Perché Luigi Di Maio sarà uno straordinario ministro degli Esteri | Rolling Stone Italia
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Perché Luigi Di Maio sarà uno straordinario ministro degli Esteri

Nessuno meglio di lui potrebbe trascinarci verso una sacrosanta guerra con la Francia. Le nostre relazioni con il Venezuela di Pinochet miglioreranno, così come quelle con la Cina di Ping

Perché Luigi Di Maio sarà uno straordinario ministro degli Esteri

Luigi Di Maio, foto AGENZIA SINTESI / Alamy / IPA

“Non c’è nulla di sbagliato nel cambiamento, se è nella giusta direzione”. È uno dei mille aforismi, quasi sempre citati a sproposito, di un collega piuttosto famoso di Luigi Di Maio: Winston Churchill. Di certo il nostro nuovo ministro degli Esteri potrebbe fare suo il motto, visto che dopo essere stato uno dei due dominus (quello un po’ meno dominante) del Governo del Cambiamento, ha lanciato il Governo del Cambiamento del Cambiamento. E così eccolo lì, poche ore fa, a prestare giuramento nel Conte Bis, con il nuovo ruolo di titolare della Farnesina, dopo aver raggiunto l’ambizioso obiettivo di abolire la povertà durante i 14 mesi al ministero del Lavoro. Ecco perché siamo certi che mandarlo in giro per il mondo a rappresentarci sia stata la scelta migliore.

E adesso ridacci la nostra Gioconda

Basta con anni di tentennamenti: è il momento di agire dannunzianamente. L’Alsazia e la Lorena, il furto della Gioconda, la pretesa di fare vino migliore del nostro, ora pure l’acquisto di Icardi: le provocazioni francesi devono finire, il momento della guerra è arrivato e Luigi Di Maio è l’uomo giusto per scatenarla. Si era già portato avanti lo scorso febbraio, quando, disperatamente a caccia di amicizie in vista delle Europee, era andato a Montagirs, nei pressi di Parigi, a incontrare Christof Chalencon, tra i leader più fanatici dei “gilet gialli”. Non ci crederete, ma l’Eliseo non apprezzò e aprì la crisi diplomatica tra i due Paesi più grave dai tempi della seconda guerra mondiale, con richiamo per nove giorni dell’ambasciatore francese a Roma. Le schermaglie sono continuate nei mesi successivi, con i botta e risposta tra i due governi sulla gestione della questione migranti ai confini e gli strali sul Franco CFA e sul feroce (a differenza del nostro, delizioso) colonialismo francese. Ora è il momento di muovere le truppe, e di riprenderci tutto quello che è nostro.

Carissimo Pinochet

“Matteo Renzi ha occupato la cosa pubblica come Augusto Pinochet in Venezuela”, scrisse Luigi Di Maio ai tempi del Referendum Costituzionale, quando non aveva ancora quel profilo istituzionale che oggi tutti gli riconoscono. Che poi, essendo il nuovo ministro degli Esteri notoriamente né di destra né di sinistra, non è mai stato chiaro se intendesse con quelle parole muovere una critica oppure fare un complimento all’ex presidente del Consiglio. E quindi, senza farsi ingessare dai pregiudizi della storia, la sua azione risulterà molto utile per provare a cicatrizzare alcune delle principali vene aperte dell’America Latina (cit. Galeano, in caso tu ti stia legittimamente chiedendo “ma come cazzo scrive questo”). Tipo il problema dell’Amazzonia nel Messico del Nord o l’eredità di Noriega in Colombia.

Ti voglio bene Ping

Era il novembre 2018 e il numero due dell’esecutivo gialloverde chiamava simpaticamente “Ping” il presidente cinese Xi Jinping durante una visita a Shanghai. Un ottimo modo di entrare nelle grazie dell’uomo più potente del mondo, che non ha caso ha dimostrato di apprezzare lo sforzo, permettendo all’Italia di entrare nella via della Seta. Un accordo, salutato in maniera trionfale dal governo Lega-5Stelle, grazie a cui le arance siciliane potranno essere esportate per via aerea in Cina. I soliti invidiosi hanno fatto notare che Pechino è il terzo produttore di agrumi al mondo, altri hanno evidenziato come, pur senza proclami, negli stessi giorni Macron ha venduto 300 Airbus alla Cina per 30 miliardi di euro. Ma tanto noi ora invaderemo Parigi, poi passeremo al piano B: un deal con Ping sul riso di Vercelli.

Giulio uno di noi

“Ora che ha il potere e la responsabilità di porre in essere quelle conseguenze minacciate nei confronti del governo egiziano, confidiamo che il ministro vorrà come prima cosa richiamare il nostro ambasciatore e pretendere la verità fino ad oggi nascosta e negata”. Con queste parole Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio, ricercatore italiano ucciso tre anni e mezzo fa in Egitto, hanno salutato la nomina di Di Maio agli Esteri, che sperano possa portare a una svolta nell’inchiesta sulla morte del loro ragazzo. Un anno fa in visita al Cairo, Di Maio ha spiegato che “il presidente Al-Sisi ha detto: Regeni è uno di noi”. Non ha fatto sapere se lo ha anche ringraziato per l’accoglienza riservata al nostro concittadino. Nel dubbio, per non fare sentire più il politico egiziano in difetto nei nostri confronti, che è una brutta sensazione, suggeriamo di prendere un cittadino egiziano che vive a Roma e appenderlo per i piedi a Ponte Milvio per una settimana. Così che si possa finalmente sentire a casa sua (ps, scherziamo ministro, non farlo, per cortesia).

Le mille ebole blu

Quanto i 5 Stelle tengano alla ricerca e all’innovazione in campo medico e scientifico è cosa nota. Tanto che, per dare il nostro contributo alla troppe crisi sanitarie che ancora affliggono il pianeta, suggeriamo a Luigi Di Maio di farsi affiancare nella carica di sottosegretario dall’amico Alessandro Di Battista, che d’altra parte è un grande assaggiatore di spremute d’umanità ai quattro angoli del globo, come dimostrano le photo opportunity sul suo profilo social con i bambini denutriti e le profondità raggiunte dai suoi reportage kapuscinskiani sul Fatto Quotidiano. Grazie alla sua consulenza potremo ritrovare la nostra vocazione avanguardistica a livello internazionale, come cazzari supremi al potere.