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Tutto quello che i media italiani stanno sbagliando nel raccontare il coronavirus

Non è una sorpresa, ma la copertura del coronavirus sui media italiani per ora è tra l'imbarazzante, il non professionale e il procurato allarme

Non è una sorpresa, ma la copertura mediatica dell’emergenza coronavirus in Italia – perlomeno per quanto riguarda i media mainstream – finora si è collocata in un punto medio tra il male e il malissimo, tra l’imbarazzante, il non professionale e il procurato allarme.

I motivi di tutto ciò sono ovvi per chiunque abbia chiaro come funziona il mondo dell’informazione oggi, perennemente stretto nella tensione tra l’ansia di arrivare primi sulle notizie e un modello di business basato sulla quantità. Il che si traduce in notizie false, panico, allarmismo, clickbait, informazioni importanti per il pubblico nascoste dietro paywall per abbonati, titoli francamente incredibili ed errori grossolani di traduzione dall’inglese che fanno cadere le braccia.

LA PISTA DEGLI 8 CINESI AL BAR

Forse l’esempio più emblematico di tutto ciò è un articolo uscito ieri sul Corriere intitolato “la pista degli 8 cinesi al bar” per parlare del fatto che a Vo’ Euganeo, focolaio di coronavirus in Veneto, ci sono otto abitanti di origine cinese (tra l’altro tutti risultati negativi al test per il coronavirus).

L’ALLARMISMO DELLA STAMPA ITALIANA

In questo momento la home del Corriere è aperta dal numero dei morti, quello dei contagi che continuano a salire e il dato sulla borsa che precipita. Quella di Repubblica uguale. A suo modo anche questo sparare numeri su numeri costantemente aggiornati invece che inserirli in un discorso più ampio e ragionato sulla situazione è una forma di allarmismo – e purtroppo è lo standard dell’informazione italiana. Ad esempio questa è la prima di Repubblica oggi: “mezza Italia” è un modo di dire, ovvio, ma su in momenti delicati come questi i giornali non dovrebbero usare modi di dire.


GLI ERRORI DI TRADUZIONE

La copertura dell’emergenza coronavirus ha mostrato anche i non indifferenti problemi di inglese dei media nazionali. In due articoli che parlano del sito internet che mappa in tempo reale le infezioni e i morti per coronavirus in tutto il mondo, i siti di Repubblica Tgcom hanno tradotto il termine inglese “recovered”, che significa “guariti”, con “ricoverati” Repubblica nel frattempo – dopo diverse segnalazioni su Twitter – ha corretto, ma il fatto che non sia un errore isolato lasciato sinceramente senza parole.

I SERVIZI TG DA UNA CODOGNO POST-APOCALITTICA

Nel frattempo i telegiornali nazionali hanno ovviamente realizzato servizi da Codogno, nel frattempo diventata il centro del contagio o la “zona rossa” del coronavirus in Italia. Se la realtà è quella di un paese con poche decine di casi e che giustamente prende subito delle misure di prevenzione dettate dal buonsenso, nella narrazione mediatica la situazione diventa subito una versione cheap di The Walking Dead. “Paesi isolati. Supermercati presi d’assalto. Mascherine esaurite. È la vita nelle zone del coronavirus”, è il lancio social del servizio di ieri del Tg1 – che poi mostra semplicemente persone con la mascherina in fila al supermercato per fare scorte di pasta.

Come ha scritto Luca Sofri sul suo blog Wittgenstein, “il problema, stavolta, tra i terroristi e i minimizzatori, è che la realtà delle cose proprio non si può sapere” perché nel caso del nuovo coronavirus nemmeno il parere degli esperti è risolutivo. Da questo, a cascata, deriva tutto il resto: le autorità politiche che prendono misure di prevenzione senza precedenti motivate dal buonsenso; il sistema mediatico che non ci capisce nulla, vede queste misure eccezionali e le traduce in una copertura schizofrenica; il pubblico che ascolta i media, va nel panico e svuota i supermercati. 

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