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Perché Israele ora ce l’ha anche con il Vaticano?

L’ambasciatore israeliano nella Santa Sede, Raphael Schutz, sembra trattare Bergoglio come un Ghali qualsiasi per aver invocato la pace sulla Palestina. Ecco cosa è successo

Foto: Franco Origlia/Getty Images

Stavolta tocca al Vaticano scornarsi con Israele. Di più: la frase con cui l’ambasciatore israeliano nella Santa Sede, Raphael Schutz, si è fatto sentire con il Papa è quasi sovrapponibile a quella con cui il collega in Italia aveva liquidato le parole di Ghali. Quelle del cantante erano «vergognose»; queste del cardinale Pietro Parolin – che sono la nuova pietra dello scandalo, e sono state, se non imbeccate, certo avallate da Bergoglio – sono «deplorevoli». Insomma, tutti nello stesso cerchio, il Papa come un Ghali qualsiasi, mentre Israele, sul piano internazionale, è sempre più isolato.

Il caso ha cominciato a montare martedì, all’uscita dell’anniversario per i Patti Lateranensi, dove Parolin, che è un cardinale molto influente, si era incontrato con Mattarella. I cronisti gli avevano chiesto della situazione a Gaza, visto che nel frattempo anche il governo italiano, seguendo la linea internazionale, ha iniziato a ripensare la difesa a oltranza di Israele. E lui aveva ribadito una «condanna netta e senza riserve di quanto avvenuto il 7 ottobre, una condanna netta e senza riserve di ogni tipo di antisemitismo», ma anche «una richiesta perché il diritto alla difesa di Israele che è stato invocato per giustificare questa operazione sia proporzionato e certamente con 30 mila morti non lo è». Poi ha citato Sant’Agostino («bisogna avere il coraggio di andare avanti e di non perdere la speranza»), una strategia perfetta per mandare in bestia chi non è d’accordo perché, banalmente, sembra che la soluzione più semplice e giusta sia nella Bibbia. Ma tant’è: il Papa, due settimane fa, alla Stampa aveva invocato «un cessate al fuoco globale», invitando a parlare «di legittima difesa», ergo di risposte proporzionate, e non di guerre, «che non vanno mai giustificare»; niente di nuovo.

La replica di Schutz è stata pesante: prima ha detto che «giudicare la legittimità di una guerra senza tenere conto di tutte le circostanze e dati rilevanti porta inevitabilmente a conclusioni errate», e poi che «la responsabilità della morte e della distruzione a Gaza» è «di Hamas e solo di Hamas». Per Repubblica il Vaticano ne è rimasto sorpreso, perché Parolin avrebbe detto cose di buonsenso e non politiche in senso stretto, e perché le sue parole sono comunque vicine a quelle di rappresentanti di tanti altri stati occidentali – a questo punto, ormai, anche l’Italia, specie se si pensa al Ministro degli Esteri Tajani. Vatican News, tra i tanti, ha sottolineato un’affinità tra il Vaticano e ciò la scrittrice Edith Bruck, testimone della Shoah e sempre più critica nei confronti delle strategie di Israele. Ma perché allora una risposta così dura?

Secondo le ricostruzioni di oggi, Israele non avrebbe mai mandato giù la scelta di Bergoglio di stare sempre e comunque dalla parte delle vittime già dai giorni subito successivi all’attacco di Hamas. E quindi, pur condannando ogni forma di terrorismo, da subito si è preoccupato della condizione dei civili a Gaza, e pare non smetta di farlo tuttora. Questo non significa, ovviamente, che il Vaticano appoggi chissà quali posizioni estremiste: semplicemente, l’equidistanza della Santa Sede, in questo momento, è una scelta politica; che ovviamente non piace a Israele. Perché il Papa, al di là di tutto, anche solo per le coscienze che smuove è un capo politico. In più, come spiega Elena Loewenthal sempre sulla Stampa, il dialogo tra i due stati, Israele e Vaticano, è da sempre difficile: per secoli gli ebrei sono stati visti come ostili alla religione cristiana, e se sul piano spirituale il confronto, negli ultimi anni, è proseguito bene, su quello politico e diplomatico la situazione fa ancora acqua.

Israele, soprattutto, non perdona a Bergoglio che, in qualsiasi situazione, abbia sempre tenuto in considerazione gli interessi dei civili palestinesi, in quella che sempre secondo Israele non è mai stata una condanna tout-court dell’attacco di Hamas. Insomma, si aspettavano di più da parte sua. E ci vorrà del tempo per risanare la spaccatura. Dall’altra parte, va detto che il Papa ha giocato d’anticipo rispetto a molti paesi occidentali che parlano di «reazioni spropositate» solo adesso: lui lo fa da mesi. Al di là di come la si pensi, un’altra prova di come Bergoglio ragioni al di sopra di certi schieramenti della politica, e per un capo di Stato non è poco.

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