Sono un fuorisede semplice: il mio diritto di voto vale di meno | Rolling Stone Italia
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Sono un fuorisede semplice: il mio diritto di voto vale di meno

In Italia le persone che studiano o lavorano in località diverse da quella di residenza ammontano a 4,9 milioni, una quota pari a più del 10% degli aventi diritto: per questo segmento di cittadinanza, votare non è affatto un fatto scontato, ma un sacrificio che richiede grossi investimenti in termini di tempo, denaro ed energie nervose

Sono un fuorisede semplice: il mio diritto di voto vale di meno

Foto via Getty

Il 25 settembre si vota per il rinnovo del parlamento e, come da copione, una porzione consistente di italiani rischia di non potere esercitare il proprio diritto di voto. Secondo gli ultimi dati ISTAT emersi dalla Commissione d’Incà, infatti, in Italia le persone fuorisede – ossia quelle che studiano o lavorano in località diverse da quella della residenza abituale – ammontano a 4,9 milioni, più del 10% degli aventi diritto: per questo segmento di popolazione, prendere parte all’elettorato attivo non è assolutamente un fatto scontato, ma un sacrificio che richiede grossi investimenti in termini di tempo, denaro ed energie nervose.

Quando le elezioni si avvicinano, chi ha dovuto trasferirsi per motivi di studio o lavoro e, legittimamente, ha scelto di non trasferire la propria residenza, deve venire a patti con la dura realtà: votare rasenterà l’impossibilità, a meno di non programmare una difficile corsa a ostacoli fatta di estenuanti viaggi in treno (e parecchio dispendiosi, anche al netto degli sconti previsti per l’occasione) e lunghe trattative con i datori di lavoro. Per gli studenti, poi, la chiamata alle urne autunnale acquisisce tutti i crismi di un vero e proprio atto di fede, dato che settembre è un mese delicatissimo, scandito dalle sessioni d’esame straordinarie e dalle sedute di laurea; non dovesse bastare, il quadro è aggravato dal fattore temporale: quelle del 25 settembre, infatti, saranno le prime elezioni politiche in cui si potrà votare in un solo giorno invece che in due, e questo dimezzamento si tradurrà in un’ulteriore complicazione per i tanti che dovranno sostenere un lungo viaggio di andata e ritorno per esercitare il più basilare tra i diritti. Per chi abita fuori sede, poi, la sensazione di beffa è acuita dal fatto che, per gli italiani iscritti nelle liste elettorali della Circoscrizione estero, votare è semplicissimo: basta esprimere la propria preferenza per posta, ricevendo il plico elettorale al proprio indirizzo di residenza.

I motivi per correggere questa impasse fantozziana ci sarebbero tutti, a partire dagli ovvi squilibri che derivano da un cortocircuito logico di tale portata. In questi anni, i governi che si sono succeduti hanno tutti preso impegni per correggere il meccanismo e molti disegni di legge sono stati presentati in parlamento, ma sono stati puntualmente accantonati e bollati come questioni non prioritarie delle varie legislature – al momento in commissione Giustizia alla Camera c’è la proposta di legge, a prima firma della democratica Marianna Madia, che prevede “Disposizioni per l’esercizio del diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza, in caso di assenza per motivi di studio, lavoro o cura, e delega al governo per la sperimentazione di sistemi telematici di votazione”. Il testo, presentato a marzo 2019, è il più vecchio della legislatura, a cui sono poi stati abbinati analoghi disegni di legge presentati da Movimento 5 Stelle, Azione e Italia viva; per tutti, però, l’iter è fermo all’esame in commissione dal maggio 2021.

Le conseguenze di questa procrastinazione senza soluzione di continuità sono sotto gli occhi di tutti: mentre le Camere si interrogano sulle ragioni dell’astensionismo e della disaffezione dei giovani nei confronti della politica, il voto a distanza rimane una chimera. Lo stato dell’arte che deriva dalle rilevazioni della Commissione d’Incà è impietoso: dei 4,9 milioni di fuorisede presenti in Italia, circa il 38% impiega 2 o più ore per rientrare nel Comune di residenza attraverso la rete stradale (almeno 4 ore, considerando anche il tempo del viaggio di ritorno). Di questi, 728mila (circa il 15%) devono affrontare uno spostamento complessivo (comprensivo, quindi, di andata e ritorno) che va dalle 4 alle 8 ore, 452mila (il 9,2%) dalle 8 e alle 12 ore e 681mila (circa il 14%) addirittura superiore alle 12 ore di viaggio. La stessa Commissione sostiene che l’obbligo di spostamento per i fuorisede rientri tra le principali cause del cosiddetto “astensionismo involontario”, ossia la mancata partecipazione al voto per motivi indipendenti dalle proprie scelte politiche: bene, per quanto tempo abbiamo intenzione di dare seguito a questa follia?