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Quanto possiamo sopravvivere al cambiamento climatico?

L’uomo non ha mai vissuto su un pianeta così caldo ed è totalmente impreparato a ciò che deve ancora venire. Ma quanto può durare ancora?

Illustrazione di Sean McCabe per Rolling Stone USA

In una giornata torrida nel centro di Phoenix, quando le temperature aumentano fino a 46° o più, il caldo diventa una forza letale. Il calore del sole ti assale, costringendoti a cercare riparo. L’aria è pesante, una coltre nebbiosa di calore impregnata di ozono. Lo senti irradiarsi dal terreno del parcheggio fin dentro le tue scarpe. Le fermate del bus di metallo diventano forni a convenzione. All’aeroporto internazionale di Sky Harbour i voli possono subire ritardi perché gli aerei non riescono a decollare nell’aria così calda. Al municipio, dove all’entrata del palazzo è esposto un gigantesco simbolo metallico del sole, i lavoratori preferiscono pranzare nell’atrio, piuttosto che camminare fino ai ristoranti vicini. In periferia i cavi elettrici si allentano e vibrano, sovraccaricati di elettroni a causa dell’aumento di richiesta di energia per l’aria condizionata, e l’intera rete è spinta al limite. In Arizona, durante un’ondata di calore, l’elettricità non è uno sfizio, ma uno strumento per la sopravvivenza.

Quando il termometro si alza, le persone muoiono. I senzatetto periscono sui marciapiedi roventi. Gli anziani, i cui corpi non sono in grado di sopportare lo stress metabolico del caldo estremo, vengono colpiti da infarti e ictus. Gli escursionisti collassano per la disidratazione. Le ondate di calore stanno diventando più lunghe, calde e frequenti. A partire dagli anni Sessanta il numero medio di ondate annuali è aumentato in 50 grandi città americane. Stanno diventando anche più letali. Lo scorso anno ci sono state 181 morti legate al caldo nella contea di Maricopa, in Arizona, quasi 3 volte di più rispetto a 4 anni prima. Secondo i Centers for Disease Control and Prevention, tra il 2004 e il 2007 circa un quarto di tutti i decessi relativi al meteo sono stati causati dal caldo estremo, molti di più di quelli provocati da uragani e tornado.

Eppure solo ora si iniziano a comprendere i molteplici rischi dovuti dal caldo estremo, anche in posti come Phoenix, una delle più calde delle grandi città americane. Secondo Mikhail Chester, il direttore del Metis Center for Infrastructure and Sustainable Engineering alla Arizona State University, il rischio di una catastrofe dovuta al caldo cresce ogni anno. “Come sarebbe l’uragano Katrina formato dal caldo estremo?”, si chiede ad alta voce mentre siamo seduti in un caffè vicino al campus dell’università. L’uragano, che ha colpito New Orleans nel 2005 provocando quasi 2000 morti e 100 miliardi di dollari di danni, ha dimostrato quanto una città possa essere impreparata per gli eventi climatici estremi.

“L’uragano Katrina ha causato un fallimento a catena delle infrastrutture urbane a New Orleans che nessuno aveva previsto”, spiega Chester. “Si sono rotti gli argini, le persone erano abbandonate e le operazioni di soccorso sono fallite. Il caldo estremo potrebbe portare Phoenix nella stessa condizione, mettendoci tutti a rischio, viste la vulnerabilità e le debolezze nelle infrastrutture della regione, con conseguenze che sono difficili da prevedere”.

Per Chester la catastrofe del caldo della città inizierebbe con un blackout. Potrebbe essere provocato in moltissimi modi. Nei periodi di caldo estremo la richiesta di energia si impenna, sforzando la rete. È inevitabile che qualcosa non funzioni. Un incendio colpisce la linea elettrica. Esplode una sottostazione. Un hacker potrebbe bloccare la rete. Nel 2011 vicino a Yuma un operaio che stava facendo manutenzione ha messo fuori uso una linea elettrica da 500 kilovolt staccando la corrente a milioni di persone per 12 ore, inclusi tutti gli abitanti di San Diego, e provocando perdite economiche da 100 milioni di dollari. Chester ritiene che un blackout totale a Phoenix potrebbe facilmente costare molto di più.

Phoenix, Arizona. Un pedone si protegge dal sole con un ombrello. Foto: Ralph Freso / Getty Images

Ma non si tratta solo di soldi. Quando una città è al buio, l’ordine e le comodità della vita moderna iniziano a mancare. Senza aria condizionata, la temperatura nelle case e negli uffici si alza (paradossalmente, i nuovi edifici a efficienza energetica sono sigillati ermeticamente, rendendoli pericolose trappole di calore). I semafori si spengono. Le strade si paralizzano, con le persone che scappano dalla città. Senza corrente, i distributori di benzina non funzionano, lasciando i veicoli bloccati con i serbatoi vuoti. I tubi dell’acqua si spezzano dal caldo e le pompe non funzionano, inducendo le persone a cercare acqua fresca. Gli ospedali si riempiono di pazienti che soffrono di colpi di calore e infarti. Se ci sono degli incendi, l’aria diventa caliginosa e difficile da respirare. Se durante un’ondata di calore un blackout dura per molto tempo, potrebbero iniziare disordini, saccheggi e incendi dolosi. E le persone iniziano a morire. Ma quante? “Numeri simili a quelli di Katrina, il che vorrebbe dire migliaia”, prevede Chester.

Parla di tutto ciò in modo freddo, come se l’apocalisse causato dal caldo di Phoenix fosse un dato di fatto, non un’ipotesi. Chiedo quante probabilità ci siano che questo possa avvenire. Chester risponde che “bisogna piuttosto chiedersi quando succederà, non se”. Il caldo estremo è la conseguenza più diretta, tangibile e letale del nostro consumo imperterrito di combustibili fossili. L’aumento dei livelli di anidride carbonica nell’atmosfera blocca il calore e questo sta modificando il nostro sistema climatico. “Pensa alla temperatura della Terra come a una curva a campana”, dice Michael Mann, climatologo della Penn State University. “Il cambiamento climatico sta spostando la curva verso la parte più calda della scala della temperatura, rendendo gli eventi di caldo estremo più verificabili”.

L’aumento della temperatura fa sì che le calotte di ghiaccio si sciolgano, innalzando i livelli del mare, rendendo gli uragani più intensi e modificando l’andamento delle precipitazioni (come dimostra la recente alluvione nel Midwest). La siccità e le inondazioni comportano un tremendo danno economico e creano caos politico, ma è molto più probabile che il caldo estremo uccida in maniera diretta. L’Organizzazione mondiale della sanità prevede che tra il 2030 e il 2050 lo stress termico causerà 38mila morti in più all’anno in tutto il mondo. Una recente ricerca pubblicata su Nature Climate Change ha rilevato che, se le emissioni continueranno a crescere, entro il 2100 il 74% della popolazione mondiale sarà esposta a ondate di calore talmente forti da uccidere. “Maggiore è il riscaldamento, maggiori sono le ondate di calore”, dichiara Michael Wehner, studioso al Lawrence Berkeley National Laboratory. “E maggiori sono le ondate di calore, maggiori sono le persone che muoiono. È un’equazione abbastanza semplice”.

Le ondate di calore non sono indotte solo dall’innalzamento della temperatura, ma anche dal cambiamento delle dinamiche del sistema climatico terrestre. Siccome l’atmosfera si scalda, la differenza di temperatura tra i poli e le aree subtropicali diminuisce e questo sta modificando il percorso delle correnti a getto, il grande flusso d’aria a più di 10mila metri dalla terra che agisce sul nostro sistema metereologico. Il percorso delle correnti a getto è determinato da onde atmosferiche chiamate onde di Rossby, che sono create in modo naturale dalla rotazione terrestre. Mann spiega che, siccome il gradiente di temperatura della Terra si assottiglia, le onde di Rossby tendono a piegarsi, creando delle correnti a getto sinuose, che hanno più probabilità di rimanere bloccate, intrappolando e immobilizzando il sistema meteorologico e dando vita a quelle che Mann chiama “gigantesche cupole di calore”.

Il caldo estremo sta già trasformando il nostro mondo in modi più e meno evidenti. I dirigenti della Disney hanno recentemente espresso preoccupazione riguardo l’innalzamento della temperatura, che ridurrà significativamente il numero di visite nei loro parchi. In Germania le autorità sono state costrette a mettere un limite di velocità in autostrada per il timore che la strada cedesse per il calore. L’esercito degli Stati Uniti ha speso un miliardo di dollari nell’ultimo decennio per lavoro perso, corsi di aggiornamento e assistenza sanitaria a causa degli impatti del calore sulla salute. Il riscaldamento del pianeta “inciderà sulla capacità del Dipartimento della Difesa di proteggere il Paese ed espone la sicurezza nazionale degli Stati Uniti a rischi immediati”, afferma un recente studio del Dipartimento. Le foreste e la terra si stanno seccando, contribuendo a incendi pericolosi e senza precedenti. Le zone abitabili per le piante e gli animali stanno cambiando, costringendoli così ad adattarsi a un ambiente più caldo oppure a morire. Un report dell’ONU rivela che nei prossimi decenni un milione di specie saranno a rischio estinzione. Un altro studio condotto dal Massachusetts Institute of Technology suggerisce che entro la fine del secolo l’innalzamento della temperatura e l’umidità renderanno gran parte dell’Asia meridionale, incluse alcune zone dell’India e del Pakistan, troppo calda per l’esistenza umana. Come ha detto Peter Gleick, co-fondatore del Pacific Institute della California “sta per verificarsi un cambiamento importante, scioccante e non segnalato nell’abitabilità di molte parti del pianeta, tra cui gli Stati Uniti”.

Dai tempi della Rivoluzione Industriale la temperatura della Terra è cresciuta di un grado. L’impiego di combustibili fossili accelera il riscaldamento. La temperatura media della superficie del pianeta nel 2018 è stata la quarta più alta dal 1880, anno in cui sono iniziate le registrazioni. Gavin Schmidt, climatologo della NASA, ha dichiarato che c’è il 90% di probabilità che il 2019 risulterà essere ancora più caldo. 9 dei 10 anni più caldi registrati si sono verificati a partire dal 2005. Il giugno scorso è stato il giugno più caldo mai segnalato. Sorprendentemente, luglio è stato il mese più caldo della storia umana.

Un grafico della NASA mostra l’aumento delle temperature del pianeta

Ma il riscaldamento non avviene alla stessa velocità in ogni luogo. Le zone artiche, per esempio, si stanno scaldando due volte più velocemente del resto del mondo. Perché? È una tipica controreazione climatica: la neve e il ghiaccio sono molto riflettenti e rimbalzano la luce solare nello spazio. La regione si scalda, il mare e i ghiacci continentali diminuiscono, esponendo maggiormente terre e oceani, che sono più scuri e assorbono più calore. Siccome la temperatura cresce il permafrost si scioglie rilasciando metano, un potente gas serra che accelera maggiormente lo scioglimento. La Groenlandia si trova nel mezzo di uno dei maggiori periodi di scioglimento mai registrati, con una temperatura di 4 gradi più alta del normale. Se le regioni artiche si riscaldano e si seccano, bruciano. Quest’anno si sono verificati incendi senza precedenti, con più di 100 roghi enormi divampati nella regione artica da giugno. La torba che brucia ha già emesso più di 100 milioni di tonnellate di gas serra (quasi quanto l’emissione annuale di carbonio del Belgio), accelerando ancora di più il ciclo di controreazione climatica che sta scaldando il pianeta.

Ma i rischi più grandi per la salute umana si potrebbero verificare nelle aree che sono già calde, dove l’aumento della temperatura metterà a dura prova l’abitabilità. Negli Stati Uniti le città che si scaldano più velocemente sono quelle del Sud-Ovest. El Paso, Las Vegas, Tucson e Phoenix sono le città che si sono scaldate di più, ognuna di almeno di 6 gradi dal 1970. A livello globale la maggior parte delle città più calde si trova in India. A maggio un’ondata di calore letale ha portato le temperature fino a 48° nel Nord del Paese. La città desertica di Churu ha registrato un picco di 50°, battendo quasi il record di 51° stabilito nel 2016. C’era l’avviso di non uscire dopo le 11. Le autorità riversavano acqua nelle strade per far sì che non si sciogliessero. Un uomo di 33 anni è stato picchiato fino alla morte in uno scontro per dell’acqua. In India un primo bilancio dei morti per l’ondata di calore di questa estate conta già più di 200 vittime, e probabilmente il numero crescerà ancora.

Quanto caldo farà? Dipende in larga parte da fino a che punto e quanto velocemente si alzano i livelli di anidride carbonica, il che è determinato da quanti combustibili fossili si continuano a bruciare. L’Accordo di Parigi sul clima (dal quale il presidente Trump ha escluso gli Stati Uniti) si propone di limitare il riscaldamento a 2°. Visto l’attuale andamento dell’inquinamento da anidride carbonica, raggiungere l’obiettivo è praticamente impossibile. Se le nazioni di tutto il mondo non prenderanno presto dei provvedimenti drastici, siamo destinati a una riscaldamento di almeno 3° entro la fine del secolo, rendendo la Terra calda quasi come 3 milioni di anni fa, durante il Pliocene, molto prima dell’esistenza dell’Homo Sapiens.

“Gli esseri umani non hanno mai vissuto su un pianeta tanto caldo come oggi”, dice Wehner. Un pianeta di 3° più caldo sarebbe completamente differente da quello che conosciamo oggi, con le città sommerse dall’innalzamento dei mari e siccità disastrose, che trasformano le foreste pluviali in deserti. Il solo aumento di calore ucciderebbe un considerevole numero di persone. Un recente studio della University of Bristol ha stimato che con 3° in più, 3800 persone potrebbero morire ogni anno a New York a causa del caldo, 2500 a Los Angeles e 2300 a Miami. “La relazione tra il caldo e la mortalità è evidente”, mi spiega Enice Lo, climatologa alla University of Bristol e autrice principale della ricerca. “Più il mondo si scalda, più persone muoiono”.

Le proprietà del calore hanno confuso gli scienziati e i filosofi per secoli. Nella mitologia greca era controllato da Anchiale, la dea del calore. Antoine Lavoisier, chimico del diciottesimo secolo, credeva che il calore fosse un fluido invisibile, noto come calorico, e che passasse dai corpi più caldi a quelli più freddi. Gli scienziati hanno dovuto aspettare fino alla metà del diciannovesimo secolo per capire che quando si sente caldo, ciò che si percepisce davvero è l’energia rilasciata dalla vibrazione delle molecole. Più una cosa vibra velocemente, più è alta la temperatura, e più energia rilascia. Il sole è una grande palla di idrogeno, che brucia a circa 5500° e rilascia nello spazio grandi quantità di energia che viaggia sotto forma di onde fino a che non si scontrano con qualcosa, come una roccia, un edificio o un essere umano. In questo modo le vibrazioni all’interno dell’oggetto aumentano. Questi movimenti che accelerano sono ciò che gli umani percepiscono quando si scaldano.

Non sorprende che la termoregolazione sia una delle funzioni più importanti del corpo. Si provi a immaginare il corpo umano come un gigantesco motore multicellulare a calore che si sforza per mantenere una condizione costante interna di 37° circa. Il solo semplice fatto di vivere – mangiare, respirare, muoversi, pensare e fare sesso – genera calore. L’aria esterna di solito è a meno di 37°, per cui il nostro corpo rilascia del calore, soprattutto tramite la circolazione del sangue nei capillari vicino alla superficie della nostra pelle, dove il calore si disperde (ecco perché il nostro corpo è caldo al tatto). Senza un sistema di raffreddamento, il nostro metabolismo di base riscalderebbe il corpo di circa 2 gradi all’ora. Non arriveremmo a fine giornata.

Foto: Matt Mawson/Getty Images

Se l’equilibrio tra la temperatura del corpo e l’ambiente esterno risulta troppo sballato, il corpo impiega velocemente il suo unico sistema di emergenza di rilascio del calore: la sudorazione. Ma per far sì che questa sia efficace, l’acqua deve evaporare. Molta umidità è disagevole (e potenzialmente letale) perché l’aria, in cui è già presente l’acqua, ha una capacità limitata di assorbirne altra, per cui il sudore rimane semplicemente sulla superficie. La perdita di acqua attraverso la sudorazione è di per sé un azzardo per la salute. Una persona comune è costituita da circa di 40 litri di fluidi. In una giornata calda, quando il corpo combatte per evitare il surriscaldamento, una persona può perdere con facilità un litro di sudore all’ora. Quando il corpo è sotto di un litro, le funzioni base sono indebolite. A quota cinque giungono affaticamento e vertigini. La mancanza di 10 litri disturba l’udito e la vista e causa probabilmente un collasso, una condizione conosciuta come stress termico.

Ma se è abbastanza caldo e umido, anche bere un sacco di acqua non è d’aiuto. Quando la temperatura del corpo si alza, questo prova a raffreddarsi pompando sempre più sangue ai capillari sotto la pelle. Il cuore pompa più veloce, il petto batte all’impazzata e le pulsazioni corrono. Quando il corpo perde acqua, il nostro sangue diventa più spesso e difficile da trasportare. Quando la temperatura del corpo tocca più o meno i 39°, il metabolismo lavora con tutte le forze in un tentativo di emergenza per scaricare il calore. Infine, la maggior parte degli organi vitali non ce la fa più e il sistema neurologico del corpo inizia a collassare. A 40,5° il corpo è in serio pericolo. Il cervello si gonfia e spesso causa allucinazioni e convulsioni. Le pupille si dilatano e si immobilizzano. La sudorazione si ferma e la pelle è calda e secca al tatto. A quel punto, se la temperatura del corpo non viene abbassata immediatamente attraverso delle procedure di raffreddamento di emergenza, come impacchi con il ghiaccio o immersioni nell’acqua fredda, la persona può morire di infarto.

Gli impatti psicologici del caldo estremo sono evidenti a qualsiasi persona che si sia sentita irritabile durante una giornata calda. Ma questi vanno oltre l’irascibilità. Quando la temperatura sale, il livello di suicidi aumenta a un passo simile all’impatto delle recessioni economiche. Alcuni aspetti del livello di pensiero più alto sono indeboliti. I voti dei test a scuola scendono e uno studio dimostra la diminuzione di 5 tipi di misura delle funzioni cognitive, tra cui i tempi di reazione e la memoria di lavoro.

Il collegamento tra il caldo e la violenza è particolarmente interessante. “È sempre più evidente come i processi psicologici siano influenzati dal caldo, anche se non sappiamo ancora dire esattamente che cosa sia”, dichiara Solomon Hsiang, professore di scienze politiche a Berkeley. Alcuni scienziati suppongono che le temperature più alte abbiano un impatto sui neurotrasmettitori del cervello, dando luogo a livelli più bassi di serotonina, che, come dimostrato, porta a un comportamento aggressivo. L’aumento della temperatura può quindi alterare seriamente la chimica nel nostro cervello.

Uno studio ha dimostrato che i poliziotti durante le esercitazioni sparavano con più facilità agli estranei, quando faceva caldo. Andrew Shaver, professore di scienze politiche presso l’University of California a Merced, ha analizzato i dati riguardo i conflitti in Afghanistan e Iraq e ha scoperto che gli attacchi da parte dei ribelli che includevano l’uso di lanciarazzi e fucili da assalto aumentavano con le alte temperature, a differenza degli attacchi pianificati. Shaver afferma che “durante i conflitti le alte temperature sembrano provocare aggressioni più avventate”. Articoli calcolano che entro il 2099, a causa dell’aumento della temperatura, negli Stati Uniti ci potrebbero essere 22mila omicidi in più, 180mila stupri, 3 milioni e 500mila aggressioni e 3 milioni e 760mila rapine e furti.

La città di Phoenix non ha un piano regolatore per affrontare il caldo, nessun rifacimento drastico al regolamento edilizio o sulle leggi urbanistiche e nessun re del calore incaricato di immaginare di nuovo la città del ventunesimo secolo. “Ricostruire una città come Phoenix per contenere il calore è un progetto a lungo termine, che è appena iniziato”, racconta David Hondula, uno scienziato esperto di sostenibilità della Arizona State University. “Pensa a posti come il Minnesota e a ciò che hanno fatto per organizzarsi per gli inverni freddi. Ci sono dei tunnel che attraversi durante l’inverno, i sistemi di riscaldamento sono ottimizzati e le macchine hanno pneumatici da neve e trazione integrale. A Phoenix o in qualsiasi altra città non abbiamo niente di tutto ciò, quando si deve pensare al calore”.

Rimodernare Phoenix – il che include controllare l’espansione urbana, rivedere i regolamenti edilizi per migliorare l’efficienza energetica e la ventilazione e creare aree verdi urbane – si può di certo immaginare, “ma se si hanno intenzioni serie, è necessario un grande investimento: servono miliardi di dollari”, dice Hondula. Sarà necessaria anche la direzione degli ufficiali della città e dello Stato. Un recente sondaggio ha rilevato che due terzi dei cittadini dell’Arizona riconosce che il cambiamento climatico sta avendo luogo, ma la maggior parte dei politici eletti nello Stato, tra cui il governatore repubblicano Doug Ducey, non sono coinvolti nella battaglia per il clima. L’Arizona è uno degli Stati più soleggiati della nazione, ma solo il 6,5% dell’elettricità statale deriva dall’energia solare. Una proposta di legge del 2018 per richiedere l’impiego del 50% di energia rinnovabile entro il 2030 è stata sconfitta pesantemente, anche perché l’azienda madre dell’Arizona Public Service, il grande servizio pubblico dello Stato, ha speso più di 37 milioni di dollari in dichiarazioni false e ingannevoli riguardo a come la transizione all’energia rinnovabile avrebbe alzato le bollette e distrutto l’economia dell’Arizona.

Stacey Champion, un vecchio attivista di Phoenix per il clima e le energie rinnovabili, dice che “abbiamo un gran numero di politici eletti che non credono nel cambiamento climatico, punto. Come si possono ottenere politiche efficienti e basate su dati se ci sono persone che si oppongono a ciò perché sono matte da legare o temono che questo spaventi le società che vogliono venire qui, come la Nike?”.

Ma con l’ambiente che continua a scaldarsi, le città ne ricaveranno solo il peggio. Sono tutte costruite di cemento, asfalto e acciaio, materiali che assorbono e intensificano il calore durante il giorno e che lo diffondono durante la notte. I condizionatori soffiano aria calda, aggravando il problema della crescita graduale del riscaldamento urbano. Il centro di Phoenix, per esempio, può essere fino a 6° più caldo delle aree circostanti. Questo fenomeno, che è conosciuto come isola di calore urbana, colpisce gran parte delle città in tutto il mondo. In media durante il giorno le città sono dai 2 ai 5 gradi più calde delle loro periferie verdi e fino a 22 gradi più calde in certe sere. L’effetto è così intenso che alcuni scettici del clima sostengono seriamente che il riscaldamento globale sia solamente un’illusione creata da stazioni metereologiche una volta poste in zone rurali che sono state circondate dall’urbanizzazione.

A differenza di quanto si potrebbe pensare, le maggiori conseguenze sulla salute riguardanti l’aumento del caldo si verificano di notte, quando le persone più vulnerabili, come gli anziani, hanno più bisogno di raffreddarsi. Senza questa opzione, possono morire a causa di colpi di caldo, disidratazione e infarti. Questo sembra essere ciò che è avvenuto in Europa nel 2003, quando sono morte 7mila persone, principalmente in edifici senza aria condizionata. Una ricerca ha dimostrato che la causa di molti decessi non è stata la temperatura di 40° durante il giorno, ma il fatto che questa di notte rimanesse sempre a 20° o più.

Per ridurre gli impatti dall’assorbimento di calore delle aree urbane, alcune città stanno testando i tetti bianchi. L’idea è di cambiare la riflessività dei tetti, per rimbalzare via più luce, di modo che l’edificio assorba meno calore. A New York, per esempio, nel 2012 sono state introdotte delle leggi riguardo i tetti bianchi nel regolamento edilizio. Dei volontari e lavoratori hanno dipinto di bianco quasi un milione di metri quadrati di tetti della città, anche se questo rappresenta meno dell’1% dell’area totale dei tetti della City. Keith Oleson, del National Center for Atmospheric Research di Boulder, in Colorado, ha visto che cosa succederebbe se ogni tetto delle grandi città mondiali fosse dipinto di bianco. Ha stimato che ciò diminuirebbe di un terzo l’effetto di isola di calore urbana e sarebbe sufficiente per ridurre la temperatura massima giornaliera di quasi 1 grado, ancora di più nelle regioni più calde e soleggiate come la penisola arabica e il Brasile.

A Los Angeles stanno sperimentando con i sigillanti di asfalto che rendono le strade leggermente riflettenti. I produttori dichiarano che possono ridurre la temperatura superficiale fino a 30 gradi. Greg Spotts, agente capo per la sostenibilità al Los Angeles Bureau of Street Services, dichiara che i sigillanti per ora hanno funzionato bene, ma il costo – sono quasi 3 volte più cari di quelli classici – e i dubbi circa la loro durata ne hanno limitato l’uso. Spotts stima che dei quasi 37mila chilometri di strade di LA, meno di 16mila sono state ricoperte con il rivestimento riflettente. “Ma sappiamo che funziona perché quando possono i cani camminano soprattutto sulle strade bianche”, dice Spotts.

Un grafico mostra l’impatto delle ondate di calore sugli Stati Uniti

In alcuni posti, come a Stoccarda in Germania, stanno provando a modificare il flusso d’aria dell’intera città. Stoccarda è una città industriale circondata da colline scoscese in fondo a una valle fluviale, dove si fermano il calore e l’aria inquinata. Per favorire il raffreddamento hanno costruito un numero di vaste strade principali, fiancheggiate da alberi che agiscono come corridoi di ventilazione e aiutano l’aria fresca e pulita a soffiare giù dalle colline. Le autorità hanno anche limitato la costruzione di nuovi edifici sui colli cittadini, per fare sì che l’aria continui a muoversi. Molti centri urbani stanno provando a combattere il caldo alla vecchia maniera: piantando alberi da ombra. Dal 2011 a Louisville, in Kentucky, sono stati piantati quasi 100mila alberi. Il sindaco di Parigi Anne Hidalgo ha pianificato di creare foreste urbane nel centro della città.

A maggio ho visitato Singapore, una città tropicale che è molto più sviluppata di Phoenix. È difficile trovare un solo millimetro di Singapore che sia in qualche modo naturale, ma dagli anni Sessanta c’è stato il tentativo condotto dal governo di rendere più verde la città. Le strade sono ricoperte delle foglie di alberi rigogliosi, sono stati estesi i parchi cittadini e sono stati piantati migliaia di alberi da marciapiede. Mentre giravo per il centro mi sembrava di essere in una giungla, con tutte quelle piante e rampicanti che pendevano dalle finestre.

“C’erano molti alberi da ombra grandi e belli a Phoenix, ma poi negli anni Sessanta li hanno tagliati tutti perché erano preoccupati di quanta acqua sarebbe servita”, racconta con gli occhi al cielo Mark Hartman, responsabile della sostenibilità di Phoenix. In realtà gli alberi adeguati alla climatizzazione come la mesquite o il frassino hanno bisogno di acqua in più solo per il primo o il secondo anno da quando sono stati piantati; quando crescono, l’ombra più grande aumenta l’umidità del suolo tramite la riduzione dell’evaporazione. Nel 2010, quando i problemi legati al caldo estremo sono diventati più evidenti, le autorità di Phoenix si sono poste l’obiettivo di raddoppiare la percentuale di superficie della città ricoperta di alberi dal 12 al 25%. Poi, dopo la recessione, sono arrivati gli inevitabili tagli al budget e i licenziamenti. Secondo Hartman “la semina di alberi è stata ridotta per rimanere leggermente sopra alle perdite dovute dai temporali e dalla siccità”. Oggi la superficie ricoperta da alberi di Phoenix rimane pressoché quella di un decennio fa.

Ma se si guarda più attentamente si possono trovare segnali di persone che stanno iniziando a pensare in modo differente riguardo la vita in un mondo che si riscalda velocemente. Si sentirà parlare di progetti per ‘corridoi pedonali all’ombra’. Gli edifici più commerciali ora sono costruiti con i tetti bianchi. In una fermata della metropolitana leggera, si può premere un bottone ed essere bagnati da una pioggerellina di acqua fresca mentre si aspetta il treno. Una delle autorità di Phoenix si è fatta conoscere per passeggiare nel centro della città distribuendo ombrelli nelle giornate calde. La città ha lanciato una decisa campagna sui social media per informare le persone circa i rischi del caldo estremo. Ma ciò che si vede di più a Phoenix sono asfalto e cemento, macchine e centri commerciali e grandi strade trafficate. A tal proposito, è quasi come ogni altra città in America, a parte qualche palma in più (che sono puramente decorative perché non fanno ombra) e una forte dipendenza da aria condizionata. Come spiega Hondula un pomeriggio, mentre attraversiamo l’Encanto Village, un quartiere storico della classe media di Phoenix, “qui il metodo numero uno per adattarsi al caldo è investire soldi nelle bollette”.

Nei laboratori di ricerca del Paese, si possono trovare esperimenti in cui i muri sono progettati per risucchiare il calore dagli edifici e in cui il legno è modificato per essere più forte, freddo e adatto all’isolamento. Ma al momento l’unica tecnologia usata su vasta scala contro il caldo estremo è l’aria condizionata. In America, si trova in quasi il 90% delle case: è necessaria come l’acqua corrente o il bagno. Senza l’aria condizionata, il mondo come lo conosciamo oggi non esisterebbe. Non sarebbe concepibile che una città di 4,5 milioni di persone esistesse nel mezzo del deserto sud-occidentale (molte meno rispetto ai 20 milioni di persone che vivono in Florida) senza aria condizionata. Dopo la seconda guerra mondiale, gli americani si sono riversati dagli Stati freddi del Nord a quelli soleggiati del sud. È stato uno dei grandi cambiamenti demografici del ventesimo secolo e ha rispecchiato esattamente la proliferazione dei condizionatori. “L’aria condizionata è stata fondamentale per lo sviluppo del Sun Belt. È stato senza dubbio il fattore più significativo”, dichiara la storico Gary Mormino.

L’aria condizionata è una di quelle tecnologie moderne paradossali che creano tanti problemi quanti ne risolvono. In primis, necessita di molta energia, molta della quale deriva da combustibili fossili. L’aria condizionata e i ventilatori rappresentano da soli il 10% del consumo mondiale di energia. Su scala mondiale ci si aspetta che il numero di condizionatori quadruplichi entro il 2050. Tenendo anche conto della modesta crescita dell’energia rinnovabile, le emissioni di anidride carbonica derivanti da tutti questi nuovi apparecchi causeranno una crescita di 0,9° della temperatura mondiale entro il 2100.

Per la civiltà moderna i condizionatori economici sono come il crack: creano dipendenza e posticipano la ricerca di soluzioni più creative (e meno dispendiose di combustibili fossili). L’aria condizionata causa anche una sorta di apartheid del calore. Se si è ricchi, si ha una grande casa con abbastanza aria per rinfrescare un martini. Ma se si è poveri, come Leonor Juarez, una madre single di 46 anni – che ho incontrato recentemente in un pomeriggio di luglio, quando la temperatura si aggirava intorno ai 46° –, vivi a South Phoenix, dove i marciapiedi sono sporchi e ci sono pochi alberi, speri solo di poter tirare fuori dal tuo stipendio abbastanza soldi per accendere l’aria condizionata un paio d’ore durante le calde notti estive.

Nei giorni caldi l’appartamento di Juarez sembra una grotta. Ha messo delle spesse tende viola per bloccare il sole. Racconta che “non potrei vivere qui senza aria condizionata”. Siccome ha poco denaro, non è idonea per la consueta bolletta mensile del Salt River Project. Così, per pagare l’elettricità e tenere accesa l’aria condizionata, il SRP le ha dato un lettore di carte, che attacca a una presa da alimentare come un jukebox per tenere accesa la corrente. Juarez accende l’aria condizionata solo un paio di ore al giorno, ma la bolletta della luce durante l’estate arriva a 500 dollari, più di quanto lei paghi per l’affitto. Per Juarez, che prende un bus nel cuore della notte per andare in una lavanderia a gettoni a 8km di distanza, dove il lavaggio è scontato di 50 centesimi dopo l’una, 500 dollari sono un enorme quantità di soldi. Mi mostra il contatore sul lettore di carte: ha 49 dollari di credito, sufficienti per la corrente per ancora un paio di giorni. E quando finisce? “Sono nei pasticci”, risponde senza giri di parole. Juarez, che lavora come badante in una casa per anziani, racconta che sa di molte persone che vivevano da sole e che sono morte quando non hanno più potuto pagare le bollette della luce e hanno provato a vivere senza aria condizionata.

Una di queste si chiamava Stephanie Pullman, una pensionata di 72 anni che viveva da sola con un reddito inferiore a 1000 dollari in un piccola casa a Sun City West, un’area a nord del centro di Phoenix. La scorsa estate non ha pagato in tempo le bollette e aveva un debito di 176,84 dollari. Il 5 settembre ha saldato 125 dollari, lasciandone indietro 51,84. Due giorni dopo, quando la temperatura è arrivata a 41°, il suo fornitore, l’Arizona Public Service (APS), le ha staccato la corrente. Una settimana dopo la figlia della donna, preoccupatasi perché non aveva più notizie della madre che soffriva di problemi cardiaci, ha avvertito i vicini. Un agente del Maricopa County Sheriff è entrato in casa e ha trovato la donna morta nel suo letto. Causa del decesso: esposizione al calore.

Nel 2018 l’APS ha tolto la corrente agli utenti più di 110mila volte. Di queste, 39mila sono avvenute durante il periodo rovente tra maggio e settembre. La morte di Stephanie Pullman ha destato un diffuso interesse nei media e dato vita a proteste di strada contro la politica incoerente dell’APS, costringendo gli enti di controllo dell’Arizona a vietare le interruzioni di corrente durante i giorni torridi estivi. Le interruzioni da parte di APS sono state collegate ad almeno altri due decessi causati dal caldo negli ultimi anni. Queste morti fanno anche sorgere delle domande importanti riguardo il futuro di città come Phoenix. Visto l’aumento della temperatura previsto per gli anni a venire, il vero quesito non è se le città super calde siano sostenibili. Con denaro a sufficienza e la tecnologia si può vivere su Marte. Il problema è: chi lo farà?

Il caldo non è un killer equo. Se si è poveri, malati, anziani o senzatetto, ci sono più probabilità di morire durante un’ondata di calore. I nuovi immigrati, sia clandestini che autorizzati, sono particolarmente a rischio. Uno studio del 2017 pubblicato sull’American Journal of Public Health ha rilevato che tra gli immigrati c’è la probabilità tre volte più alta di morire di malattie legate al caldo in confronto ai cittadini degli Stati Uniti. Più dell’85% dei cittadini non americani che sono morti per cause legate al caldo erano sudamericani. I ricercatori hanno ipotizzato che lavorare all’aperto e nel settore agricolo abbia aumentato la vulnerabilità.

In Arizona, le vittime più evidenti del caldo sono i senzatetto. Un pomeriggio ho girato per Glendale, una piccola città vicino a Phoenix, con Brian Farretta e Rich Heitz della Phoenix Rescue Mission, un gruppo religioso che si occupa di togliere le persone dalla strada. Di recente il gruppo ha lanciato l’iniziativa ‘Code: red’, per distribuire acqua e beni di prima necessità ai bisognosi durante le ondate di calore. “La nostra strategia è semplice”, racconta Heitz, “cerchiamo le persone e diamo loro l’acqua”. Heitz, 48 anni, ha vissuto in Arizona gran parte della sua vita adulta. È un uomo gentile con il pizzetto e un cappellino della Harley Davidson. Prima di unirsi al Phoenix Rescue Mission, per 10 anni ha vissuto per le strade di Phoenix da eroinomane. Dice che “mi ero perso nell’oscurità”. Ha trascorso due anni in prigione per varie accuse, ma adesso è pulito e sta dedicando la sua vita per aiutare gli altri a fare lo stesso.

Phoenix, Arizona, 13 luglio 2019. La crew dei Brown Boyz distribuisce acqua e viveri ai senza tetto colpiti dall’ondata di caldo. Foto: Caitlin O’Hara per Rolling Stone USA

Ci fermiamo al Sands Park, una tipica area verde suburbana con campi da basket e aree da picnic. Heitz e Farretta si dirigono verso un bagno, dove trovano una donna di mezza età seduta all’ombra sul pavimento vicino all’ingresso. Ha la pelle scura e bruciata dal sole, lunghi capelli grigi e un bel sorriso. Indossa dei jeans sporchi e una maglietta. Vicino a lei sembra esserci un libro da colorare per bambini. Sulla copertina c’è scritto con il pastello rosso ‘Sta piovendo amore’. “Come stai Sherry? Come te la cavi al caldo?”, le chiede Heitz. Noto che ha il viso arrossato e che si sono gocce di sudore sotto le sue braccia. “Ok, mi tengo al fresco”. Heitz le offre un paio di bottiglie d’acqua che lei prende e ammucchia vicino a sé.

Mentre torniamo al furgone, Heitz racconta che quest’estate sarà tremenda per lei e tutti gli altri senza tetto della città. “Se sei sveglio, trovi dei modi per sopravvivere e adattarti. Ti fai degli amici con delle case fresche in cui ti puoi intrufolare durante il giorno. Sai quali sono le chiese aperte”. Ma non tutti sono così accorti. Heitz racconta di un uomo trovato sdraiato al caldo sul marciapiede. Aveva il volto rosso, le pupille dilatate e non si muoveva. “Ho chiamato il 911 e l’hanno portato all’ospedale”, dice Heitz. “Stava cuocendo lì per terra”. A Phoenix, la brutalità della vita che si cela dietro l’aura dell’aria condizionata era evidente in ogni parte andassi. Qualche giorno dopo il mio incontro con Heitz, mi fermo con la macchina all’angolo tra la Indian School Road e la Central Avenue per rispondere ad alcune mail. È un posto insignificante, un grande incrocio attraversato da 12 corsie trafficate. C’è qualche palma, un marciapiede di cemento e degli edifici indistinti che sembrano dei microprocessori su una scheda del computer gigantesca. Sento il calore irradiarsi dall’asfalto e il cemento come se fossi di fianco a un altoforno. È il posto più inospitale e disumano in cui fossi mai stato.

Ma non deve essere così. Si può costruire una città a misura d’uomo in modo che non faccia cuocere le persone, che non si possono permettere un latte ghiacciato da Starbucks. Si può alimentare il pianeta senza usare combustibili fossili e fermare la crescita graduale della CO2 nell’atmosfera. Ma finora niente è stato fatto. L’urbanizzazione a Phoenix, come nella maggior parte delle città, continua senza sosta. E se niente cambia, crescerà anche il caldo. Mentre traffico con il telefono, vedo una donna camminare avanti e indietro sul marciapiede davanti a me. È magra come un chiodo. Sulla sua pelle vedo anni sotto il sole. Immagino sia una senzatetto, ma non ne sono sicuro. Si avvicina al finestrino del posto del passeggero della mia macchina. Nei suoi occhi c’è la paura.

Tiro giù il finestrino. “Sto cercando mio padre. Lei lo ha visto?”, dice velocemente. Me lo descrive e dice che si dovrebbero incontrare qui ogni giovedì. Racconta che l’uomo ha 56 anni ed è senza casa e che lei è preoccupata per lui. Le dico che non l’ho visto, che stavo solo passando di lì. Mi dice “voglio trovarlo prima che faccia un caldo maledetto. Devo andarmene da questa città. Sono come un uccello, sai? Io migro. Ma non voglio partire finché non ho trovato mio padre”. È nervosa. Mi chiede ancora se ho visto suo padre, le rispondo di no. Poi si gira e continua a camminare per il marciapiede.

Ho pensato a lei qualche giorno dopo, quando la temperatura a Phoenix ha superato i 37°. Il Maricopa County Department of Public Health ha annunciato il primo decesso legato al caldo del 2019: un senzatetto è stato trovato morto in un veicolo vicino al centro. Non sono stati svelati il nome né altre informazioni. Mi sono chiesto se fosse il padre disperso di quella donna, ma sapevo che era improbabile. Tuttavia, il peggio del caldo di quest’estate non è ancora arrivato e visto che a Phoenix e nelle altre città del mondo la temperatura continua a salire, alimentata dall’appetito insaziabile del mondo civilizzato per i combustibili fossili, arriveranno anche molte altre morti.

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