Per sopravvivere, a Putin è rimasto un unico appiglio: la Cina | Rolling Stone Italia
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Per sopravvivere, a Putin è rimasto un unico appiglio: la Cina

Oggi la sola speranza russa per continuare a finanziare un conflitto stagnante è a Pechino, e si chiama Xi Jinping

Per sopravvivere, a Putin è rimasto un unico appiglio: la Cina

Foto di ALEXEI DRUZHININ/Sputnik/AFP via Getty Images

Sono passati solo 73 anni dalla visita di Mao in Unione Sovietica eppure, nonostante un periodo brevissimo dal punto di vista dell’analisi storica, i rapporti di forza tra i due giganti d’Oriente sembrano essersi ribaltati drasticamente.

Se nel 1949 infatti Mao fece la figura dello sprovveduto dinanzi a un gigante come Stalin, che aveva vinto la Seconda guerra mondiale e che gestiva una Repubblica Socialista funzionale ed economicamente salda, oggi Vladimir Putin guarda alla Cina come si fa con l’unica speranza possibile di sopravvivenza.

Russia e Cina sono rispettivamente il primo e il terzo paese più grande del mondo e condividono un confine lungo 4250km. Sono destinate per ideologie e geografia a convivere e ad accordarsi per decidere, soprattutto in epoca recente, la gran parte dei destini del mondo, non solo orientale.
Se però nel 1949-50, l’URSS era la culla del socialismo, mentre la Cina era un paese devastato dalle politiche maoiste, oggi Xi Jinping è a capo della prima potenza economica, mentre la Russia è stretta nella morsa dei pacchetti di sanzioni americani ed europei che si accumulano sulla schiena di un leader sempre più solo e in difficoltà.

«La visita di Mao in Russia – spiega Arianna Papalia, giornalista esperta di Cina – fu molto traumatica, perché il leader pensava di aver riconquistato il suo paese dopo la Lunga Marcia e dopo aver vinto la lotta con il Kuomintang (che tra l’altro era appoggiato dai sovietici, ndr.), ma non fu così». In effetti Stalin sapeva che le bombe di Hiroshima e Nagasaki, il piano Marshall in Europa e l’inizio della Guerra di Corea avevano portato prepotentemente gli americani alle porte del suo territorio. In questo senso, era importante trovare un partner strategico nella Cina, che era un paese fortemente rurale, ma che aveva l’estensione geografica giusta per creare un cuscinetto, quantomeno a est.

«Il supporto economico di Stalin – prosegue Papalia – ha dato il via alla costruzione del socialismo cinese. L’arrivo di Krusciov, già quando Stalin era in vita, ha raffreddato i rapporti tra i due paesi, rapporti che tornarono più consistenti quando a Mao successe Deng Xiaoping. Deng si rese conto che quello che il suo predecessore chiamava “Grande balzo in avanti” aveva prodotto invece milioni di vittime, sacrificate sull’altare di una collettivizzazione troppo veloce e incontrollata».

Xiaoping è stato il leader che ha forse dato l’impronta più persistente sulla Cina odierna: la sua politica della “porta aperta” e la creazione di zone economiche speciali, come quelle di Shenzen e Shanghai ha effetti ancora oggi sullo sviluppo economico del Paese.

«Oggi Xi Jinping sta portando avanti un progetto ambizioso – spiega –, per questo si mostra vicino a Putin. Sa che può sostenerlo non tanto militarmente, quanto a livello economico e diplomatico. Questo è il frutto di un lavoro carsico: da Deng in poi la Cina ha portato a sé tutta una serie di stati e ha sottolineato le contraddizioni della gestione americana del supporto ai paesi in via di sviluppo. Per questo è importante comprendere che non è Xi che cerca di avvicinarsi a Putin, ma è piuttosto Putin che va verso Xi».

Oggi la Cina attira interessi da tutto il mondo: basti pensare che solo vent’anni fa era il principale partner commerciale di soli 4 nazioni africane (Sudan, Gibuti, Gambia e Benin), mentre attualmente fa affari con più di 30 stati nel continente, con un export che supera gli 80 miliardi di dollari annui.

«La propaganda cinese propone un modello multilaterale che non deve essere necessariamente liberale. Questo modello sta riscuotendo successo e ha un’eco anche in Russia», racconta la giornalista, che traccia un profilo del leader del Partito Comunista Cinese. «Xi Jinping è il primo Presidente dopo Mao e Deng il cui pensiero è stato inserito nella Costituzione e con tutta probabilità sarà il primo a superare i due mandati, dopo la riforma degli ultimi anni. Rispetto ai suoi predecessori ha saputo crearsi un ruolo di potere che oggi appare incontestabile, anche se la popolazione cinese non vive l’idillio che viene raccontato al mondo. Questo è diventato chiaro con lo scoppiare dell’emergenza covid, che ha esposto tutti i limiti del sistema politico nel Paese».

Putin però, nonostante guardi con sempre più interesse a est, perché banalmente è l’unica prospettiva di collaborazione verosimile, sogna un comportamento più incisivo da parte della Cina. Il leader russo vorrebbe infatti che Pechino rispondesse alle sanzioni UE con delle controsanzioni, ma sottovaluta, come spiega bene Papalia, un aspetto: «Xi Jinping cerca di aiutare Putin, ma non può rompere del tutto con l’occidente, perché questo comporterebbe un crollo nella crescita del suo paese e lo isolerebbe. L’unico modo che ha per stare vicino alla Russia è comprare una parte del petrolio e del gas che non vengono più venduti agli stati europei. Certo, bisognerà capire cosa succederà se e quando l’Europa si accorderà con altri fornitori e romperà tutti i contratti con Mosca».

Oggi, i rapporti di forza tra Russia e Cina sono forti e attivi, ma hanno una prospettiva del tutto ribaltata. Se dopo la fine della Seconda guerra mondiale Stalin era l’uomo dei sogni per Mao, che vedeva in lui un maestro e un supporto nella costruzione di un socialismo stabile anche in un contesto disastrato, oggi l’unica speranza russa per continuare a finanziare un conflitto stagnante che sembra sempre più simile a quello in Siria (in cui la Russia gioca ancora un ruolo importante sostenendo le truppe di Bashar al-Assad, ndr.) è a Pechino e si chiama Xi Jinping.