Perché per Elly Schlein è così difficile cambiare il PD? | Rolling Stone Italia
Chiudi che c’è corrente

Perché per Elly Schlein è così difficile cambiare il PD?

“Cacicchi” e “capibastone”: sono i leader locali che portano voti ma non fanno bene all’immagine del partito. Quelli che la segretaria, appena eletta, aveva detto di voler far fuori. Ma la questione Puglia ora la sta mettendo in crisi

Perché per Elly Schlein è così difficile cambiare il PD?

Elly Schlein

Foto di Roberto Serra - Iguana Press/Getty Images

Da circa una settimana, le parole d’ordine all’interno del PD sono «cacicchi» e «capibastone». È politichese, o meglio linguaggio da giornalismo di politica, e indicano quei politici locali – il riferimento è, grossomodo, ai vecchi capi indiani – che governano il territorio con modi poco trasparenti e rapporti di potere marcati, se non proprio clientelari. Gente, insomma, che porta voti, ma non fa granché bene all’immagine, una volta smascherata. Per il Partito Democratico sono anche un problema interno, perché si parla di un’organizzazione divisa in correnti, e cacicco è pure chi aderisce a una corrente a discapito dell’interesse comune: una guerra civile, insomma.

E chiariamoci: era stata la stessa Elly Schlein a dire di volerli far fuori al momento dell’elezione a segretaria, lo scorso anno, indicandoli come nemici giurati, come una zavorra; il punto è che ora quella realtà le si sta ritorcendo contro nei fatti, tirando fuori le contraddizioni di un partito legato a volti che sembrano inossidabili e a meccaniche lo rendono a tutti gli effetti “il Sistema”, con tutto ciò che di positivo e negativo ne consegue. Mentre il Movimento 5 Stelle – che proprio con Conte ha sollevato la questione dei cacicchi, accusando Schlein di aver tradito le sue intenzioni originali – legittimamente cerca di rosicchiare voti. Così ci si ritrova al punto di partenza: una segretaria del PD che deve tenere conto di interessi diversi, che non ha effettivamente mano libera su tante scelte e che prima che degli avversari deve preoccuparsi dei possibili nemici interni, cercando di trovare accordi che facciano stare sereni tutti.

Alla base c’è l’inchiesta della procura di Bari che in Puglia sta facendo cadere parecchie teste vicine al governatore Michele Emiliano, magistrato e volto storico del PD, sceriffo – cioè uno dai modi, diciamo, anche qui forti – dell’antimafia nella regione, che secondo i Dem avrebbe dovuto garantire la legalità all’interno delle varie giunte a cui negli anni ha fatto capo. Ebbene, così non è stato: per quanto ancora si attende un giudizio, sono in tanti a essere stati ritrovati con contanti e altro, in una sorta di nuova Tangentopoli pugliese che copre dai voti di scambio agli appalti truccati. Di mezzo ci sono pezzi grossi e piccoli sindaci. Problema: che si fa? O meglio: che fa Schlein?

In una nota insolita per i toni, ieri sera ha fatto sapere di essere «irritata». È quanto di meglio passa in convento. Irritata, s’intende, con Emiliano, a cui ha rinfacciato di aver fatto fuori solo dopo giorni i tre politici coinvolti nelle indagini, con un danno d’immagine notevole: anche solo in nome della legalità, andavano messi alla porta subito, sostiene. Ma chi sta con Schlein, cioè la maggioranza che l’ha eletta, quella più giovane e “da movimento” (ma c’è anche uno come Orlando), vorrebbe un repulisti completo, nel segno della lotta ai cacicchi annunciata nel 2023; in sostanza, defenestrare Emiliano e commissariare il partito nella regione. Che poi è la stessa cosa che, per certi versi, ha invocato Conte, dopo averla accusata appunto di essersi tradita, e che per questa ritrosia a fare piazza pulita ha escluso ogni possibile forma di campo largo a Bari, dove si vota a giugno. I 5 Stelle, peraltro già forti al Sud, hanno fiutato l’emorragia di voti e se ne vorrebbe approfittare.

Ma Schlein, appunto, deve fare l’equilibrista: rimuovere Emiliano non è semplice né immediato, significa mettersi contro un’icona del partito democratica, e d’accordo con Francesco Boccia – altro pezzo grosso del PD che però, s’intende, la pensa in maniera diversa dalla maggioranza che sostiene la segretaria – vorrebbe intervenire in maniera meno netta. Seguire, ecco, il diktat del governatore: «Chi sbaglia paga». Fosse così semplice. Il rischio, in questo senso, per lei è di legarsi a una serie di pasticci che nel tempo e la precedono e di molto, non la riguardano; e, soprattutto, di restare dentro una serie di dinamiche vecchie, di non abbattere davvero i cacicchi come aveva promesso. Così da inimicarsi la base del partito che l’ha spinta fino lì, comprensibilmente delusa. Non è tanto questione di numeri: è probabile che ne perderà eccome, nei confronti dei 5 Stelle (Repubblica oggi ipotizza un 2%), ma ci saranno sempre altri capibastone che, con i loro modi, ne porteranno altri, magari più avanti; il punto è che così la rivoluzione che aveva annunciato non partirà neanche, lei ne perderà in credibilità, e il PD rimarrà prigioniero del suo passato. Déjà vu?

Altre notizie su:  elly schlein Partito Democratico pd