Un reportage da Ventotene, sognando gli Stati Uniti d’Europa | Rolling Stone Italia
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Un reportage da Ventotene, sognando gli Stati Uniti d’Europa

Su questa isola il progetto di una federazione europea non è un bell’ideale cui rendere omaggio per poi occuparsi d’altro, ma un obiettivo per cui agire ora, nella nostra generazione

Un reportage da Ventotene, sognando gli Stati Uniti d’Europa

Foto di Ilaria Potenza

Il traghetto che va a Ventotene parte in realtà alla volta della Capitale morale d’Europa, così come è stata definita dalla Commissione e dal Parlamento europeo nel corso di una cerimonia tenutasi qualche settimana fa durante il seminario promosso dall’Istituto Altiero Spinelli.

Il porto romano scavato nel tufo accoglie chi arriva sull’isola e basta spingere lo sguardo oltre la banchina per vedere il carcere di Santo Stefano presidiare il mare dall’omonimo isolotto su cui è stato costruito.

È come se questo posto segnasse il nord per gli europeisti, che qui trovano le ragioni di quell’Europa libera e unita contenute nel Manifesto di Ventotene. Siamo nel 1941 quando Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, nel periodo in cui sono confinati sull’isola per essersi opposti al regime fascista, ideano un progetto di coesione europea pubblicato in seguito da Eugenio Colorni, che ne scrive la prefazione.

Sono convinti che le democrazie nazionali non rappresentano una garanzia di fronte al rischio della guerra e che l’unico modo di evitare che l’Europa venga travolta un’altra volta dal totalitarismo e dalla guerra è di combattere nello stesso tempo due nemici: la sovranità assoluta, che è un problema mondiale, e lo Stato-nazione, che è un problema europeo. Per superare questi problemi, l’unica strada è quella di creare un sistema federale, i cosiddetti Stati Uniti d’Europa.

E dopo ottant’anni non si può prescindere dall’analisi del Manifesto, un documento capace di stimolare la discussione su come pensare l’Europa del futuro. Ecco perché assume un ruolo centrale il seminario di formazione federalista promosso dall’Istituto Altiero Spinelli giunto alla sua quarantunesima edizione. Per le strade dell’isola durante i giorni dell’evento, quest’anno dal 28 agosto al 2 settembre, è facile vedere sfilare bandiere europee che sono spillette sullo zaino, quaderni e cover di libri tematici. Agli accenti romani e napoletani di chi vive sull’isola si mescolano voci spagnole, inglesi, in un’atmosfera internazionale che descrive a pieno la vocazione di questo posto che può essere considerato un vero e proprio laboratorio di comunità.

L’arrivo alla piazza di Ventotene include la scoperta dei vicoli che si arrampicano sul mare raccontando la storia dell’isola: c’è la chiesa di Santa Candida, a cui è dedicata la festa patronale, o la strada delle botteghe dei confinati dove Altiero Spinelli riparava orologi. Durante il fascismo, infatti, molti intellettuali contrari al regime furono confinati su queste coste e per finirci bastava veramente poco: partecipare al funerale di un amico comunista, deporre fiori sulla tomba di un antifascista, leggere libri ritenuti sovversivi. Ai confinati era ammesso impegnarsi in un mestiere, per esempio, e allora gestivano biblioteche, si dedicavano all’artigianato o ai turni nelle mense che erano organizzate per appartenenza politica: quella dei socialisti aveva a capo Sandro Pertini, il gruppo dei federalisti europei ovviamente Altiero Spinelli.

Il perimetro della piazza di Ventotene è oggi una specie di percorso laico di devozione all’Europa, perché si passa dalla libreria che nel tempo è diventata anche casa editrice per diffondere testi sulla nascita del progetto comunitario, al bar storico dell’isola dove intellettuali, politici, pescatori fanno incontrare le loro idee, fino al palazzo comunale protetto dal mare. Proprio nello spazio tra la terra e il sale si trova il giardino del municipio, con una panchina che è stata scelta per il progetto Panchine europee promosso dalla Gioventù Federalista Europea (Gfe) e nato con l’obiettivo di portare in giro i simboli Ue. Dopotutto la panchina è un oggetto pop, utile e romantico allo stesso tempo perché presuppone la riflessione, il tempo dell’attesa e la condivisione. L’intuizione è arrivata dopo il recupero di una panchina a Lecco che, solo qualche ora dopo, veniva già imbrattata con svastiche e scarabocchi sulla frase “cittadini europei”. I vandali però non sapevano che quella, per l’ideatrice del progetto Debora Striani, non era una scritta a caso.

Per la segretaria della sezione Gfe di Lecco si tratta piuttosto di qualcosa in cui credere anche quando c’è chi prova a convincerti del contrario. E così quell’esperimento è diventato prima una raccolta fondi per rimettere a posto la panchina, poi una vera e propria occasione per portare l’Europa fuori, tra la gente e viaggiare sui social network. “La panchina è la protagonista per eccellenza delle strade, rappresenta la quotidianità e un luogo di incontro dove ognuno può dire la sua, o ascoltare l’altro anche quando non si è d’accordo: ecco, l’Ue che vogliamo assomiglia a questo modello di democrazia” spiega Debora, mentre disegna il contorno delle stelle europee, quasi come se stesse restituendo ai cittadini qualcosa di più di un semplice arredo urbano.

Insieme a lei ci sono gli altri ragazzi della Gioventù Federalista Europea: tengono nelle mani pennelli carichi di vernice gialla e blu che inevitabilmente finisce per rigare mani e vestiti, muovendosi con una coordinazione tale da sembrare impegnati in una danza collettiva. La panchina finisce pertanto di essere un elemento di arredo e si trasforma in una specie di manifesto che invita al confronto: “in ogni città scegliamo con cura il posto in cui installare la nostra idea di bandiera e pensiamo a chi dedicarla.

A Ventotene per esempio vogliamo ricordare David Sassoli, che all’isola era molto legato perché convinto che lì uomini e donne hanno immaginato per noi un futuro diverso, come riporta la targa che abbiamo realizzato per la panchina” aggiunge Debora, mentre ci si prepara all’inaugurazione di questo nuovo giardino europeo che guarda verso Santo Stefano alla presenza del Commissario straordinario di governo per il recupero dell’ex carcere borbonico Silvia Costa. Tra i relatori anche il vice sindaco di Ventotene, Pino Pepe, il presidente del Mfe Stefano Castagnoli , il direttore dell’istituto Spinelli Mario Leone, il Segretario del Consiglio italiano del Movimento europeo Pier Virgilio Dastoli, il presidente della Commissione Europa del consiglio regionale del Lazio Alessandro Capriccioli e il rappresentante della Casa d’Europa di Viareggio Samuele Borrini.

Il piano di rigenerazione di Santo Stefano consiste nell’utilizzo dell’intera struttura per finalità culturali e di alta formazione: tra gli obiettivi risalta infatti quello di promuovere una “scuola di alti pensieri” ispirata ai valori delle costituzioni italiana ed europea per il futuro dell’Europa e del Mediterraneo. E a proposito di formazione, dopo la consegna all’isola della nuova panchina europea, per i 150 ragazzi partecipanti al seminario promosso dall’Istituto Spinelli è tempo di tornare alle attività. Vengono da ogni parte d’Europa, hanno età e percorsi accademici diversi, ma sono tutti pronti a raccontarsi cosa si aspettano dall’Ue. La loro giornata inizia con le sessioni di approfondimento sui temi di questa edizione come la necessità di difendere la pace lungo i confini, la transizione ecologica e digitale, facendo al tempo stesso il punto sulla Conferenza sul futuro dell’Europa (CoFoE) e l’Anno europeo dei giovani.

Da una parte ci sono gli esperti, che sono politici, giornalisti e rappresentanti delle istituzioni, dall’altra una platea di ragazzi della Generazione Z che chiedono la creazione di un bilancio federale e di una legge elettorale veramente europea, il rafforzamento dell’educazione alla cittadinanza europea nelle scuole, una soluzione strutturale per la gestione del fenomeno migratorio e una maggiore attenzione alla difesa dei diritti umani, civili e sociali, a partire dalla tutela della salute pubblica. E lo fanno con un grado di preparazione che mette alla corde chi pensa ai giovani solo come sdraiati o creatori di contenuti social.

L’occasione del seminario permette di fare un esercizio interessante e persino romantico: oggi il Manifesto di Ventotene è ancora capace di parlare alle nuove generazioni? “Quando arrivi su quest’isola è come sentirsi su un altro pianeta, perché si è circondati da coetanei visionari che pensano a un mondo diverso partendo proprio dal Manifesto, che non è più soltanto un documento, ma un metodo per capire la realtà” dice Gergana Blazheva, membro Young European Federalists. Ne è convinta anche Amanda Ribichini, studentessa universitaria di 19 anni che partecipa per la prima volta al seminario: “Prima di venire qui mi sentivo ‘quella strana’ del mio gruppo, visto che mi interessavano certi argomenti. Sull’isola invece è come se fossimo tutti uniti da una prospettiva comune, che vede negli ideali del Manifesto una guida: grazie a quelle pagine è stato come ritrovarsi”. Tuttavia il fatto di essere uniti dalla stessa base valoriale non inibisce le differenze di ciascuno che nel contesto europeo trovano piuttosto una sintesi, come ricorda il 21 enne Matteo Viarengo. Per il seminario di Ventotene sono passate diverse generazioni: c’è chi partecipa all’evento da circa trent’anni, come il presidente dell’Istituto Spinelli Mario Leone che ha iniziato al fianco di Luciano Bolis e ha visto l’evoluzione di questo momento di formazione nato nell’81 dall’intuizione di Spinelli. “Prima di arrivare a Ventotene, andiamo nelle scuole perché siamo convinti che parlare di Europa tra i banchi sia fondamentale, soprattutto perché si tratta di generazioni nate nell’era del progetto comunitario e quindi chiamate a fare la propria parte per farlo funzionare – spiega Mario Leone, che considera l’isola una dimensione senza spazio e tempo definiti e per questo in grado di generare una discussione attenta sullo stato delle cose. E ne è convinto anche Antonio Argenziano, presidente Young European Federalists, secondo il quale la vitalità di Ventotene è il suo essere un pensiero attivo: “Alcune soluzioni elaborate qui durante gli anni del confino sono di fatto valide ancora oggi, e questo fa comprendere la lungimiranza del suo paradigma. Al punto da condizionare persino le scelte di vita di chi partecipa al seminario: “Quasi tutti i federalisti sono passati dall’isola e una volta tornati sul continente, così come dicevano i confinati, continuano la lotta imparata durante la formazione – racconta Antonio – I miei amici più fidati, l’università, il mio lavoro sono il risultato dell’appartenenza a questa isola”.

Non bisogna tuttavia confondere il fatto di credere nell’Europa per tifoseria cieca, come sottolinea il segretario generale della Gioventù Federalista Europea Matteo Gori: “La prima cosa che insegna il federalismo è sapere essere critici nei confronti del progetto comunitario, perché solo così si può tentare di risolvere le sue contraddizioni e rispondere alle sfide del nostro tempo”.

Lo stesso Movimento Federalista Europeo è impegnato a rendere l’Ue capace di rispondere alle esigenze dei cittadini europei. Si pensi per esempio al sostegno di uno sviluppo economico territorialmente equilibrato, della partecipazione democratica dei cittadini europei alle istituzioni, nonché della capacità dell’Ue di agire sul piano internazionale in un’ottica di pace e sostenibilità. Secondo Matteo oggi le priorità con cui confrontarsi, come la pace, la transizione verde e digitale, vanno intese in un’ottica globale: non si può guardare al mondo dalla finestra dei propri interessi, occorre piuttosto mettersi insieme per fare la differenza. Ecco perché risulta importante la componente internazionale che prende parte al seminario e che ricorda quanto il federalismo, nonostante la sua nascita al confino, sia un’occasione di analisi libera della realtà. Dopotutto è con queste premesse che nascono le più grandi storie d’amore, come dimostra la storia di Igor, un ragazzo bielorusso affezionato al seminario federalista al punto da portare a Ventotene la sua ragazza e chiederle di sposarlo.

Su questa isola il progetto di una federazione europea non è un bell’ideale cui rendere omaggio per poi occuparsi d’altro, ma un obiettivo per cui agire ora, nella nostra generazione. Non si tratta di un invito a sognare, muovendosi nella retorica di mettere al centro i giovani: qui i ragazzi siedono al tavolo della discussione e da quella panchina europea sul mare sanno guardare lontano.