Perché i tassisti sono una delle lobby più potenti d’Italia (nel senso peggiore del termine) | Rolling Stone Italia
Politica

Perché i tassisti sono una delle lobby più potenti d’Italia (nel senso peggiore del termine)

Con lo stralcio dell'articolo 10 del ddl Concorrenza, i tassisti hanno ottenuto l'ennesimo successo politico, procrastinando una riforma del settore che i consumatori attendono da anni: il risultato di giorni di proteste all'insegna di inni, lanci di uova e città immobilizzate

Perché i tassisti sono una delle lobby più potenti d’Italia (nel senso peggiore del termine)

Un tassista con un megafono in piazza Plebiscito a Napoli, occupata da oltre 500 colleghi in segno di protesta contro l'articolo 10 del ddl Concorrenza. Foto di Marco Cantile/LightRocket via Getty Images

Poche ore dopo la caduta del governo Draghi, i tassisti hanno festeggiato l’ennesimo successo di categoria, ottenendo lo stralcio dell’articolo 10 del ddl Concorrenza, che a loro detta avrebbe potuto creare le premesse per una liberalizzazione del settore, mettendo a rischio la loro attività professionale.

Al culmine di settimane di proteste partecipate e parecchio aggressive, la norma – che, nell’ottica di garantire una maggiore tutela per i consumatori, prevedeva «l’adeguamento dell’offerta di servizi alle forme di mobilità che si svolgono mediante applicazioni web che utilizzano piattaforme tecnologiche per l’interconnessione dei passeggeri e dei conducenti», modernizzando quindi il trasporto pubblico non di linea  – è stata prontamente eliminata dal testo del decreto, in quella che in molti hanno salutato come un’importante vittoria politica delle destre, da sempre vicine agli interessi della categoria.

Da anni la possibilità di riformare il settore è al centro di un dibattito piuttosto acceso: da un lato c’è chi sostiene che il conservatorismo dei tassisti affondi le radici in ragioni fondamentalmente giuste – è questa, ad esempio, la posizione di Salvini, che nelle scorse ore ha esultato per aver messo al sicuro i posti di lavoro di oltre 40mila tassisti, impedendo alle multinazionali (Uber in primis) di penetrare nel mercato italiano per aprire la strada alla deregolamentazione e affermare il proprio dominio; dall’altro, invece, c’è chi ritiene che incarnino una categoria privilegiata, sempre pronta a difendere un sistema di regole arcaico e scollegato dalla realtà al solo scopo di mantenere i propri vantaggi competitivi.

Non è la prima volta che i tassisti palesano una certa refrattarietà al cambiamento, mettendo in campo metodi non proprio da educande pur di vedersi garantito il mantenimento di uno status quo conveniente; da questo punto di vista, la letteratura a nostra disposizione è ampissima: ad esempio, nel febbraio del 2017, manifestarono animatamente contro un emendamento del decreto “milleproroghe” che prevedeva di concedere al governo un anno di tempo per provare a raggiungere una soluzione di compromesso tra le ragioni dei tassisti e quelle degli operatori di altri servizi, società di noleggio con conducente in primis, nell’ottica di individuare un risultato soddisfacente per tutte le parti.

Al tempo, le proteste dominarono il ciclo delle notizie a causa di diversi episodi di violenza che si verificarono a Roma, con tanto di sfilate con bastoni e tirapugni, lanci di oggetti e bombe carta verso la sede del Partito Democratico, aggressioni a giornalisti, insulti sessisti nei confronti della senatrice del Pd Linda Lanzillotta (che, assieme al collega Roberto Cociancich, aveva proposto l’emendamento) e auto di potenziali “concorrenti” – come gli autisti di servizi a noleggio – danneggiate da orde di tassisti inferociti; scene che, con qualche tafferuglio in meno, si sono riproposte anche nelle scorse settimane, tra petardi, fumogeni e inni nazionali urlati a squarciagola: a Napoli centinaia di auto bianche hanno occupato piazza del Plebiscito (vedi foto), mentre a Milano si sono verificati disordini tra tassisti e autisti di servizi a noleggio, che hanno denunciato di essere stati aggrediti con il lancio di uova.

Le ragioni della rabbia di questa categoria sono da rintracciare nell’apparato normativo che regola l’esercizio della professione: in Italia il taxi costituisce un “mezzo di trasporto pubblico non di linea” e, di conseguenza, è disciplinato dalla legge 21 del 1991. Per diventare tassisti bisogna ottenere un particolare tipo di patente, superare un esame ed iscriversi a un albo presso la propria Camera di Commercio. Il passaggio più difficile, però, è quello successivo, ossia l’acquisto della tanto agognata licenza, il pezzo di carta della discordia.

In teoria, le licenze dovrebbero essere concesse dai comuni sulla base di regolamenti stabiliti a livello regionale, ma i concorsi per assegnarne di nuove vengono banditi con il contagocce. Di conseguenza, la pratica più utilizzata è quella di acquistare una licenza da chi ne sia già in possesso da almeno 5 anni. Va da sé che i costi da sostenere per ottenere un titolo del genere sono altissimi: il prezzo di una licenza, infatti, varia a seconda del bacino di utenza della città di riferimento ed è frutto di una serrata trattativa tra le parti – nella maggior parte dei casi, com’è facile intuire, non si tratta di una compravendita a buon mercato. Il risultato è una clamorosa scomparsa del pubblico da qualsiasi possibilità di controllo e verifica: la vendita di licenze genera profitti monstre – a Venezia l’esborso può costare anche 400mila euro – e, di fatto, consente ai tassisti di fare il bello e il cattivo tempo, sfruttando anche l’immobilismo dei comuni, che fanno finta che il problema non esista pur di non inimicarsi la categoria.

Eppure, proprio i prezzi spropositati delle licenze rappresentano il fulcro della retorica che i tassisti utilizzano per giustificare le proprie proteste – il mantra è, più o meno, sempre lo stesso: «Volete davvero toglierci il lavoro, con tutto ciò che abbiamo speso?». Gli equilibri in gioco sono delicati: da un lato c’è un servizio che necessita da anni di un ammodernamento, dall’altro 40mila tassisti che, in alcuni casi, hanno dovuto accendere un muto per potersi permettere di acquistare la licenza ed esercitare la professione e, ovviamente, temono che aprire a servizi di noleggio con conducente possa azzerare il loro giro d’affari.

Procrastinando all’infinito una riforma sensata del settore a causa del timore di ritorsioni, la politica ha di fatto legittimato la posizione di supremazia di una corporazione che, oggi, è senza ombra di dubbio una delle più potenti lobby italiane più influenti (nel senso peggiore del termine, naturalmente).