Togliamo i social ai leader di partito, prima che sia troppo tardi | Rolling Stone Italia
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Togliamo i social ai leader di partito, prima che sia troppo tardi

Nel caos delle ultime settimane, avremmo avuto bisogno di una classe politica responsabile e concentrata sui temi: e invece no, ci siamo ritrovati in un clima surreale, segnato dalle scaramucce di una cerchia di ego–maniaci che non perde occasione per renderci partecipi dei loro dissidi interni e dei loro bisticci su Twitter, parlando più a loro stessi che alla comunità che vorrebbero amministrare

Togliamo i social ai leader di partito, prima che sia troppo tardi

Da quando Mattarella ha deciso di sciogliere le Camere in quella folle notte di mezza estate, abbiamo sperimentato una fase inedita (e complicatissima) della nostra vita da elettori.

Nulla di cui stupirsi, non fosse altro che il tempo a disposizione per fermarsi a riflettere e adeguare il nostro sistema nervoso ai tempi schizofrenici di un sistema politico che, in un paio di settimane, ha acquisito le forme di una maionese impazzita era decisamente troppo poco; di contro, però, le novità a cui adeguarsi sono tantissime: l’incognita del voto in autunno (come non accadeva dal 1919, più di un secolo fa: la stragrande maggioranza dell’elettorato non era nata, l’Italia non era neppure una repubblica), una legge elettorale vetusta e adeguata in maniera sbrigativa per agevolare la distribuzione dei seggi in un Parlamento profondamente ridisegnato e, last but not least, tutte le ricadute psicologiche legate agli strascichi della pandemia da coronavirus, agli sviluppi di 6 mesi di guerra in Ucraina e allo spettro di una crisi energetica che sta già facendo sentire i suoi effetti e per la quale, allo stato attuale, non esiste ancora una strategia risolutiva.

Nel bel mezzo di un pandemonio di tale portata, avremmo avuto bisogno di una classe politica responsabile e concentrata sui temi, capace di impostare un dibattito pubblico maturo e inclusivo: e invece no, ci siamo ritrovati in un clima surreale, segnato dalle scaramucce di un manipolo di ego–maniaci che non perdono occasione per renderci partecipi dei loro dissidi interni e delle loro scaramucce su Twitter, parlando più a loro stessi che alla comunità civile che dovrebbero amministrare nei prossimi mesi, in una perfetta logica autoreferenziale.

L’approccio social dei leader di partito (specialmente di quelli che, in teoria, dovrebbero impedire a Meloni di vincere le elezioni) è stato un completo disastro sin dall’inizio, tra coalizioni nate e dismesse su Twitter, giovani massacrati per vecchi post, video di stupri diffusi allegramente, aut aut riusciti malissimo, enfasi su parole di cui, evidentemente, non si conosce troppo bene il significato, da destra a sinistra (#Devianze, do you remember?) e filtri sbarazzini su TikTok.

Partiamo da Letta e dal suo posting ossessivo e privo di ogni connessione con il presente: nelle ultime settimane, osservando i contenuti condivisi sui suoi canali ufficiali, si ha quasi il dubbio – legittimo – che qualcuno possa avergli rubato il telefono per rovinargli la reputazione (l’altra possibilità è che sia completamente impazzito, ma per ora tendiamo a scartarla).

Il segretario dem ci ha reso partecipi di ogni cosa, dalla sua netta preferenza per il guanciale in fatto di carbonare alla sua passione sconfinata per le devianze, forse nella speranza di rendersi appetibile per l’elettorato più giovane, l’inafferrabilissima – e tendenzialmente astensionista, almeno secondo i sondaggi – Gen Z.

Ecco, forse il primo fraintendimento, perlomeno a sinistra, è proprio questo: ritenere che la Gen Z sia composta unicamente da teste vuote prive di coscienza politica, permeabili agli slogan faciloni e ai comportamenti un po’ eccentrici tenuti nell’etere. Spoiler: così non è. Sono, probabilmente, la generazione più consapevole di sempre sui problemi che affliggono il Pianeta e le minoranze – cambiamenti climatici, gender gap, diritti Lgbt, accesso alla cittadinanza – e, come tutti, vogliono sentire parlare di temi, non di certo osservare il leader di una coalizione comportarsi come un perfetto nonno social alle prese con una modernità troppo più grande di lui. Sono “sul pezzo”, informati, viaggiano molto e sono connessi con i loro coetanei da tutto il mondo. Per intenderci, non rappresentano di certo la tipologia di elettorato che può ritenere ammissibile la spiegazione di una legge elettorale con QUESTE modalità da bar sport anni Novanta:

Ma passiamo a Calenda, con ogni probabilità il re dell’egocentrismo e dell’auto–referenzialità acchiappacuoricini che, purtroppo, rappresentano le veri costanti di questa grottesca campagna elettorale. La sua strategia comunicativa è chiara: schiumare di rabbia ogni giorno, reiterando la sua – instancabile – vis polemica contro il Pd, sempre e comunque a colpi di tweet. Tralasciando il cambio di coalizione annunciato su Twitter e i continui bracci di ferro con Letta e Franceschini, anche nel suo caso l’assoluta incapacità di intercettare con le parole giuste l’elettorato più giovane ha fatto breccia in più occasioni. Prendiamo, a titolo d’esempio, il suo (disastroso) esordio su TikTok: nel suo primo video, il leader di Azione ha pensato bene di trattare gli utenti da perfetti rimbambiti disinformati. Ad esempio, ha spiegato di non voler usare il social cinese per ballare né per dare consigli di makeup, ma per «parlarvi di politica, di libri, di cultura», sostenendo che «non è molto comune, ma proviamo a fare una cosa non comune».

Ora, dichiarare con quel tono superbo e paternalistico che su TikTok non si parla di politica, libri e cultura (è pieno zeppo di account nati con questo specifico scopo, anche se ovviamente con toni più leggeri) non è soltanto la strategia perfetta per allontanare ulteriormente la tanto indecifrabile Gen Z dalla politica attiva: è anche un argomento retorico efficace da regalare ai propri avversari politici, che avranno buon gioco nel dichiarare che, ebbene sì, Calenda non ha la minima idea di come interfacciarsi con quel pubblico giovanissimo da cui spera di essere votato – addirittura Silvio Berlusconi, un classe ‘36, sembra averlo capito molto di più (per chi volesse approfondire, consiglio la lettura di questo articolo di Viola Stefanello su Il Post).

Se sono questi gli argomenti da opporre per impedire alla coalizione di – estrema – destra di vincere le elezioni e formare un governo, beh: in bocca al lupo. Finirà malissimo.