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Stile inconfondibile e frasi fulminanti: i 100 anni dell’avvocato Gianni Agnelli

Capitano d’industria e viveur, icona di stile e impareggiabile battutista. Poteva permettersi tutto tranne una cosa, che infatti adorava: “Mi piace il vento perché non si può comprare”

Massimo Di Vita/Archivio Massimo Di Vita/Mondadori Portfolio via Getty Images

Gianni Agnelli nasceva il 12 marzo 1921. Presidente della Fiat e della Juventus, uomo simbolo del capitalismo, icona di stile e sempre pronto alla battuta tagliente. Oggi avrebbe compiuto cento anni ed è giusto ricordarlo, al di là delle divisioni, per quel che ha rappresentato a livello di immagine. È stato infatti un vero ambasciatore dell’eleganza italiana nel mondo, che ancora è identificata con alcuni dei suoi caratteristici outfit. Che potasse il piumino sopra il blazer, le camicie con il colletto ‘button down’ o le cravatte sopra il pullover, sapeva sempre e comunque distinguersi con classe. E ancora, si ricordano i maglioni a collo sciallato o a coste inglesi (allo stadio), gli scarponcini di camoscio per le occasioni formali e l’orologio rigorosamente sopra il polsino della camicia.

In tanti hanno provato a imitarlo, in pochi ci sono riusciti. E che ha fatto tendenza anche all’estero, in particolare negli Stati Uniti, dove era stato celebrato persino da Andy Warhol che lo aveva ritratto. La sua eleganza non era per nulla “alla moda”, anzi, tutto veniva personalizzato in ogni singolo dettaglio fino a formare una moda del tutto personale, che semplificando si definisce “stile”. Molte le occasioni in cui riuscì a mettersi in mostra. Per esempio, nel ’92 a New York, durante una serata di gala della Fiat, si presentò in abito Caraceni in pesante lana gessata, probabilmente riesumato dall’armadio e appartenente alla gioventù, visto che non gli faceva abbottonare la giacca.

E poi le regole auree da seguire. Poche, ma implacabili: mai calzini corti, mai scarpe a punta, mai occhiali da vista (ma da sole, sì) e capelli sempre corti, mai lunghi neanche quando sarebbero stati di gran tendenza. Una classe costante durante tutto l’arco della vita, tanto che solo una settimana prima della morte venne inserito da Vogue nella classifica dei 50 uomini più eleganti del mondo.

Parallelamente, lo supportava un acume e una ironia sabauda che forse oggi lo avrebbero reso un influencer per i suoi “tweet” fulminanti su ogni argomento, dall’amore al calcio. Alcuni esempi? “Ci si innamora a vent’anni: dopo si innamorano soltanto le cameriere” usava dire, quando gli chiedevano dei rapporti fra uomo e donna, oppure: “Gli uomini si dividono in due categorie: gli uomini che parlano di donne e gli uomini che parlano con le donne. Io di donne preferisco non parlare”, e chissà cosa avrebbe detto dei tanti che parlano dei fatti loro ogni ora del giorno e della notte in tv o sui social. Amatissimo anche dai giornalisti, perché in fondo un titolo lo avrebbe sempre regalato. Come quando gli riferirono che il pentito Buscetta era tifoso della Juve: “Buscetta ha detto di essere ossessivamente un tifoso della Juventus? Se lo incontrate ditegli che è la sola cosa di cui non potrà pentirsi” quando doveva sostenere la Ferrari nonostante qualche sconfitta: “Non tutti gli italiani tifano per la Nazionale, mentre tutti gli italiani e il cinquanta per cento dei non italiani tifano Ferrari”.

Capitano d’industria e viveur, questa la sua forza, che gli permetteva di essere autoironico sulla sua fortuna: “Tutto quello che ho, l’ho ereditato. Ha fatto tutto mio nonno. Devo tutto al diritto di proprietà e al diritto di successione, io vi ho aggiunto il dovere della responsabilità” e nello stesso tempo un punto di riferimento per il sogno europeo: “Ogni giovane d’Europa deve poter cominciare i suoi studi a Parigi, continuarli a Londra, completarli a Roma o Francoforte. Dobbiamo recuperare, in chiave moderna, l’eredità degli antichi clerici vagantes”. Poteva permettersi tutto, tranne una cosa e infatti la adorava: “Mi piace il vento perché non si può comprare”.

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