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Scatenare una guerra economica contro Putin non è uno scherzo

Se un quarto del greggio europeo viene da Mosca, il gas russo soddisfa il 40% del fabbisogno italiano, 29 miliardi di metri cubi l’anno (in UE siamo secondi solo alla Germania): liberarsi dal cappio energetico del Cremlino non sarà semplice

Foto di Mikhail Svetlov/Getty Images)

Quando l’Unione Europea ha scelto di muoversi in maniera unitaria approvando i primi pacchetti di sanzioni contro il Cremlino, era chiaro il rischio di un effetto boomerang: «la crisi avrà conseguenze sulle nostre vite, la nostra economia», si affrettava a dire Emmanuel Macron, con la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen a fargli eco una settimana dopo. Perché all’arma sanzionatoria, già di per sé a doppio taglio, c’è da aggiungere lo spettro di un’iperinflazione sospinta dai rincari che stanno interessando l’energia e le materie prime. Mosca, a dispetto del suo 1,7% di Pil mondiale, ha in mano i più importanti settori strategici. Semiconduttori, fertilizzanti, grano, petrolio, gas: scatenare una guerra economica contro Putin non è uno scherzo.

Definitivamente compromessa la ripresa post-Covid, la Bce ha corretto a ribasso le previsioni di crescita nell’eurozona per il 2022. Intanto l’Italia, che sta pagando uno dei conti più salati tra le democrazie occidentali, potrebbe già dire addio al 3% del Pil. Dai beni di lusso alla finanza, scontiamo i nostri legami con la Russia. Secondo i dati dell’Agenzia ICE nel 2021 l’interscambio complessivo valeva circa 20 miliardi di euro, 7 in export. Tra le ritorsioni dunque, come nel 2014, non manca la messa al bando del Made in Italy, poi c’è l’ovvia batosta per il turismo – i russi insieme agli americani sono i più spendaccioni – e la minaccia alle banche. Una ricerca di Credit Suisse mostra come gli istituti italiani siano tra i più esposti a livello europeo, nel mirino UniCredit e Intesa Sanpaolo che nei territori ex sovietici possiede asset per 1 miliardo di euro. Ma veniamo alla nota dolente. I prezzi drogati dell’energia che stanno soffocando la filiera produttiva, oltre al caro bollette, sono responsabili della generale impennata dei prezzi. Se un quarto del greggio europeo viene da Mosca, il gas russo soddisfa il 40% del fabbisogno italiano, 29 miliardi di metri cubi l’anno (in UE siamo secondi solo alla Germania).

La dipendenza energetica dal Cremlino ha radici negli anni Cinquanta, quando Eni si assicura i primi acquisti di oro nero dall’URSS. Vent’anni dopo la crisi petrolifera ha bloccato il mercato mediorientale e l’impiego di energia sovietica diventa strutturale. Ma è con l’avvento di Zar Putin che il gas si trasforma in un efficacissimo strumento politico, una clava da brandire per generare tensioni. Le forniture continuano ad aumentare, sospinte da un accordo strategico siglato nel 2006 e rinnovato nel 2010 che garantisce all’Italia trent’anni di approvvigionamenti sicuri. Neppure l’annessione della Crimea basta per accendere una lampadina, ci vuole il sacrificio ucraino.

Un po’ per sottrarsi alla continua minaccia russa di chiudere i rubinetti – improbabile dato che le vendite coprono le spese militari – un po’ nella speranza di seguire un giorno l’esempio statunitense smarcandosi del tutto, sull’energia il governo italiano con Draghi si dice pronto a cambiare passo. Certo le opzioni in campo non sono esaltanti: per il gas oltre a potenziare la produzione nazionale si guarda all’Algeria, vicina a Mosca (si è astenuta in merito alla risoluzione Onu sull’Ucraina), all’Azerbaigian legato alla Russia da un nuovissimo accordo di cooperazione che esclude politiche economiche dannose per le parti, alla Libia come noto vittima di una situazione politica disastrata. Ovviamente, ci sono poi gli States che possono accrescere le esportazioni di gas liquido. Il premier aveva paventato anche un temporaneo ritorno al carbone mandando a pieno regime le centrali già in funzione e soprattutto riaprendo quelle di La Spezia e Monfalcone, ma su questo è arrivata la smentita del Ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani: «la spesa non varrebbe l’impresa». Oltre al fatto che la misura segnerebbe un’impennata nelle emissioni, 30 milioni di tonnellate di CO2 secondo uno studio della Fondazione Eni-Enrico Mattei pubblicato dal Corriere della Sera.

Sul fronte green, a denunciare gli errori italiani ci pensa Legambiente. Nuovi dati di proiezione rivelano come solare ed eolico avrebbero potuto allentare di molto il cappio del Cremlino: implementati in maniera continuativa come avvenuto nel miracoloso triennio 2010-2013, oggi garantirebbero un risparmio del 70% pari a 20 miliardi di metri cubi di gas russo in meno da importare ogni anno. Ai fan del nucleare, invece, risponde la responsabile energia Katiuscia Eroe, l’atomo è «una soluzione che comunque non renderebbe l’Italia indipendente considerando che l’uranio arriva principalmente dalla Namibia, il più grande esportatore seguito dalla Russia».

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