Sono passati 30 anni, ma Tangentopoli è ancora il grande trauma irrisolto della politica italiana | Rolling Stone Italia
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Sono passati 30 anni, ma Tangentopoli è ancora il grande trauma irrisolto della politica italiana

Nel trentesimo anniversario della più grande indagine giudiziaria sulla corruzione mai svolta nel nostro Paese, una domanda sorge spontanea: il “Sistema–Italia” è davvero cambiato? 

Sono passati 30 anni, ma Tangentopoli è ancora il grande trauma irrisolto della politica italiana

Foto di Simona Granati - Corbis/Getty Images

È il 17 Febbraio del 1992 quando l’ingegnere Mario Chiesa, Presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano e membro di spicco del PSI meneghino, viene colto in flagrante con un tasca una mazzetta di 7 milioni di lire, cortesia dell’imprenditore monzese Luca Magni, che però lo aveva denunciato all’Arma dei carabinieri, stanco di dover pagare. Pochi minuti prima, una mazzetta ancora più cospicua era stata fatta sparire dallo stesso Chiesa nello scarico del bagno.

Uno scarico a suo modo iconico, un mito di fondazione che segna l’inizio dell’era di Tangentopoli, la caccia dei magistrati del pool di Milano ai politici e agli imprenditori corrotti. Un organismo d’inchiesta composto dai magistrati Gherardo Colombo, Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo, che con le sue indagini segnerà la fine della cosiddetta Prima Repubblica, rivelando i meccanismi di un sistema marcio, contrassegnato dai rapporti sporchi tra l’imprenditoria italiana e la politica e che porterà davanti al pool milanese personaggi di primo piano della scena politica nazionale, su tutti quel Bettino Craxi a cui verranno addossate tutte le colpe di una struttura malata, che faceva buchi da tutte le parti e che proprio attraverso quei buchi faceva penetrare il denaro. Chiesa, rinchiuso nel carcere di San Vittore, inizialmente non confessò durante il primo interrogatorio davanti al giudice Di Pietro, che però nel frattempo aveva scoperto i conti segreti in Svizzera “Levissima e Fiuggi” e incalzò l’avvocato dello stesso Chiesa con queste parole: «Avverta il suo assistito che l’acqua minerale è finita».

Così, in un secondo interrogatorio, Chiesa fu costretto a vuotare il sacco, facendo venire a galla tutto il marciume e i nomi e cognomi dei coinvolti: simbolicamente, il colloquio tra Chiesa e Di Pietro sancì la fine di un’epoca e il canto del cigno di PSI e DC, i principali cardini politici del nostro Paese.

Da quel momento in poi ebbe inizio una fase ad altissimo tasso di tensione e schizofrenia mediatica, caratterizzata da una crescente sfiducia nei confronti della politica da parte di un’opinione pubblica colta in contropiede dagli sviluppi dell’inchiesta. Il 29 Aprile del 1993 lo stesso Craxi, audito in Parlamento, dopo aver inizialmente rinnegato le mazzette e il suo coinvolgimento, ammise di aver ricevuto finanziamenti illeciti, ma provò a giustificarsi parlando di un malessere sistemico, che coinvolgeva anche quei partiti e quei personaggi che inneggiavano ai magistrati. Per Bettino Craxi tutti erano in un qualche modo coinvolti, perché tutti godevano (o avevano goduto) di quel sistema.

Il 29 Aprile la camera negò l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti (essendo deputato, godeva ancora dell’immunità parlamentare). Il Parlamento insorse e dai banchi di Lega, PCI e MSI iniziarono le prime urla contro il governo: «Ladri, imbroglioni».

Il 30 Aprile del 1993 rappresentò, forse, il momento chiave di questo periodo: una folla di persone radunata davanti all’albergo Raphael di Roma, dove soggiornava Bettino Craxi, lo attese all’uscita sommergendolo di monetine e coprendolo di insulti (tra cui il celebre «vuoi anche queste, Bettino»?).

Non passò molto tempo e, il 4 Agosto dello stesso anno, la Camera diede autorizzazione a procedere nei confronti del leader del PSI. In questo periodo emersero ulteriori dettagli, tra tangenti per mari e monti e il coinvolgimento di Eni e di altre aziende essenziali per il tessuto economico del Paese, che avevano contribuito a tenere in piedi un sistema – di cui nessuno, però, a quanto pare si era fino ad allora lamentato.

Fu una parentesi estrema sotto tutti i punti di vita, come spesso accade in Italia. I magistrati vennero innalzati a Dei, liberatori della Patria, basti ricordare le luminarie di alcuni paesi con le scritte natalizie «buon Natale, Di Pietro»; si viveva contando su un’unica, grande speranza, ossia che l’Italia dopo di allora sarebbe diventata un Paese migliore, “pulito” per l’appunto.

La riscossa mediatica del pool – e l’ondata giustizialista che scatenò – secondo alcuni fu enfatizzata fino all’estremo, sino al punto di indurre al suicidio diversi imprenditori , 41 in totale . Da Raul Gardini, a capo di Enimont, all’onorevole Moroni, tesoriere del PSI a Milano, che si rifiutava di essere etichettato come ladro, dichiarando di non aver mai intascato una lira. Mentre Gabriele Cagliari, Presidente dell’Eni, si tolse la vita in carcere.

Al personaggio politico più influente in assoluto – e simbolo di questo periodo, nel bene e nel male – ovvero Bettino Craxi, fino ad allora uno dei maggiori politici italiani, uno dei più importanti, per intelligenza e competenze, il 12 Maggio del 1994 venne ritirato il passaporto per paura che prendesse la via dell’estero e, quindi, la fuga. Ma in realtà Craxi aveva già abbandonato l’Italia e si trovava ad Hammamet, in Tunisia: non fece più ritorno in quel Paese che governò dal 1983 al 1987. La malattia lo spense il 19 gennaio di tre anni dopo, al giro di boa del nuovo millennio, consegnando alla storia un uomo che lascerà luci e ombre e sarà un tema costante del dibattito pubblico degli anni successivi: la sua vicenda sarà soggetto di numerosissimi documentari e di un film parecchio chiacchierato che, secondo le voci più critiche, è stato una grossa occasione sprecata

Che Mani Pulite sia stato un periodo travagliato e necessario per il nostro Paese è fuori di dubbio: chi lo ha vissuto in quegli anni, da adolescente, ricorderà ancora una televisione monopolizzata da notizie confuse, gente ammanettata e ultime ore pronte ad annunciare il suicidio dell’imprenditore di turno o a mettere in scena delle folle inferocite, che quasi avrebbero voluto sbranare chi avevano votato fino a poco tempo prima. Antonio Di Pietro diventò una specie di star, perfetto contraltare della triste fine che toccò a Bettino Craxi, lasciato solo da tutta quella parte politica e imprenditoriale che, con ogni probabilità, senza di lui non avrebbe potuto proliferare. A trent’anni di distanza dalla più grande indagine giudiziaria sulla corruzione mai svolta nel nostro Paese, una domanda sorge spontanea: il “Sistema–Italia” è davvero cambiato?