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Perché Facebook, Instagram e Whatsapp non hanno funzionato ieri – e perché è grave

L'interruzione dei servizi è stata definita "un rischio elevato per le persone, un rischio moderato per gli asset dell'azienda e un rischio elevato per la reputazione di Facebook"

Ivan Romano/Getty Images

Questa notte Facebook, Instagram e WhatsApp hanno ripreso a funzionare dopo che per diverse ore, a partire da ieri pomeriggio, avevano smesso di farlo. I disservizi erano cominciati verso le 17.30 ed erano stati subito segnalati su Twitter dove gli hashtag #Facebookdown, #Instagramdown e #WhatsAppdown erano entrati in tendenza. La particolarità è che questa volta non si trattava del down di un singolo servizio, com’è già capitato in passato, ma di tutti e tre i principali servizi di Facebook contemporaneamente, e che il problema era globale.

Il problema sembra essere stato particolarmente difficile da gestire. Secondo il sito di tecnologia Tech Crunch la causa di tutto era un problema al DNS (domain name system, il sistema che serve a tradurre i nomi dei siti nei loro indirizzi IP numerici permettendo così di raggiungerli). Ci sarebbe stato un problema durante un cambio di configurazione dei BGP (border gateway protocol) di Facecbook, ovvero dei protocolli che servono alle reti per selezionare il percorso migliore e organizzare il traffico internet. È a questi cambi di configurazione che, in un comunicato diramato dopo aver risolto il problema, Facebook ha dato la colpa del down.

In ogni caso il problema è stato parecchio serio: secondo il New York Times i dipendenti di Facebook ieri hanno avuto problemi ad accedere ai sistemi interni dell’azienda con cui provare a risolvere il malfunzionamento, tanto da spingere la società a inviare un team per resettare manualmente i server. Inoltre i dipendenti non sono riusciti a usare le mail aziendali e sono stati costretti a comunicare tra loro via sms, mentre quelli che dovevano andare a lavorare in ufficio non sono riusciti a entrarci perché i loro badge aziendali non funzionavano.

Stando a una nota del team di sicurezza informatica di Facebook, l’interruzione dei servizi è stata definita “un rischio elevato per le persone, un rischio moderato per gli asset dell’azienda e un rischio elevato per la reputazione di Facebook”. Il down dei servizi ha effettivamente toccato tutti e tre questi punti.

Per quanto riguarda gli asset aziendali, il valore delle azioni di Facebook ieri è caduto del 5%, per poi riprendersi relativamente una volta che i problemi sono stati risolti. Peggio è andata al suo proprietario, Mark Zuckerberg, la cui ricchezza è diminuita di 6 miliardi di dollari facendogli perdere una posizione nella classifica delle persone più ricche del mondo – ora è quinto, superato da Bill Gates.

Il rischio per la reputazione di Facebook invece non viene principalmente dal malfunzionamento dei suoi servizi – o meglio, questa è solo l’ultima goccia. Negli ultimi giorni infatti una serie di inchieste pubblicate dal Wall Street Journal hanno rivelato come l’azienda avrebbe privilegiato i profitti invece che lottare contro la disinformazione, o avrebbe ignorato (pur conoscendoli) gli effetti negativi di questa scelta sulla salute delle persone. Le inchieste sono state rese possibili grazie alle rivelazioni di Frances Haugen, ex dipendente di Facebook diventata whistleblower.

Tra le rivelazioni di Haugen ce n’è una particolarmente importante: nonostante avesse ricevuto un rapporto sui disagi psicologici provocati da Instagram sugli adolescenti, Facebook non avrebbe fatto nulla per risolvere il problema. A causa di questa rivelazione sia Haugen che i rappresentanti della società saranno ora ascoltato dalla Sottocomissione per la protezione dei consumatori del Senato degli Stati Uniti. La strategia difensiva di Facebook si basa sull’affermare che il social network non sarebbe altro che uno specchio di ciò che di buono e di malvagio esiste nella società.

Fatto sta che finora Facebook ha potuto non rispondere delle sue mancanze per il semplice motivo che è troppo importante: tramite i suoi servizi controlla di fatto il grosso delle comunicazioni mondiali. Facebook e Instagram non sono certo servizi essenziali, ma Whatsapp e Messenger svolgono un ruolo paragonabile a quello delle infrastrutture pubbliche di telecomunicazioni, sostituendo l’uso di telefonate e sms, e in molti Paesi a basso reddito sono il mezzo di comunicazione principale se non l’unico.

In questo senso il suo team di sicurezza informatica può definire il down di Facebook, Instagram e Whatsapp come “un risucchio elevato per le persone”: quando si fermano i servizi di Facebook non si ferma solo Facebook ma anche un pezzo di economica che dipende da Facebook, e le stesse comunicazioni tra le persone si fanno difficili – ieri ad esempio il down ha provocato un impennata nell’utilizzo di servizi alternativi come Twitter e Telegram, che hanno anch’essi avuto delle difficoltà a reggere la pressione di un’utenza largamente superiore alla norma.

Ma questa grande importanza di Facebook, che contribuisce a schermarlo dalle critiche – solo di qualche giorno fa è la proposta, avanzata tra il serio e il faceto dalle pagine di Bloomberg, di dare alle multinazionali tecnologiche, in virtù delle loro dimensioni ipertrofiche, un seggio alle Nazioni Unite come se fossero dei Paesi – dura appunto solo finché riesce a garantire il funzionamento dei suoi servizi. Se ci sono down come quelli di ieri, qualcuno potrebbe cominciare a pensare che forse non è stato proprio un bene permettere a un privato di monopolizzare il grosso dei mezzi di comunicazione globali.

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