Rolling Stone Italia

Salviamo Sara Pinna e condanniamo il leghista nascosto in ognuno di noi

Perché il linciaggio mediatico di una giornalista locale non ci libererà da tutti i pregiudizi e gli stereotipi inoculati in trent'anni di retorica anti-terroni

Nelle ultime ore tutti parlano di Sara Pinna, giovane conduttrice di un’emittente locale veneta balzata all’onore delle cronache per delle dichiarazioni che, come per magia, hanno fatto tornare d’attualità la vulgata bossiana e antimeridionale in voga fino a qualche anno fa, rievocando un immaginario fatto di poveri emigranti calabresi, siciliani, pugliesi e campani che, muniti di valigia di cartone e tanta forza di volontà, muovono alla volta della Padania per approfittare delle magnifiche opportunità offerte dalla grande industria made in Veneto.

Il problema è che, nel caso del “Pinna Gate”, il destinatario dello stereotipo è un bambino di 7 anni. La vicenda è diventata di pubblico dominio soltanto nelle ultime ore grazie ad alcune segnalazioni, ma i fatti risalgono a dieci giorni fa.

Riavvolgiamo il nastro: il 20 maggio, il Cosenza ha battuto il Vicenza per 2-0 nella gara di ritorno dei play-out di Serie B. Nel post-partita, il giornalista della tv locale Tva – quella per cui lavora anche Pinna, che conduce il programma Terzo Tempo – ha intervistato alcuni tifosi della squadra di casa per sondare gli umori della piazza, intercettando un tifoso del Cosenza con in braccio suo figlio. I due, com’era naturale che fosse, hanno gioito per la salvezza conquistata dalla squadra di casa e il bambino, sotto suggerimento del papà, ha esclamato: «Lupi si nasce» – riferendosi al lupo della Sila, simbolo della squadra cosentina.

Un’affermazione che ha scatenato la reazione un pelino sproporzionata di Pinna, che si è prodigata in una risposta ai limiti del grottesco: «Gatti si diventa. Non ti preoccupare che venite anche voi in Pianura a cercare qualche lavoro». Un commento che ha incassato l’immediata pacca sulla spalla di Ceroni, che ha esclamato con fierezza: «Non male, Sara».

Da quando il siparietto è diventato di pubblico dominio, Sara Pinna si è trasformata in un caso politico nazionale: sui social le condanne si sono moltiplicate – in alcuni casi chiedendo a gran voce le sue dimissioni –, scatenando un coro d’indignazione rafforzato dalla risposta che il padre del bambino ha pubblicato sui social, intitolata Lettera di un padre ad una conduttrice razzista – di seguito il testo integrale:

Ora: che la giornalista di un’emittente locale venga messa alla gogna per un’uscita infelice (irricevibile a ogni possibile livello, siamo d’accordo, soprattutto perché pronunciata in risposta all’euforia di un bambino), trasformandosi nel capro espiatorio dei mali del mondo, è un qualcosa al di fuori di ogni cornice di senso – il razzismo e i pregiudizi che ognuno di noi cova dentro di sé non dipendono di certo da Sara Pinna: suvvia, siamo seri.

Forse, però, a un livello più profondo rispetto a quello del semplice linciaggio mediatico turbo-indignato da social, il “Pinna-Gate” può insegnarci qualcosa, ossia che il leghista che alberga in ognuno di noi è duro a morire.

Trent’anni di retorica anti-terroni non vengono cancellati con un colpo di spugna: l’eredità dei raduni di Pontida, dei discorsi sui napoletani dediti al latrocinio e privi di voglia di lavorare e degli annunci di affitto riservati a chiunque “tranne che ai meridionali” affonda le radici in tempi antichi.

Tanto per rendere conto della pervasività di cui questo tipo di sentimento ha goduto fino a non troppo tempo fa nell’area padana, è sufficiente citare alcune risultanze di un sondaggio svolto da Bergamo oggi nel 1989, dedicato al sentimento anti-meridionale divampante in città all’indomani delle elezioni: «Il 62 per cento dei bergamaschi non accetterebbe un marito o una moglie proveniente dal sud, il 54 per cento non sceglierebbe mai un medico meridionale, e il 67 per cento non vorrebbe un insegnante terrone».

Fino a non troppi anni fa, per una porzione consistente di italiani, il razzismo anti-meridionale non rappresentava l’eccezione, ma il senso comune. Le scorie di questa narrazione sopravvivono ancora oggi proprio perché, per anni, questa narrazione ha rappresentato la normalità delle cose: nulla di cui stupirsi. Nel settembre del 2019 (non proprio un secolo fa), un’impiegata palermitana residente a Forlì è stata aggredita dai vicini di casa in seguito a una lite sul parcheggio condominiale. Si è sentita urlare addosso cose come questa: «Non hai capito che tu non hai diritto al parcheggio perché sei in affitto? Morta di fame e terrona puzzolente. Noi siamo proprietari e ne possiamo mettere anche due di macchine». Insomma: anziché cedere alla facile indignazione e costringere alla damnatio memoriae Sara Pinna, forse potremmo cogliere l’occasione per provare a silenziare quel leghista anni Novanta che continua ad albergare in ognuno di noi.

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