“Noi rimaniamo in fabbrica” – la lotta dei lavoratori della GKN sta entrando nell’autunno caldo | Rolling Stone Italia
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“Noi rimaniamo in fabbrica” – la lotta dei lavoratori della GKN sta entrando nell’autunno caldo

Lo scorso 9 luglio, la multinazionale ha deciso di chiudere il suo stabilimento di Campi Bisenzio, vicino a Firenze, licenziando via email 442 lavoratori. Che da allora sono impegnati in una lotta come non se ne vedevano da tempo

“Noi rimaniamo in fabbrica” – la lotta dei lavoratori della GKN sta entrando nell’autunno caldo

Foto di Dario Nincheri

Lo scorso 9 luglio, la GKN – una multinazionale che produce sistemi di guida, leader nel settore – ha deciso di chiudere il suo stabilimento di Campi Bisenzio, un comune che fa parte della città metropolitana di Firenze. Come conseguenza, 442 lavoratori sono stati licenziati in tronco senza alcun preavviso, via email. Da quel momento, gli operai della GKN sono impegnati in quella che è una delle lotte più accese dell’Italia di oggi – una lotta che ha ricevuto grande sostegno da parte della società civile, come non si vedeva da tempo. 

In parte ciò è dovuto alla velocità con cui è successo tutto quanto. I licenziamenti sono infatti arrivati come un fulmine a ciel sereno, prendendo alla sprovvista persino le istituzioni che hanno tentato subito di correre ai ripari. Già il 15 luglio il ministero dello Sviluppo Economico aveva cercato di mediare tra i lavoratori e l’azienda, ma semplicemente non c’erano margini di trattativa: durante l’incontro il fondo Melrose – un fondo speculativo inglese che controlla GKN dal 2018 – aveva ribadito la volontà di procedere con il licenziamento di tutti i lavoratori, nonostante la richiesta unanime di sindacati e istituzioni di ritirare la procedura. L’azienda prevede infatti entro il 2025 un riduzione del 48% del fatturato, il che prospetterebbe la “non sostenibilità dello stabilimento di Campi Bisenzio” e la necessità “di chiudere lo stabilimento e cessare ogni attività presso di esso”.

La storia però non è così semplice. Quando un fondo speculativo acquista un’azienda come la GKN, infatti, la politica industriale, la sua ricaduta sul territorio e la sorte dei suoi lavoratori non sono le sue prime preoccupazioni. Ciò che conta è capitalizzare il più velocemente possibile: il fondo compra un’azienda, cerca di ristrutturarla e prova poi a rivenderla a un prezzo superiore di quello d’acquisto. Se non ci riesce in tempi rapidi, la chiude e delocalizza. Per questo non importa se, dopo il calo di fatturato del 2020 dovuto all’emergenza Covid, GKN ha visto una crescita dei ricavi del 7% nel primo trimestre del 2021.

La differenza tra la proprietà e i lavoratori è una questione di tempo. Il fondo speculativo pensa al breve termine, gli operai al medio-lungo periodo. E non ci stanno a veder smantellare un’azienda che, negli anni passati, ha prodotto utili per oltre 10 milioni di euro. “Noi rimaniamo in fabbrica, c’è chi ha sputato sangue in quei capannoni per 20, 25 anni”, hanno detto alla stampa. Da luglio sono in assemblea permanente davanti allo stabilimento, un modo anche per evitare che i macchinari vengano portati via, e sono stati capaci di creare un movimento solidale che spazia dalla società civile alle istituzioni. Lo scorso 24 luglio sono stati anche capaci di convocare una delle manifestazioni più partecipate e combattive degli ultimi anni, almeno a sinistra. 

Ma la lotta dei lavoratori GKN è una lotta impari. I precedenti non giocano a loro favore, i lavoratori non si fidano e hanno accolto senza entusiasmo anche la proposta di 13 settimane di cassa integrazione fatta dal governo all’azienda, che si è presa del tempo per decidere. “I licenziamenti sono inaccettabili, ma lo è anche la cassa integrazione per cessazione d’attività. La morte è morte, anche quando è preceduta da una lunga agonia, magari con morfina”, si legge nel documento rilasciato dal collettivo dei lavoratori GKN che commenta quest’ultimo sviluppo. 

“Non possiamo non rilevare come 13 settimane di cassa integrazione siano una proposta contraddittoria e insufficiente in bocca a un governo. Questa non è un’azienda in crisi. E l’ammortizzatore sociale dovrebbe servire a sostenere i cali di lavoro. Qui siamo invece di fronte a un fondo speculativo che ha deliberatamente organizzato la delocalizzazione dei volumi. La beffa è poi che queste settimane di cassa sarebbero completamente gratuite per GKN”. 

In teoria, la cassa integrazione servirebbe per guadagnare tempo alla ricerca di un eventuale compratore privato. Ma secondo i lavoratori non si tratta di una prospettiva realistica, perchè la cosa “in questo Paese si è spesso rivelata un miraggio, una bolla di sapone o peggio”, prestandosi talvolta a “operazioni opache e perfino di dubbia legalità”. Per risposta, i lavoratori di GKN in assemblea permanente stanno provando a scrivere un loro decreto anti-delocalizzazione, una proposta scritta “non sulle nostre teste, ma con le nostre teste”. Insomma, mentre si entra nell’autunno la lotta continua, ed è già diventata un’isola di conflittualità in un’Italia che appare del tutto pacificata.