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La verità sui militari russi in Italia e il coronavirus

L'arrivo in Italia degli aiuti umanitari russi contro il coronavirus, portati da mezzi militari, ha causato reazioni isteriche

L'arrivo degli aiuti russi. Foto via Twitter

Una colonna di camion militari russi ha attraversato negli ultimi giorni buona parte del paese, da Roma a Bergamo, con una scorta di carabinieri. Seicento chilometri di strada per portare nella zona rossa del coronavirus 60 tonnellate di aiuti umanitari: 100mila sistemi di test, alcune decine di ventilatori polmonari, mascherine, completi di protezione, unità mobili per la disinfezione del territorio, macchine di analisi biologica e patogena.

Gli aiuti sono arrivati in Italia lunedì, su 15 cargo atterrati alla base di Pratica di Mare, dopo la richiesta di sostegno che il premier, Conte, ha espresso al presidente russo, Putin, nel corso di un colloquio telefonico. Dal Cremlino dicono che è un gesto di solidarietà disinteressato, deciso peraltro in un momento difficile, perché la Russia come l’Italia affronta i rischi dell’epidemia, e perché fra i due paesi sono ancora in vigore pesanti sanzioni economiche. Del pacchetto fanno parte un centinaio di uomini dell’esercito, soprattutto personale medico, il che ha ricevuto il plauso delle istituzioni, ma ha anche sollevato critiche al limite dell’isteria.

Le critiche si possono dividere in due categorie. La prima è materiale: questi russi sono soldati. A Mosca in effetti è proprio all’esercito che il governo ha affidato un ruolo decisivo in questa crisi, anche in termini economici: 120 milioni di euro per costruire sedici centri di cura intensiva dall’enclave di Kaliningrad, sul Mar Baltico, sino alla Kamchatka. Per quanto sia difficile da accettare, nessuna struttura civile al mondo è in grado da sola di gestire un’emergenza come quella che attraversa il nord Italia, e di fatti le nostre forze armate sono da giorni in prima linea in Lombardia.

I russi arrivati nel nostro paese non fanno parte del famigerato Gruppo Vympel, la squadra di elite delle missioni antiterrorismo, come parrebbe leggendo i resoconti più allarmistici. Sono virologi. Scienziati. Tecnici di laboratorio. Sono addestrati alla guerra contro l’antrace. Contro l’ebola. Contro la peste suina. Parlarne semplicemente come di soldati è corretto, ma quantomeno generico. Sul campo si muoveranno in equipe composte da un medico, un infermiere, un anestesista e un epidemiologo. La maggior parte presterà servizio in un ospedale da campo allestito a Bergamo, nella zona della Fiera, dall’Associazione nazionale alpini. Altri saranno assegnati alle case di riposo.

Lavoreranno sempre in stretto contatto con le nostre autorità militari. L’Italia ha usato molte volte la stessa procedura nelle sue missioni umanitarie. Ad Haiti nel 2010 mandammo duecento tonnellate di aiuti del World Food Program e della Croce Rossa con una nave da guerra, la portaerei Cavour, che aveva a bordo novecento militari. Difficile pensare a interventi alternativi in un paese colpito da un terremoto ed esposto a una tremenda crisi sanitaria. Ma contro il coronavirus anche la Spagna ha domandato in settimana soccorso a un’organizzazione militare, ovvero alla NATO, il cui compito, ha detto anni fa un ex segretario di stato americano, Condoleeza Rice, non è certo “accompagnare i bambini all’asilo”. Né, tantomeno, fare in modo che gli ospedali vadano avanti.

Di qui la seconda critica, che è per così dire metafisica: questi soldati sono russi. È così, e bisogna farci i conti. La loro presenza in Italia è un evento di portata storica, uno dei tanti che si stanno succedendo in questi tempi confusi, e per alcuni come detto rappresenta una minaccia al nostro sistema di alleanza e anche alla stabilità delle nostre istituzioni.

Senza dubbio alcuno il Cremlino scorge nella crisi una serie di possibilità. Prima di tutto nella politica interna. Il messaggio che il governo russo sta trasmettendo ai suoi cittadini è chiaro: abbiamo la forza necessaria per inviare aiuti all’estero; supereremo l’epidemia; a patto che la società resti sotto il nostro controllo; l’alternativa è una crisi peggiore di quella che sta colpendo l’Europa. Il sostegno garantito all’Italia permette, poi, alla Russia di stringere i legami, molto lenti negli ultimi tempi, con un paese che si è allineato quand’è stato necessario farlo alla scelta atlantica delle sanzioni, denunciando, però, in più di un’occasione i limiti della strategia. L’eventuale successo del  piano, i cui obiettivi sono peraltro assai limitati, non dipenderà dalla mole di aiuti che la Russia riuscirà a inviare al nostro paese. Dipenderà, com’è naturale che sia, dalle nostre decisioni. E forse anche dagli sforzi dei nostri veri alleati.

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