Questa campagna elettorale assomiglia sempre di più a un romanzo di Margaret Atwood | Rolling Stone Italia
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Questa campagna elettorale assomiglia sempre di più a un romanzo di Margaret Atwood

Dalla pensione anticipata per le "donne con figli" a Giorgia Meloni che vorrebbe garantire il «diritto a non abortire», i programmi della maggior parte dei partiti (non solo quelli di destra) suggeriscono una visione di donna strettamente legata ai concetti di moglie e madre. Non è 'Il racconto dell'ancella', ma l'Italia del 2022

Questa campagna elettorale assomiglia sempre di più a un romanzo di Margaret Atwood

Foto di Simona Granati - Corbis/Corbis via Getty Images

Pinkwashing“: difficile trovare una definizione ufficiale e univoca che descriva questo atteggiamento su un dizionario o su un’enciclopedia. Per questo proveremo a formularla rispetto al contesto che si vuole affrontare. Il suffisso “washing“, negli ultimi anni, viene utilizzato per indicare comportamenti ambigui che sembrano mirare a creare benefici in una determinata area o per un determinato gruppo di persone.

Nel caso del pinkwashing, vengono promossi comportamenti o azioni apparentemente a favore del genere femminile, evidenziandone fortemente gli aspetti positivi. Non è necessario andare molto lontano per trovare esempi chiari e lampanti di questo atteggiamento: basta osservare l’atteggiamento della politica italiana in questa campagna elettorale.

In vista delle elezioni che si terranno il 25 settembre per eleggere il nuovo Parlamento, ogni partito ha proposto nel suo programma delle riforme ad hoc che favoriscano le donne e la parità di genere. O almeno è ciò che hanno pensato di fare e che si premurano di comunicare agli elettori. Prima tra tutti la destra italiana e, in particolare, la candidata di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che le stanno provando proprio tutte per far avverare il sogno del primo premier donna.

Nonostante il voto sull’introduzione di un linguaggio istituzionale inclusivo fosse segreto, lo scorso luglio questa fazione si era già schierata contro l’emendamento proposto dalla senatrice Maiorino. Negare anche solo la possibilità di ritrovarsi nella rappresentazione linguistica, infatti, è simbolo della volontà di mantenimento di una società legata fortemente alla cultura del potere maschile e patriarcale. Ma in campagna elettorale (purtroppo) si può trovare molto di più.

Sembra plausibile dunque chiedersi: davvero il genere del Presidente del Consiglio può condizionare la parità in un Paese lontano anni luce da questa? E può un individuo di genere femminile al potere essere, in qualche modo, garanzia della concezione di proposte ideate appositamente per raggiungere la parità? La risposta è ovviamente no ed è essenziale spiegare il perché i diversi partiti si stanno avvalendo di un’azione di pinkwashing e di come scovare le falle.

Partiamo dal programma del Movimento Cinque Stelle, citando sinteticamente alcune delle misure proposte: si passa dall’allineamento dei livelli di salario di uomini e donne agli sgravi contributivi per l’assunzione delle donne e agli incentivi ad equiparare il congedo di maternità e quello di paternità. Lo stesso partito, però, ha rilanciato l’idea di garantire una pensione anticipata per le donne grazie a un bonus maturato per ogni figlio avuto. E così, ancora una volta, in un sistema socio-culturale a base patriarcale, il valore di un individuo di genere femminile finisce per il coincidere, in primis, con il suo essere madre, ponendo le basi per un’ulteriore discriminazione nei confronti di chi non vuole o non può concepire dei figli.

Dall’altro lato abbiamo la destra che di base si fonda su un’idea del ruolo della donna prettamente legato al concetto tradizionale di famiglia. Dalla Lega sembrano arrivare input interessanti come il supporto a chi sceglie di dedicarsi alle materie STEM, ma nessuna sezione specifica dedicata direttamente alle donne. Spicca poi la tutela del lavoro delle giovani madri, presente anche nel programma di Forza Italia, peccato però che il Rapporto Annuale 2022 stilato dall’ISTAT evidenzi per il 47,2% una diseguaglianza di genere nei dati dell’occupazione per la fascia d’età tra i 15 e i 34 anni dimostrando che, in generale, gran parte delle giovani donne non viene tutelata.

Anche in questo caso, dunque, entrambe le fazioni rendono disponibile un aiuto per l’occupazione solo nel momento in cui la donna diviene madre e non in quanto donna e, come si evince dai dati, sfavorita in partenza a causa del suo genere. Per Fratelli d’Italia tra le priorità, oltre alle misure già citate per altre fazioni, vi è una campagna di approfondimento sulla tematica della fertilità insieme a incentivi economici per le donne che conducono una gravidanza e si trovano in una situazione finanziaria precaria. Un po’ come il reddito di cittadinanza o il gettone di presenza, ma quali mamme potranno effettivamente essere aiutate? È noto infatti quanto concetti come la maternità surrogata (e anche l’aborto) siano estranei al pensiero della stessa Meloni. Il suo pensiero di maternità, e dunque di famiglia, è strettamente legato a quello più ampio di società che, più che favorire le donne, le riporta indietro anni luce sul piano dei diritti. Nel programma infatti si legge Sostegno alla famiglia e alla natalità: nessuna sezione dedicata a un piano ideato ad hoc per le donne che, magari, non hanno l’aspirazione di diventare madri, manco fossimo in un capitolo de Il racconto dell’Ancella.

Sempre più gli interventi di FdI sembrano troppo vicini alla distopica realtà ideata da Margaret Atwood, nella quale la donna può ricoprire tre ruoli: quello di moglie, di Marta, dedicandosi alla cura della casa, o di ancella, obbligata a procreare. A questo punto fa rabbrividire la dichiarazione della candidata a premier: «daremo alle donne il diritto a non abortire», in un momento in cui l’Italia si divide tra medici obiettori e donne costrette ad abortire in città o regioni diverse da quella di residenza. Tra gli ultimi interventi di Giorgia Meloni, inoltre, non può non essere menzionato il suo manifesto del “femminismo del merito” che condanna le quote di genere, che rappresentano degli strumenti importantissimi per raggiungere la parità in una società fondata sulla disuguaglianza legata al sesso degli individui.

Sul fronte Sinistra e Terzo Polo, sebbene l’espressione parità di genere venga utilizzata per garantire uguaglianza salariale, congedi di maternità e paternità, contrasto alla violenza, le azioni vengono disattese nei comportamenti degli stessi membri dei partiti. Per quanto riguarda il PD lo stesso consigliere della regione Puglia, Fabiano Amati, aveva denunciato la violazione degli statuti nazionali nella formazione delle liste di partito. Rifacendosi alle parole di Letta sulla necessità di parità e di un partito femminista, il consigliere segnalava la totalità dei capilista uomini insieme alla violazione del criterio della contendibilità.

Il Terzo Polo, invece, ci aveva già deliziato con un video tutorial per utilizzare la lavatrice girato dalla moglie di Calenda per lo stesso candidato, che sottolineava un neanche troppo velato sessismo legato alla solita associazione del lavoro domestico con la figura della donna. Negli ultimi giorni proprio il presidente del partito Azione, Matteo Richetti, è stato coinvolto in un’inchiesta di Fanpage per l’accusa di molestie che ha fatto scattare subito la giustificazione e la difesa dell’onorabilità da parte di Calenda. Per quanto ancora non ci è dato sapere quale sia la verità sulla questione, la missione della lotta alla violenza di genere tanto ripresa dal partito non può combaciare con il solito atteggiamento dubitante da parte del pubblico giudicante nei confronti della vittima.

Altri partiti rimangono sul generico per non creare dissapori promuovendo azioni concrete sul piano della violenza di genere e sulle rimozioni a livello professionale di ogni limite che possa riguardare l’occupazione femminile. Non ci resta che sperare che queste elezioni siano il pretesto per l’evoluzione di un dibattito sul piano della parità e dei diritti delle donne. Perché nel 2022 è inaccettabile che in un Paese le power position siano occupate principalmente da uomini, che il genere maschile nel linguaggio sia quello prediletto, che i femminicidi giornalmente siano causati da una mancanza di protezione da parte dello Stato. E ancora che esista il gender pay gap e che le donne debbano automaticamente occuparsi del lavoro domestico e, infine, che il valore di una donna debba essere strettamente legato ai concetti di moglie e madre.