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Non è che gli inglesi si sono resi conto che la Brexit è stata una cazzata?

Truss molla, forse torna Johnson, i sondaggi danno ai laburisti un vantaggio di trenta punti percentuali. I sudditi di Sua Maestà cominciano a pensare che quel famoso referendum, be', non è stata un'idea così geniale

Matt Cardy/Getty Images

Il pontificato di Albino Luciani, papa Giovanni Paolo I, durò appena 33 giorni. La sua morte, avvolta in qualche modo nel mistero, è un argomento ancora buono per i romanzi à la Dan Brown e per i giornalisti alla ricerca di scoop sul passato recente. Chissà cosa si dirà invece dei 44 giorni di premiership di Liz Truss, autrice di un suicidio politico senza precedenti e passata per il 10 di Downing Street giusto il tempo per veder morire e dover seppellire la regina Elisabetta.

Quel che è certo, mentre la Sterlina vola in borsa e i sondaggi attribuiscono ai laburisti un vantaggio elettorale senza precedenti (+30%), è che il Regno Unito da qualche anno a questa parte sta regalando perle di comicità agli appassionati e preoccupanti dimostrazioni di inaffidabilità ai partner internazionali.

Questa storia è cominciata quando un premier tutto sommato equilibrato come David Cameron venne colto da un’imprevedibile botta di matto e, dopo aver vinto il referendum sull’indipendenza scozzese, decise di provare un all in storico mettendo ai voti la permanenza del suo Paese all’interno dell’Unione Europea (la cui partecipazione inglese, in verità, è sempre stata diversa da quella di tutti gli altri paesi). Il finale è noto: la cosiddetta Brexit trionfò nelle urne e la carriera politica di Cameron finì all’improvviso. Il suo progetto, ancorché folle, era certamente ambizioso: avesse vinto quel referendum sarebbe passato alla storia come il primo ministro capace di chiudere forse per sempre (quantomeno per diversi decenni) due questioni complicatissime per il Regno Unito: appunto, quella scozzese e quella dei rapporti con l’Ue.

Al di là del suo destino personale (adesso è un ricercatissimo conferenziere), il vero problema risiede nella natura autofaga e schizofrenica del Partito Conservatore, al potere ormai dal 2005 e ormai completamente incapace di produrre una classe dirigente credibile e di dare al Regno Unito una politica minimamente credibile. La donna che si avvicendò a Cameron, Theresa May, oltre a non essere stata capace di gestire l’eurotrattativa necessaria ad applicare quanto deciso per referendum, alle elezioni generali del 2017 non solo riuscì a perdere la maggioranza assoluta, ma regalò ai Laburisti la loro più grande avanzata elettorale dal dopoguerra e riuscì a vincere solo perché i Liberaldemocratici avevano deciso di non collaborare in alcun modo con Jeremy Corbyn, ritenuto probabilmente troppo di sinistra per i loro aristocratici gusti. In un sistema maggioritario puro come quello elettorale britannico, là dove vige il principio che in ogni collegio «the winner takes it all», in alcune zone le cosiddette desistenze sono necessarie per non disperdere voti. Un patto che Laburisti e Lib-dem hanno sempre rispettato tranne che nel 2017.

Ad ogni modo, May non riuscì a governare e nell’estate del 2019 fu costretta a cedere il passo a Boris Johnson. Lo spettinato e spregiudicato leader vinse le sue elezioni generali con buon margine, ma il suo mandato è stato costellato da gaffe, fraintendimenti, scandali politiche fallimentari e un generale discredito internazionale, tanto che, solo pochi mesi fa, anche lui è stato costretto a farsi da parte. È qui che arriva Liz Truss, ex moderata quasi repubblicana, ascesa nel partito a colpi di sparate eccessive (come quella famosa in cui si dichiarava disposta a usare la bomba atomica qualora fosse stato necessario) e poi però, come i suoi predecessori, completamente inadatta a reggere il governo: in poco più di un mese, e solo con una proposta in materia fiscale, è riuscita a inimicarsi non solo i suoi colleghi conservatori, ma anche le istituzioni bancarie e, se si vuol dar credito ai sondaggi d’opinione, anche alla stragrande maggioranza dei sudditi di Sua Maestà. In buona sostanza, venendo meno alla politica vagamente sociale di Johnson, Truss aveva escogitato una manovra finanziaria per tagliare le imposte ai redditi più alti. Una politica straordinariamente antipopolare che persino la Banca Centrale del Regno Unito ha bollato come improponibile. Da qui una serie di rimpasti di governo per cercare di tenere insieme la varie anime dei conservatori, ma quando mercoledì scorso il segretario del 1922 Committee (l’organismo che designa i leader dei conservatori) le ha comunicato che i suoi colleghi erano pronti a sfiduciarla, Truss ha deciso di lasciare. E meno male che appena il giorno prima aveva detto di essere una «fighter» e non una «quitter», una che combatte e non una che molla.

Adesso, comunque, viene il bello. L’intenzione dei conservatori è quella di nominare un nuovo leader – e, dopo la breve interruzione, si è riaffacciato anche Johnson – mentre quella di tutte le opposizioni è di tornare a votare, anche perché la situazione ormai è insostenibile. Il leader laburista Keir Starmer, un moderato, non ha dovuto fare niente per diventare l’uomo più desiderato al governo del Regno Unito: la strategia dell’opossum (non fare niente e aspettare) ha evidentemente funzionato, i conservatori hanno fatto tutto da soli e la sua vittoria alle prossime elezioni, al momento, pare non essere assolutamente in discussione. Tutto sta nel vedere quando si terranno: formalmente i termini scadranno nel dicembre del 2024, ma arrivare a quella data appare assai improbabile.

Colpa della Brexit? Forse aver affidato il proprio destino a un tiro di dadi elettorali è il rimpianto che per sempre tormenterà le notti di David Cameron, ma comunque i sudditi del Regno hanno cominciato a capire che l’aver fatto di una formalità una questione di principio pure non è stata un’idea così brillante. Al di là dell’orgoglio, della storica indisposizione a dover trattare da pari (o in maniera subordinata) con Francia e Germania, del fatto che l’impero ormai è disfatto e dello splendore che fu non resta che qualche bizzarra rappresentazione dal sapore feudale, la presenza del Regno Unito nell’Unione Europea è sempre stata evanescente, ed è impossibile sostenere che i rapporti con il continente precedenti al famoso referendum non fossero tutti a vantaggio degli isolani. Insomma, bella cazzata.

Restano dettagli di colore. L’Economist ha mandato in stampa una copertina provocatoria con Liz Truss vestita da centurione che, elmo di Scipio in testa, brandisce un forchettone con degli spaghetti e si fa scudo con una pizza tricolore. Titolo: «Welcome to Britaly». Il sottotesto è evidente: la politica britannica si è fatta talmente instabile che ricorda molto da vicino quella italiana. Adesso, senza entrare troppo nel merito, al di là dei magheggi dei partiti italiani, la verità è che sul piano internazionale la politica italiana è stabile da decenni, cosa che non si può dire di quella inglese. L’ambasciatore d’Italia a Londra, Inigo Lambertini, ha ovviamente avuto a che ridire e ha parlato di «vecchi stereotipi», ma forse il vero dettaglio rivelatore di quella copertina è un altro: la pizza è condita con dei cetrioli. Nessuno sembra averci fatto troppo caso. Forse è una battaglia persa.

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