o “avrebbe dovuto ammazzarlo”.
Tanto dolore. Ma non mi fanno cambiare idea, perché, al di là del fatto che non sarebbe servita a nulla, non avrei voluto che quel giorno mio marito avesse avuto una pistola in ufficio. E poi non concepisco un’esistenza vissuta in eterna allerta.

Il ddl si propone di sostenere le spese processuali a chi spara per difendersi. Lei ha ricevuto qualcosa dallo Stato?
Nulla, i miei unici risarcimenti sono stati a livello privato. Oltre alla pensione dell’Inail, visto che quella di mio marito è stata catalogata come morte sul lavoro. Esisterebbe in teoria una direttiva della Comunità Europea, che l’Italia ha recepito ma non ancora attuato, per risarcire le vittime di reati violenti. Parliamo di cifre molto basse, circa 7mila euro nel mio caso. E in ogni caso non li ho mai visti. Sono d’accordo che le persone che si sono difese vadano tutelate – sempre che non l’abbiano fatto in maniera sproporzionata rispetto all’offesa come nel recente caso di Peveri -, ma noto una disparità di trattamento rispetto a quanto altre categorie ricevono.

In Italia i famigliari delle vittime sono da sempre presi per la giacchetta dalle parti politiche, fino a farne dei testimonial di questo o quel provvedimento. Cosa dice a chi è nella sua situazione e ora invoca a gran voce una legge che tutela chi spara?
Hanno provato a strumentalizzare anche me varie volte, a portarmi in tv a dire che la difesa è sempre legittima e cose del genere. Non ho messaggi per gli altri famigliari delle vittime, ogni storia è a sé. Io ho avuto la fortuna di avere un percorso di valori condiviso con mio marito per tutta una vita, a cominciare dal rifiuto della violenza. Non posso tradire certe idee, che ora sono anche quelle delle mie figlie.