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Perché dobbiamo ancora parlare della strage di piazza Fontana

Nel 50esimo anniversario, l'abbiamo chiesto a Gianfranco Bettin, giornalista e autore di 'La strage degli innocenti. Perché piazza Fontana è ancora senza colpevoli'

Perché dobbiamo ancora parlare della strage di piazza Fontana

Immagine via Wikipedia

“C’era gente che bruciava. Gente che si rotolava a terra in fiamme. Uno scempio. Uno scempio. Mi è venuta incontro una ragazza senza un braccio. Con l’altro mi ha tirato la tonaca: “Padre, ci aiuti”. Altri mi hanno tirato la veste. Uno gridava: “Non sento più la gamba!”. Infatti, non ce l’aveva più. C’era anche chi, oltre a una gamba, aveva perso un braccio. Così, mutilata, giaceva a terra una ragazza. E poi altre voci: “Mi tolga questo di dosso, questo tavolo, questa sedia. Mi tolga questo peso”. E io toglievo, toglievo. E sotto trovavo mutilati. Ustionati. Ho pregato. Per quelle maschere di sangue. Per quei ventri squarciati. Per quei poveri brandelli di sangue”.

Questa è la testimonianza di Don Corrado Fioravanti, un prete milanese cinquantenne che nel pomeriggio di venerdì 12 dicembre 1969 stava entrando nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano, dove alle 16.37 è esplosa la bomba che ha fatto 17 morti e un centinaio di feriti. Ed è una delle testimonianze che si leggono ne La strage degli innocenti (Feltrinelli), il libro di Maurizio Dianese e Gianfranco Bettin che, a cinquant’anni da quel terribile giorno, cerca di fare un po’ di luce su uno dei capitoli più bui della storia italiana. I due autori sono tornati a Mestre, a Paese, a Spinea, ad Arzignano, nei luoghi in cui tutto ha avuto inizio, e hanno intervistato i protagonisti e i testimoni di questa storia ancora senza colpevoli, dove l’estremismo di destra di Ordine nuovo, il potere politico e gli errori della magistratura hanno portato all’impunità dei colpevoli.

Abbiamo chiesto a Gianfranco Bettin, scrittore e giornalista, perché questa vicenda abbia così tanti punti d’ombra, e se in Italia corriamo il rischio di vivere ancora anni così bui.

Collage via Wikimedia/Feltrinelli

Qual è “l’atomo di verità”, come scrivete nel libro, che avete cercato di tirare fuori?
“Il riferimento è a un’espressione di Aldo Moro, che non avrebbe cambiato – diceva – “un atomo di verità” (di onestà, di giustizia, di democrazia…) con un milione di voti. Noi la usiamo per dire che il nostro intento è quello di fare un po’ di chiarezza sulla vicenda che ha visto la più impenetrabile cellula stragista fascista della seconda metà del ‘900 – quella veneta e in particolare quella attiva tra Mestre e Venezia capeggiata da Carlo Maria Maggi, in stretta connessione con quella padovana di Freda e del trevigiano Ventura e quella veronese di Marcello Soffiati – restare impunita e celata per decenni”.

Vi chiedete anche “Chi può aver fatto un cosa del genere?”. Chi?
“Tutto il libro è una risposta a questa domanda: i fascisti di Ordine nuovo, quelli veneti in primis, (e i militanti di consimili congreghe neofasciste o neonaziste), erano capacissimi di commettere stragi così indiscriminate, sanguinose, feroci. E infatti le hanno commesse”.

Quali sono stati i motivi che hanno portato al terrorismo nero?
“Sono molti e diversi. Il più importante era il progetto di creare uno stato di paura e di tensione tale da motivare una torsione autoritaria nel nostro Paese che poteva assumere forme diverse, come un pronunciamento militare, (cioè un colpo di stato, come era avvenuto in Grecia nel 1967, e come avverrà poi in Cile nel 1973). Oppure come la proclamazione dello stato di emergenza con la parziale sospensione di alcune libertà democratiche e ancora, come minimo, un rafforzamento delle forze politiche centriste nel parlamento e nel governo di allora (soprattutto Dc, Psdi, Pli, Pri e magari con l’appoggio del Msi). Le prime due ipotesi erano quelle a cui puntavano i gruppi neofascisti con l’appoggio di settori significativi delle gerarchie militari, delle forze di polizia, dei servizi segreti e con la benevola attenzione e in certi casi l’attiva complicità di componenti importanti della politica e dei servizi segreti statunitensi e il finanziamento di settori dell’imprenditoria e della finanza italiane”.

La lapide commemorativa per Giuseppe Pinelli. Foto via Wikimedia Commons

Cosa c’entra il Nordest, e perché proprio il Nordest è stato fucina di un certo estremismo?
“Il Nordest era la frontiera più nevralgica in quegli anni, il confine con il Patto di Varsavia, con l’est comunista e l’impero sovietico. La regione era punteggiata di basi militari, di agenti segreti. La tensione era spesso altissima e sempre mantenuta comunque accesa. Le stesse memorie della guerra civile, la voglia di vendetta degli eredi del fascismo, il loro incrociarsi con i fautori del nuovo ordine e il loro mettersi a disposizione in chiave anti-comunista della “guerra fredda”, rendevano il Nordest un luogo propizio ai neofascisti e a quelli che erano stati fedeli al regime mussoliniano”.

Perché dopo 50 anni ancora nessuno è stato punito?
“A causa di depistaggi, complicità, omissioni, errori, conflitti interni alla magistratura, ai servizi segreti, alle gerarchie militari e al potere politico. Varie volte, e anche abbastanza presto, si è arrivati sulle tracce dei veri colpevoli, in qualche caso li si è anche arrestati e messi sotto processo, ma quest’insieme di protezioni e depistaggi – in realtà, un vero e proprio “concorso in strage” – ha portato a una diffusa impunità dei colpevoli”.

Chi ha protetto chi?
“Gli apparati di stato hanno protetto gli esecutori materiali delle stragi. All’interno degli apparati, si sono coperti a vicenda i fautori di una strategia stragista e i fautori di una strategia della tensione senza stragi, così come nel mondo politico. In ogni caso, è stato molto diffuso lo sforzo di nascondere complicità e colpe che avrebbero rivelato di quale sanguinario cinismo fossero stati capaci tutti”.

Perché è fondamentale parlarne oggi?
“Per continuare a cercare tutta la verità, per rendere giustizia alle vittime, per conservare la memoria: una dura ma fondamentale lezione storica”.

Pochi giovani conoscono questa pagina della storia italiana, come la si racconta?
“Io userei parole semplici per raccontare la storia di Piazza Fontana: “Scese una notte buia e tempestosa…” comincerei, come uno Snoopy con la passione della democrazia”.

Rischiamo anche oggi di vivere un periodo simile visto il crescere degli estremismi di destra?
“Simile no, mancano agganci così estesi e profondi con il potere politico, con le gerarchie militari, con gli apparati segreti. Però l’odio per la democrazia, l’insofferenza greve per le diversità, la xenofobia e il razzismo, il servilismo verso i potentati economici, la chiusura identitaria e nazionalistica sono ingredienti dal fondo oscuro e foriero di idee e progetti inquietanti. Non si sa mai cosa può scaturire da quel ventre, spesso fecondo di bestie spaventose”.

Quali sono gli errori del passato che non dovremmo più fare?
“Proprio sottovalutare quel magma oscuro, spesso ben nascosto in fondo ai sentimenti peggiori del Paese”.