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Perché la Cina è ostile verso il kimono?

Qualche settimana fa, una donna è stata presa in custodia dalla polizia cinese per aver indossato un kimono come cosplayer: l’episodio è indicativo di un fenomeno che, nelle ultime settimane, è tornato ad animare gran parte della società cinese, cioè il sentimento anti-giapponese

Perché la Cina è ostile verso il kimono?

Foto di Eric Lafforgue/Art In All Of Us/Corbis via Getty Images

Detenuta dalla polizia per aver indossato un kimono come cosplayer: è successo in Cina, a Suzhou, dove il 10 agosto una giovane donna cinese è stata presa in custodia dalla polizia e interrogata per diverse ore. La vicenda ha avuto luogo a Huaihai street, una zona della città nota per aver replicato l’atmosfera di una città giapponese, dove la donna si trovava per uno shooting fotografico abbigliata come il personaggio principale di un manga: parrucca bionda e un kimono giapponese bianco con motivi floreali.

La vicenda è stata ripresa e nei giorni successivi la donna ha postato il video su Weibo, uno dei social media più popolari in Cina. Nel filmato si vede un poliziotto alzare la voce e portare via la giovane donna con la forza. «Se fossi venuta qui con un hanfu [il vestito tradizionale cinese, ndr], non direi così. Ma stai vestendo un kimono, come cinese. Tu sei cinese! Sei cinese, no?» ha risposto il poliziotto alle richieste di spiegazione da parte della donna. L’hashtag del video ha ottenuto almeno 90 milioni di visualizzazioni prima di essere censurato.

In un altro post online la donna, conosciuta online con il nome di Shìyǐngzi bùshìběnrén, ha detto di essere stata interrogata per cinque ore. Il kimono le è stato confiscato, le foto sono state cancellate dal suo telefono e la polizia le ha chiesto di scrivere un’autocritica. «Mi sento senza potere», ha scritto la donna. «Mi piace la cultura giapponese, la cultura europea e anche la cultura tradizionale cinese. […] È sbagliato che mi piacciano queste cose?».

L’episodio è indicativo di un fenomeno che nelle ultime settimane è tornato ad animare gran parte della società cinese, cioè il sentimento anti-giapponese. Cina e Giappone condividono una storia molto burrascosa, fatta anche di guerre, imperialismo ed eccidi. Durante la Seconda guerra mondiale i soldati giapponesi si sono macchiati di crimini terribili contro la popolazione cinese, a partire dal massacro di Nanchino dove si stima che nel 1937-38 siano state uccisi fino a 300mila civili. Il mese corrente oltretutto è particolarmente sensibile, visto che il 15 agosto ricorre la resa incondizionata dell’esercito giapponese. L’anniversario è spesso fonte di indignazione in Cina dal momento che molti politici giapponesi, anche di livello governativo, sono soliti recarsi in visita al santuario di Yasukuni dove sono onorate le anime di milioni di soldati nipponici. Tra di essi anche una dozzina di criminali di guerra.

L’ostilità verso il Giappone non è un sentimento sviluppatosi recentemente tra la popolazione cinese, ma riemerge periodicamente in particolari frangenti. A inizio agosto, quando la speaker della Camera dei rappresentati statunitensi Nancy Pelosi si è recata in visita a Taiwan, il governo di Tokyo ha espresso la propria preoccupazione che le esercitazioni militari cinesi in risposta alla visita rischiassero di minare la pace e la stabilità della regione. La Cina, che considera Taiwan una provincia ribelle e dunque una questione interna, ha protestato in modo acceso col Giappone che appunto negli ultimi anni ha preso una posizione sempre più chiara contro la stretta di Pechino nei confronti dell’isola.

In questo quadro di crescente tensione nazionalista, c’è stato il caso di Suzhou. A pochi giorni dall’anniversario del 15 agosto, quel kimono giapponese deve essere stato interpretato come una provocazione da parte di un poliziotto eccessivamente zelante. Online molti utenti cinesi sono rimasti stupiti dall’intransigenza. Un commento sarcastico invitava la polizia a chiudere tutti i ristoranti giapponesi presenti nella zona con l’accusa di provocazione. Un altro commento sui social, che ha ricevuto circa 25mila upvote, diceva che «come cinese, non hai ferito i miei sentimenti». Non sono mancate le accusa verso la donna e alcuni le hanno intimato di pensare a quello che i giapponesi hanno fatto passare ai suoi nonni. Eppure anche il celebre commentatore nazionalista Hu Xijin ha espresso la sua opinione sul diritto di vestire il kimono, nonostante abbia consigliato maggior attenzione alle sensibilità altrui.

«Il kimono non dovrebbe essere bandito nella nostra società», ha scritto Hu. Per spiegare l’accaduto, il commentatore cinese ha puntato il dito contro Tokyo. «Il Giappone ha intensificato le proprie politiche anti-cinesi, cooperando con gli Stati Uniti per contenere la Cina, e così facendo ha riattizzato il sentimento anti-giapponese tra la popolazione cinese».

Il clima politico è molto teso e la Cina sta attraversando un momento particolarmente delicato: politica zero covid, rallentamento della crescita economica, avvicinamento al congresso del partito, tensioni internazionali attorno a Taiwan. Insomma, l’atmosfera non è delle più tranquille e in questo contesto riemergono le tendenze anti-giapponesi. Gli abbondanti episodi recenti lo dimostrano, come l’esultanza online di alcuni utenti cinesi dopo l’assassinio di Shinzo Abe. Molte città cinesi, inoltre, hanno deciso di cancellare i popolari festival a tema giapponese che solitamente si tengono sul finire dell’estate e che sono frequentati agli amanti di manga e anime. Anche Miniso, una catena di negozi cinese il cui marchio e design richiamano apertamente lo stile giapponese, si è scusata col pubblico per aver intrapreso una «strada sbagliata» e ha annunciato di voler riformare la propria immagine pubblica. «Riesamineremo diligentemente i nostri contenuti e faremo un buon lavoro per esportare la cultura e i valori cinesi», ha scritto Miniso.

Al di là del momento attuale, le attività commerciali a tema nipponico sono sempre state sensibili agli umori politici cinesi. Un distretto commerciale soprannominato “Piccola Kyoto” è stato aperto l’anno scorso a Dalian ma, nonostante nella città il turismo sia in ripresa, il progetto non è mai davvero decollato e i clienti non sono arrivati nemmeno dopo che l’operatore del complesso ha attenuato le caratteristiche giapponesi dell’attività. Online il distretto commerciale è stato definito come una “invasione culturale”.

Eppure, odio e amore per il Giappone convivono fianco a fianco nella società cinese. Per esempio: oggi Uniqlo, una catena di abbigliamento che da molti anni rappresenta lo stile giapponese nel mondo, è una realtà molto diffusa nelle grandi città cinesi. Tanto che dall’anno scorso la catena ha più negozi in Cina che nel Giappone stesso. Anche solo pochi anni fa, nel 2019, il paese più visitato dai turisti cinesi era il Giappone, dove una delle attività preferite era proprio quella che invece secondo il poliziotto di Suzhou consisteva in una provocazione: vestirsi con un kimono.