Trump se ne va, ma il trumpismo è qui per restare | Rolling Stone Italia
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Trump se ne va, ma il trumpismo è qui per restare

L'alleanza con Trump ha aiutato i Repubblicani a raggiungere risultati che auspicavano da anni, ma al prezzo di far diventare il trumpismo una forza rilevante nella politica americana

Trump se ne va, ma il trumpismo è qui per restare

Win McNamee/Getty Images

Non se ne andrà facilmente. Anche se è sconfitto, il presidente Donald Trump ha già messo in chiaro che non si arrenderà. Ciò non vuol dire, come sostengono i suoi supporter più accesi, che il risultato possa essere ribaltato in qualche modo dalla Corte Suprema.

Anche qualora venisse concesso il riconteggio in uno stato come la Georgia, dove il margine di distacco è di circa 10mila voti, difficile che qualcosa cambi. Quando venne effettuato il riconteggio in Wisconsin quattro anni fa, Trump aveva vinto con un margine simile. Risultato finale: 131 voti in più per l’attuale presidente. E anche nel caso che tutti citano in modo inappropriato, nelle elezioni del 2000 il vantaggio originario di George W. Bush di 537 voti non cambiò mai. E un’inchiesta patrocinata dall’università di Chicago un anno dopo, avrebbe certificato che Al Gore avrebbe vinto solo in alcuni casi. E nessuno ipotizzò mai che Gore avesse superato Bush. Stavolta gli stati contesi sono ben 5. Impossibile, e a mezza bocca il presidente si è rassegnato a riprovarci nel 2024. Fiducioso che la sua presa sul partito non cesserà, fino ad allora.

E questo è possibile, anzi, è probabile. Perché questa mutazione genetica del partito repubblicano viene da lontano. La paranoia era già presente nei membri della John Birch Society, un gruppo di estrema destra nato in California negli anni ’60 che credeva che un gruppetto di comunisti fosse annidato ai vertici dello Stato (simile al movimento QAnon) che fu uno dei supporter dell’elezione governatore di Ronald Reagan nel 1966. Ma a fine anni ’80, con la sconfitta dell’Unione Sovietica il partito repubblicano iniziò una trasformazione nazionalistica.

Nel 1992 il procuratore generale William Barr (lo stesso che venne nominato poi da Trump nel 2018) scrisse un report intitolato The Case for More Incarceration, che sosteneva l’uso massiccio di lunghi periodi di carcerazione per combattere il crimine di strada. Approccio che venne seguito in parte anche dai democratici ma che portò a colpire in modo sproporzionato la comunità afroamericana.

Ma soprattutto il 7 ottobre 1996 arrivò un nuovo canale televisivo che avrebbe trasformato per sempre l’approccio alle istituzioni del partito repubblicano, innestandosi nell’approccio aggressivo impresso dal leader dei repubblicani alla Camera Newt Gingrich che affrontò di petto l’amministrazione centrista di Bill Clinton. Fox News sarebbe diventata sempre più aggressiva grazie alla linea paranoide e sottilmente razzista del suo fondatore Roger Ailes. Il suo appoggio poteva far la differenza alle primarie e nel 2016 aiutò in modo determinante la candidatura del completo outsider Donald Trump alla presidenza, tanto da avviare una partnership stretta con il suo uso spregiudicato delle notizie non completamente false ma comunque tendenziose, con intrecci più profondi tra presidenza e network di quanto si immagini, come descritto nel libro Inganno del giornalista della Cnn Brian Stelter.

Questa unione impura è stata accettata obtorto collo anche dal leader informale dei repubblicani nelle istituzioni, il capogruppo al Senato Mitch McConnell, che vedeva una figura populista come Trump capace di condurre i repubblicani a raggiungere i risultati che auspicano da anni: un dominio conservatore delle Corti federali, meno tasse per le grandi imprese e una sanità basata sul modello privato. E in due casi su tre, questo matrimonio di interesse ha funzionato.

Adesso, come suggerì prima delle elezioni il senatore texano John Cornyn, la moglie repubblicana potrebbe lasciare il marito cafone e arrogante Trump. Ma riuscirà anche fuori dalla presidente ha mantenere questo rapporto privilegiato con i suoi elettori? Oppure, come sembra dal mood degli elettori in Nebraska, uno stato conquistato conquistato con quasi venti punti di distacco martedì scorso, alla fine il risultato verrà accettato pur con molti mugugni e dubbi? Bisogna anche vedere se non si tenterà la via del partito personale, come alcuni sostenitori ultra-trumpiani tipo l’ex consulente della Casa Bianca Sebastian Gorka sta caldeggiando da giorni.

In ogni caso Trump continuerà a rimanere una forza rilevante della politica americana. Non sappiamo però se questo avvantaggerà i Democratici con una divisione feroce dei conservatori oppure saprà essere una forza unificante del partito che conquistò nel 2016, pur con l’aiuto di molti insider, che però stavolta potrebbe voler voltare pagina. Per perseguire politiche simili, magari con un leader meno compromesso di Trump.