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Quindi, chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica?

Mario Draghi? Silvio Berlusconi? Giuliano Amato? Pierferdinando Casini? Ecco quali sono i nomi più quotati per il successore di Sergio Mattarella al Quirinale

Quindi, chi sarà il prossimo Presidente della Repubblica?

Alessandro Di Meo/AM POOL/Getty Images

All’inizio del 2022, il Parlamento in seduta comune e i delegati regionali saranno chiamati a eleggere il 13esimo Presidente della Repubblica. La fine del settennato di Sergio Mattarella coincide con un periodo delicatissimo per le sorti dell’Italia: entro la fine del 2022 sarà necessario allocare una fetta importante – più di 50 miliardi – delle risorse messe a disposizione dal piano Next Generation Eu e provare ad approvare una legge elettorale coerente con la nuova composizione di Camera e Senato disposta dal referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. In questo contesto, una figura di garanzia come quella del Capo dello Stato giocherà inevitabilmente un ruolo cruciale, dato che dovrà assumersi il compito di mantenere in vita una maggioranza che possa garantire la fine della legislatura – il cui termine naturale è previsto per il marzo del 2023.

Individuare in anticipo l’identità del nuovo Presidente della Repubblica non è un compito semplice, anche a causa dei meccanismi stringenti che la Costituzione prevede per la sua nomina, che incentivano la ricerca di un largo compromesso tra le forze parlamentari. Per eleggere il presidente della Repubblica si vota infatti a scrutinio segreto: nelle prime tre votazioni è necessario raggiungere una maggioranza qualificata dei due terzi del Parlamento in seduta comune – cioè 703 elettori su 1008 – mentre a partire dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta, ossia 503 elettori su 1008. Allo stato attuale, i delegati di centrodestra e quelli di centrosinistra e M5S non sembrano in grado di mobilitare un numero di parlamentari sufficiente a garantire il superamento di queste soglie – i primi si fermano a 441 elettori, i secondi a 467. La partita del Quirinale si giocherà, quindi, sulle preferenze dei restanti 98 parlamentari non ascrivibili a questi due gruppi.

Va da sé che le figure capaci di convogliare un consenso così esteso sono pochissime: la via più “semplice” sarebbe quella di raggiungere un’intesa per il prolungamento dell’esperienza di Sergio Mattarella al Colle, blindando così l’attuale maggioranza parlamentare. Tuttavia, questa ipotesi è stata smentita dall’interessato: infatti, anche se la Costituzione non vieta esplicitamente la rielezione del Capo dello Stato – come dimostrato dall’illustre precedente di Giorgio Napolitano nel 2013 – Mattarella ha ribadito a più riprese la sua indisponibilità per un secondo mandato. L’ultima la cosa settimana, quando ha ricordato che “anche Giovanni Leone, come Antonio Segni, era contrario alla immediata rielezione del presidente della Repubblica e, parallelamente, all’istituto del semestre bianco”.  Inoltre Matterella ha da poco preso in affitto un appartamento a Roma, un gesto da comune cittadino che sembra confermare la sua volontà di lasciare il palazzo del Quirinale.

Tramontata l’ipotesi di un secondo mandato di Mattarella, l’elefante nella stanza si chiama Mario Draghi. Sin dalla sua nomina a premier Draghi è in cima alla lista dei papabili per il Quirinale: figura di stabilità per antonomasia, piace all’Europa, infonde fiducia nei mercati e rassicura come nessun altro gli investitori. Ma anche la sua nomina è ostacolata da alcune criticità, in primis una di ordine pratico: a partire dalle prossime elezioni, il Parlamento avrà un terzo dei seggi in meno, e di conseguenza i parlamentari che con ogni probabilità non saranno rieletti hanno tutto l’interesse a proteggere l’attuale maggioranza con Draghi come premier.

L’altro nome di cui si discute di più è quello di Silvio Berlusconi – che secondo due esponenti di peso di Forza Italia come Marcello Dell’Utri e Gianfranco Miccichè avrebbe già ottenuto i voti di Italia Viva, anche se Renzi ha negato questo retroscena. L’ipotesi di Berlusconi al Quirinale però cozza con diversi elementi, a partire dall’inevitabile contraccolpo di opinione pubblica che una nomina di questo calibro genererebbe: la travagliata storia politica e giudiziaria di Berlusconi lo rende, giocoforza, un profilo totalmente inadeguato alla carica, tradizionalmente riservata a profili più istituzionali e affidabili. Inoltre, secondo alcune voci, Berlusconi starebbe puntando il Quirinale per esigenze del tutto personali: una sua salita al colle cancellerebbe definitivamente i suoi strascichi giudiziari, permettendogli di evitare di presenziare alle udienze e ai processi a suo carico. Anche le precarie condizioni di salute del Cavaliere e la sua età parecchio avanzata (85 anni) rendono la sua nomina poco credibile.

L’età sembra squalificare anche un altro dei nomi più caldeggiati nelle ultime settimane, ossia quello di Giuliano Amato, che punta al Quirinale da decenni e che questa volta potrebbe avere qualche possibilità concreta. Secondo Repubblica l’ipotesi Amato sarebbe quella maggiormente gradita a Mario Draghi, che per dare continuità al proprio programma necessita di un interlocutore istituzionale con cui instaurare una relazione simile a quella avuta con Mattarella. E da questo punto di vista Amato potrebbe rappresentare il profilo giusto: europeista di lunga data con solide relazioni internazionali e una lunga esperienza da giudice costituzionale. Il problema è appunto l’età: Amato ha 83 anni e ben poche possibilità di garantire un settennato di piena efficienza.

Infine un nome che è impossibile non citare: quello di Pierferdinando Casini, equilibrista per eccellenza della politica italiana. Siede in Parlamento dal 1983 e la sua nomina al Quirinale rappresenterebbe il coronamento di una vita interamente votata al trasformismo e alla sopravvivenza politica. Di sicuro Casini sta sondando il terreno: lo scorso 11 settembre, con il pretesto di ricordare gli attentati del 2001, ha organizzato una tavola rotonda con i leader dei vari partiti che secondo alcune voci sarebbe servita a capire se il suo nome potrebbe avere i numeri per l’elezione alla Presidenza della Repubblica. Dalla sua Casini ha la giovane età (65 anni), la lunga esperienza in politica e il suo centrismo che lo rende una figura non divisiva e adatta a fungere da nome di compromesso. Come ha scritto Giorgio Meletti su Domani, Casini “porta in sé quel carattere originario che innerva la storia patria da prima che esistesse la DC, il cromosoma cattolico per cui ogni peccato si perdona, nessun guaio è irrimediabile e cambiare è sempre un rischio”.